Feltri sta con Maroni: "Bruxelles vada all'inferno"
Editoriale del direttore. L'Unione ci riserva solo fregature: dimezziamo il debito e poi usciamone / VOI CHE NE PENSATE?
Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, scornato perché l'Europa rifiuta di darci una mano nella gestione disperata dell'emergenza immigrati (sottovalutata anche dai cittadini italiani), si è pubblicamente chiesto: «Perché stare nell'Ue?». Comprendo il suo stato d'animo, che è anche il nostro e non da ieri. Ma la risposta al quesito è una sola: abbiamo un debito pubblico mostruoso e siamo costretti a emettere Bot a tonnellate, molti dei quali sottoscritti da Paesi della comunità. Se l'Italia uscisse dal club, le aste dei nostri titoli di Stato rischierebbero di essere mortificate. Il che ci costringerebbe a portare i libri in Tribunale, come si dice per le aziende in fallimento. Tutto qui. Non c'è altra ragione per rimanere agganciati a Bruxelles e Strasburgo, pachidermi burocratici cui abbiamo dato molto senza ricevere nulla in cambio, se non umiliazioni come quella inflittaci da Francia, Germania e Inghilterra sui profughi. Parliamoci senza ipocrisie. Abbiamo sempre avuto un complesso di inferiorità nei confronti delle Nazioni a Nord e a Ovest della nostra, e abbiamo cercato di superarlo sognando di entrare in società con esse. Ecco perché partecipammo con entusiasmo alla fondazione della Unione europea, che inizialmente aveva un'altra denominazione: Mec ossia Mercato comune europeo. Ci eravamo illusi, sedendo a tavola coi grandi, di sentirci un po' meno piccoli. E invece abbiamo continuato a comportarci da nani col risultato di farci considerare tali. Basti pensare a quando eravamo in procinto di entrare nella moneta unica. Romano Prodi, allora premier, ci obbligò a sopportare un supplemento di torchiatura fiscale: la cosiddetta tassa per l'Europa (che seguiva manovre finanziarie sanguinose) finalizzata a farci raggiungere i parametri minimi imposti dai trattati. Conquistato l'euro, organizzammo una gran festa nella capitale belga cui fui invitato anch'io. Dovevate vederli gli italianucci come brindavano all'evento; sembrava avessero vinto al Superenalotto. Viceversa inneggiavano a una fregatura. Perché il Professore, ebbro per l'obiettivo centrato («non siamo stati esclusi dall'Olimpo»), concordò un cambio da strozzo: 1936 lire per un euro. Un suicidio. Esaurita l'euforia di chi, nonostante le pezze al culo, è stato invitato a corte, ci accorgemmo ben presto di essere ancora più poveri. Nei primi anni del terzo millennio, Libero svolse un'inchiesta che dimostrò come il potere d'acquisto degli stipendi fosse stato quasi dimezzato. Un dato di fatto incontrovertibile. Ciò che fino a un paio di anni prima era costato mille lire, ora costava un euro. Bell'affare. Fummo accusati di irresponsabile antieuropeismo, di cecità, leghismo, egoismo. Parlare male dell'euro era come sputare su Garibaldi. La mentalità corrente non è mutata: i sudditi di Bruxelles sono ancora convinti sia una immensa fortuna essere soci dell'Ue, anche senza avere diritto ai dividendi, ma col dovere di versare cospicui contributi per pagare le “spese condominiali”. La domanda del giorno, visto che siamo stati snobbati quando abbiamo reclamato un aiutino ad assorbire i clandestini, è questa: perché contiamo tanto poco in Europa? La sinistra dà la colpa indovinate a chi? A Berlusconi perché negli incontri internazionali fa cucù alla Merkel, e perché la sua sarebbe una politica stracciona. Figuriamoci. Non abbiamo peso adesso (e non lo abbiamo mai avuto) per un motivo drammaticamente semplice: i parlamentari italiani eletti a Strasburgo sono per lo più mediocri, una minoranza sa l'inglese e/o il francese, quasi tutti scaldano lo scranno, non fanno squadra, sono incalliti assenteisti, e nel momento in cui bisogna assumere decisioni importanti non sanno neppure di cosa si discuta. Peggio, si dividono sul voto. Quelli di sinistra poi si divertono un casino a dare addosso all'Italia nella speranza di trarne vantaggi elettorali. I nostri rappresentanti sono svelti e puntuali ed esperti solamente nella compilazione dei rimborsi spesa e nella riscossione dell'indennità di carica. I colleghi stranieri, consapevoli di tutto ciò, ridono. Ridono degli italiani in genere, giudicandoli pasticcioni, bontemponi senz'arte né parte. Aggiungete che le amministrazioni locali del Mezzogiorno non sono in grado di attingere ai fondi a loro disposizione per realizzare opere infrastrutturali, e il quadro è completo. Da imbecilli ci comportiamo e imbecilli siamo ritenuti. Così si spiega la nostra irrilevanza. Abbiamo un bel dire che con tutti gli immigrati che ci stanno fra i piedi meriteremmo un ausilio comunitario, in considerazione del fatto che essi, venendo nella nostra Patria, vengono in Europa e creano un problema continentale oltre che nazionale. Francesi e tedeschi ci sfottono apertamente: arrangiatevi. Dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco o ribellarci? Nel primo caso, smettiamola di piagnucolare e atteniamoci alla volontà della Ue e cerchiamo di migliorare i rapporti con essa. Nel secondo, adottiamo norme speciali (tipo respingimenti), ma non stupiamoci se poi ci buttano fuori dal “consorzio”, e affrettiamoci a dimezzare il debito pubblico rinunciando a che altri ce lo finanzino. È il solito discorso. Si può essere autonomi solo se si è indipendenti economicamente. O si scioglie questo nodo o saremo sempre gregari e immersi nei guai. Guai destinati ad aumentare nei prossimi mesi, perché la guerra idiota che pure noi combattiamo non ha ancora prodotto tutti i suoi effetti nefasti: mezza Africa è in ebollizione e si attrezza per invaderci e islamizzarci. Quando anziché ventimila extracomunitari, ne sbarcheranno qui - e giuro che succederà - duecentomila o due milioni, che faremo? Il cuscus. di Vittorio Feltri