La democrazia nasce il 18 aprile del '48 Quando De Gasperi sconfisse i comunisti
La festa della liberazione? Va anticipata: meglio celebrare il successo dei democristiani sui rossi / PANSA
È facile prevedere che l'anniversario del 25 aprile domani produrrà il solito effetto: isterismi, polemiche e risse verbali, robaccia dannosa per un paese già alle corde per un clima di odio politico. Qualche segnale si è visto. A Firenze, il centro-sinistra ha detto no alla proposta di ricordare con una targa il filosofo Giovanni Gentile, ucciso dai comunisti nell'aprile 1944. Subito dopo, il capogruppo vendoliano a Palazzo Vecchio, Eros Cruccolini, ha chiesto di sfrattare i resti del filosofo dalla chiesa di Santa Croce e di cacciarli in uno dei cimiteri fiorentini. Un'idea dettata da una faziosità che non si arresta neppure davanti ai morti. La proposta da becchino del compagno Eros mi ha rammentato un brutto episodio del novembre 1945. Nel camposanto della mia città, due partigiani erano stati sepolti non lontano da due caduti fascisti. Il giorno dei Morti, le madri dei partigiani si accorsero che anche le madri dei fascisti stavano mettendo crisantemi sulle tombe dei figli. Ne venne un parapiglia folle, con le mamme dei partigiani che urlavano alle altre: «Non avete diritto di stare qui. Portate via le vostre tombe!». Chi ragiona come il Cruccolini, mi potrà rispondere che anche nel 2011 la Resistenza ha bisogno di essere difesa. Invece io penso che la Resistenza abbia soprattutto bisogno di essere spiegata nella sua verità. Senza truccare le carte come fanno le sinistre di oggi, stravolte dall'impotenza di sconfiggere il Cavaliere. E ormai ridotte a urlare che Silvio Berlusconi è il nuovo Benito Mussolini. Per cominciare, la guerra civile italiana non è mai stata una guerra di popolo, ma fra due piccole minoranze: quella partigiana e quella fascista. Entrambe coraggiose e disposte al sacrificio della vita, però mosse da convinzioni ideali e politiche contrapposte. Mentre la grande maggioranza degli italiani rimase estranea a quel mattatoio. PAURA DELLE BOMBE I civili erano straziati dai disastri di una guerra iniziata nel 1940 da Mussolini. Non avevano da mangiare. Soffrivano per i figli lontani, scomparsi o prigionieri su uno dei tanti fronti. E temevano soprattutto di morire sotto i bombardamenti massicci degli aerei anglo-americani. Le bombe alleate fecero più di 70 mila morti. Una cifra quasi doppia rispetto al numero dei civili uccisi dalle rappresaglie e dalle deportazioni attuate dai nazifascisti. Quali erano gli obiettivi delle due minoranze? I militari della Repubblica sociale volevano la continuazione del fascismo. Un traguardo possibile da raggiungere soltanto se la guerra della Germania nazista avesse fermato anche in Italia l'avanzata delle armate americane e inglesi. Era un'utopia da respingere, ma non per i giovani schierati con la Rsi. La storia dice che furono tanti, com'era inevitabile per le generazioni cresciute nel regime fascista. Dobbiamo demonizzarli per questo? E impedirgli di parlare, di ricordare, di esistere? Per quel che mi riguarda, ho sempre pensato di no. I partigiani, invece, non avevano un obiettivo comune. Se non quello ovvio di sconfiggere la Rsi. E di potersi schierare tra i vincitori della guerra. Però su quanto bisognava fare dopo la liberazione del paese, i piani dei partiti resistenziali erano molto diversi, per non dire opposti. I militari, i liberali, i cattolici e una quota dei militanti del Partito d'Azione ritenevano che l'Italia dovesse diventare una repubblica con una costituzione democratica. Ma era un progetto che si scontrava con la frazione più forte dello schieramento partigiano: quella comunista. Al contrario di ciò che pensano ancora oggi un po' di storici improvvisati, nella Resistenza italiana la parte del leone l'ha fatta il Pci. Subito, sin dall'inizio della guerra civile e dalle prime azioni dei Gap, i terroristi di città. Gli stessi che poi uccisero a Firenze il filosofo Gentile. La loro strategia era chiarissima: spargere il terrore tra i fascisti, anche quelli di seconda e terza fila, per spingerli a reagire e far così divampare l'incendio della guerra civile. Dai Gap nacquero le Brigate Garibaldi, guidate da una struttura politica e militare già sperimentata nella guerra civile spagnola. Agli ordini di due leader rivoluzionari del calibro di Luigi Longo e Pietro Secchia. Nella primavera 1944 entrò in scena anche Palmiro Togliatti, spedito in Italia da Stalin. Fu questo vertice a stabilire quel che doveva accadere dopo la Liberazione: una seconda guerra civile per fare dell'Italia uno stato satellite dell'Unione sovietica. Dove i bambini com'ero io sarebbero passati da balilla neri a balilla rossi. NEI LAGER Quel golpe non venne attuato per un ripensamento di Stalin. Ma molti partigiani comunisti continuarono a lavorarci. Ce lo dicono i depositi di armi scovati dai carabinieri sino al 1948. E l'alto numero di militanti rossi arrestati o costretti a fuggire in Jugoslavia. Molti di loro finirono sotto le unghie del maresciallo Tito, in rotta con Mosca. E sperimentarono la durezza spietata dei gulag jugoslavi, a cominciare dall'inferno dell'Isola Calva. Ho provato a spiegare in poche righe schiette quanto sia complessa la questione della Resistenza. Se ci siamo salvati da un finale autoritario, lo dobbiamo non soltanto alla presenza degli eserciti alleati e ai loro tanti soldati caduti. Esiste anche un politico italiano che è d'obbligo ringraziare: Alcide De Gasperi, il leader democristiano che con la vittoria del 18 aprile 1948 ci garantì un futuro democratico. Sarà possibile rendergli il giusto onore nelle celebrazioni del 25 aprile? Temo proprio di no. di Giampaolo Pansa