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Figlio di Don Vito? Ora è perfetto in chiave anti-Cav

La Procura di Palermo non può ammettere le bufale del supertestimone, anzi. Si va avanti, sempre per incastrare Silvio / FACCI

Giulio Bucchi
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L'arresto di Massimo Ciancimino suona quasi come una rivendicazione di proprietà, come una mossa possessiva da parte della stessa procura di Palermo che per anni (più di tre) l'aveva vezzeggiato e ritenuto più che attendibile. Lo si capisce da mille cose, soprattutto dalla velina comparsa ieri sul Fatto dove si tenta di far passare per buoni degli schemi puerili come questo: vedete?, noi pm di Palermo siamo gente seria, noi siamo come Falcone quando arrestò il pentito Pellegriti che aveva calunniato Salvo Lima: perciò, adesso che non possiamo farne a meno, arrestiamo Ciancimino e continuiamo a gestirlo come abbiamo sempre fatto, purché sia chiaro che tutte le cose che lui ha detto sinora noi continuiamo a ritenerle buone e a usarle per avvalorare le nostre cervellotiche istruttorie. Questo lo schema, per buona pace della procura di Caltanissetta che - assieme al resto del mondo - aveva capito da un pezzo che Massimo Ciancimino era uno sparaballe matricolato, nonché  un nuovo genere di star mediatica dell'antimafia: il superteste trendy, di casa nei salotti romani come in quelli di Annozero, gradita presenza alle feste dell'Unità come a quelle di Cortina, sempre vestito come un gagà e sempre in procinto - a sentir lui - di riscrivere la storia d'Italia a mezzo di clamorose rivelazioni dimenticate in un qualche foglietto nascosto nella giacca lasciata in lavanderia. E infatti era da mesi che le procure di Caltanissetta e Palermo si scannavano senza complimenti ma alla siciliana, bisbigliando, coi pm nisseni a osare indagare Massimo Ciancimino dopo che l'aveva sparata troppo grossa sul prefetto Gianni De Gennaro, ritenuto pedina fondamentale di quella «trattativa» tra Stato e mafia che ormai è diventata un trattato psichiatrico. Quell'incriminazione di Ciancimino, a Palermo, non l'avevano gradita per niente: e sta di fatto che l'indagato a Caltanissetta si avvalse della facoltà di non rispondere, mentre a Palermo continuò a straparlare come sempre. Continuò cioè a riempire dei verbali che gli stessi uomini che l'hanno arrestato ora cercano di salvaguardare: «Non è detto che Ciancimino abbia mentito su tutto», dicono ora. Come a dire: mica possiamo ammettere che oltre tre anni disegniamo fantasmagorici scenari di cazzate. Detto questo, le differenze tra Giovanni Falcone e i pm di Palermo Antonio Ingroia e Nino Di Matteo e Paolo Guidi - altro che pentito Pellegriti - restano alcuni milioni, e se ne può enumerare solo qualcuna. Sicuramente Giovanni Falcone non avrebbe permesso che un proprio teste-chiave divenisse una star dell'antimafia mondana circolando con una scorta nutritissima che persino il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso - dopo un'intercettazione in cui Ciancimino parlava con un tizio in odore di 'ndrangheta - aveva invano cercato di levargli; un teste che, ospite all'hotel Brufani-Raffaello di Perugia (cinque stelle) una settimana fa partecipava al Festival del giornalismo per presentare un libro che «riscrive la nostra storia» e di passaggio la ritocca in photoshop, come ha fatto con il documento galeotto che l'ha spedito in carcere. Sicuramente Giovanni Falcone non avrebbe mai scritto libri imbarazzanti come quello in cui Antonio Ingroia diceva di Ciancimino: «Dal primo incontro ho capito subito che era di tutt'altra pasta... oggi è arrivato a diventare quasi un'icona dell'antimafia». Giovanni Falcone, che non credeva nel Terzo livello mafioso come scrisse chiaramente sulla Stampa il 30 luglio 1989, difficilmente avrebbe cercato di avvalorare un quarto livello come ha fatto Antonio Ingroia nella sua introduzione appunto a «Il quarto livello», libro di Maurizio Torrealta in cui il magistrato tra l'altro scrive: «Le ricostruzioni e interpretazioni sul Quarto livello derivano tutte dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino... mi sono occupato e mi occupo professionalmente della valutazioni delle sue dichiarazioni... (che sono)  ancora oggetto di verifica».  Bene, abbiamo verificato, anzi, ha verificato lui: ma questo non ha impedito ad Antonio Ingroia di scrivere un autentico «saggio introduttivo» imperniato interamente sulle dichiarazioni di un pataccaro, questo dopo aver dichiarato, poco tempo fa, che «l'attuale equilibrio politico e istituzionale è fondato sulle stragi del 1992».  Ma non toccategli tutto il resto. Massimo Ciancimino in oltre tre anni ha sputtanato uomini e galantuomini, centellinato accuse sull'universo mondo - da Berlusconi alla strage di Ustica, dalla cattura di Riina alla latitanza di Provenzano, da Milano 2 a Dell'Utri al caso Moro - senza risparmiare uomini delle istituzioni come il prefetto Gianni De Gennaro e il generale Mario Mori e il procuratore nazionale Pietro Grasso: ed è una fortuna che nessuno, tra costoro, fosse in eccellentissimi rapporti coi pm di Palermo. Così siamo sicuri che i pm non avranno avuto problemi a indagare.

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