Generali, senza Geronzi comincia il maxi-risiko
Galatieri, Siniscalco oppure Monti? Corsa alla presidenza. Ora scalata a Mediobanca e Corsera / SUNSERI
Sulla successione alla presidenza di Generali si potrebbe sapere qualcosa - di definitivo - entro giovedì sera. Il nome dovrebbe emergere da un colloquio tra i grandi azionisti del Leone di Trieste, che prepara il cda straordinario di venerdì in cui il successore di Geronzi verrà nominato ufficialmente. I due nomi più quotati sono quelli di Gabriele Galateri di Genola, presidente Telecom uscente, e di Domenico Siniscalco, l'ex titolare del dicastero del Tesoro e oggi al vertice di Assogestioni. Galateri sarebbe il nome con cui tracciare un disegno di assoluta continuità con Mediobanca: il presidente Telecom fu vicepresidente di Generali per contro della stessa Mediobanca. Siniscalco, al contrario, sarebbe visto con più 'calore' dai mercati, poiché segnerebbe una sostanziale discontinuità rispetto alla gestione 'politica' della finanza che Geronzi ha cavalcato dagli inizi della sua ascesa. Circola infine anche un terzo nome, quello di Mario Monti, ex commissario dell'Unione europea e oggi presidente dell'Università Bocconi. GERONZI PARLA CON DE BORTOLI - "Non è ancora stato scritto il capitolo finale". E' un Cesare Geronzi ancora combattivo quello che, in un colloquio con il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, commenta a caldo il suo siluramento dalla presidenza di Generali. Geronzi, sfiduciato dal Cda, si è dimesso: "Non potevo accettare che scendessero a livelli così beceri. Non ho voluto scrivere una delle più brutte pagine della storia dell'establishment italiano". Un establishment, quello di Generali, che secondo Geronzi è formato da una "gioventù anziana". "La verità - prosegue l'ex presidente - è che la compagnia è eterodiretta". Tutto finito? "No, non è ancora stato scritto il capitolo finale". E mentre l'ex presidente della Repubblica e di Bankitalia Caro Azeglio Ciampi, sul Sole 24 Ore, ricorda Geronzi come un "grande operatore, formato alla scuola di Guido Carli e del suo grande rigore", l'onorevole Bruno Tabacci (Api) la butta in politica: "L'intreccio tra politica e potere - spiega a La Stampa -, la grande malattia degli anni berlusconiani, giocoforza si ridurrà. E' ragionevole pensare che, d'ora in poi, per fare operazioni nel nostro Paese non si dovrà più chiedere il permesso a Palazzo Chigi". Ora, aggiunge, "si può tornare ad un maggiore pluralismo economico finanziario". Il risiko della Finanza. Segue l'articolo di Nino Sunseri. I prossimi campi di battaglia saranno Mediobanca e, soprattutto, il Corriere della Sera. Né potrebbe essere altrimenti. Non si è mai visto terremoto nella grande finanza che non abbia lambito via Solferino e Piazzetta Cuccia. A maggior ragione adesso che il primo fuoco è stato acceso proprio con la carta del quotidiano. Ad appiccarlo Diego Della Valle definendo Geronzi «un arzillo vecchietto» che comandava in via Solferino pur non possedendo azioni. Aveva chiesto, perciò, che Generali vendesse la quota del 3,5%. Ufficialmente perchè estranea al business delle polizze. In realtà per togliere potere a Geronzi. Per dimostrare he non erano parole al vento il patron della Tod's si era dichiarato disponibile all'acquisto. Il blitz di Della Valle ha raggiunto un primo obiettivo. Geronzi si è dimesso dal patto di sindacato del Corriere così come da quello di Telco (Telecom) e Pirelli. Tuttavia da qui a dire che uno tsunami sta per devastare il parlamentino dei grandi soci di via Solferino ce ne corre. Giovanni Bazoli, supremo (e ormai solitario) garante degli equilibri del Corriere ha detto che per il momento non cambia nulla. L'accordo che regge le sorti del quotidiano è stato rinnovato per tre anni. Dunque mente fredda e bocce ferme. Che però la tregua regga fino al 2014 non è credibile. Fin dai tempi di Luigi Albertini tutti i cambi politici importanti nel Paese hanno avuto dei riflessi sul Corriere della Sera. Non sarebbe un'eccezione oggi che la proprietà del giornale (come tanti nel Paese) si interroga sul futuro di Berlusconi. Tanto più che il terremoto in Generali farà emergere nuovi protagonisti e annebbierà altri. A cominciare da Vincent Bollorè che appare l'altro grande sconfitto di questa operazione. Ha sponsorizzato la nomina di Geronzi, mettendo fuori gara il vecchio Bernheim che lo considerava un figlio. Ha condotto l'offensiva contro l'amministratore delegato Giovanni Perissinotto certamente interpetrando il desiderio più più profondo del presidente. Ora con un sorriso tirato afferma: «Si, sono ancora vice presidente di Generali» ben sapendo di essere il prossimo obiettivo dell'offensiva di Della valle spalleggiato da Lorenzo Pelliccioli, rappresentante della De Agostini. Certo Bollorè venderà cara la pelle. Sia in Generali sia soprattutto in Mediobanca di cui, insieme a Groupama è azionista al 10%. La missione in Italia si può considerare conclusa. Dal punto di vista operativo non ha avuto molto successo: la partita su Generali è persa. Quella di Groupama su Fonsai morta, l'avanzata di Lactalis su Parmalat impantanata. Non resta che un'onorevole ritirata. Agevolata da una ricca plusvalenza sugli investimenti. La liquidità è una magnifica medicina per rimarginare le ferite rimediate nelle battaglie di potere nei consigli d'amministrazione. Dalla ritirata dei francesi ci sono diversi personaggi che potrebbero trarre vantaggio in termini di visibilità e di capacità di influenza. Uno è certamente Della Valle soprattutto se riuscirà a vincere la battaglia di via Solferino. Poi Francesco Getano Caltagirone in Generali e Fabrizio Palenzona in Mediobanca. Il costruttore-editore romano, che da anni rastrellava azioni del colosso assicurativo, ha raggiunto l'obiettivo. In questo momento è seduto sulla poltrona presidenziale. È vero che si tratta di un incarico temporaneo in sostituzione di Geronzi. Già si parla di una possibile presidenza affidata a Gabriele Galateri. Tuttavia Caltagirone è arrivato dove voleva. Ora toccherà agli altri farlo scendere. È facile immaginare che il suocero di Pierferdinando Casini, cercherà di restare o comunque di consolidarsi come l'ago della bilancia. Infine Fabrizio Palenzona. Il corpulento vice presidente di Mediobanca sta diventando uno dei più accreditati power broker della finanza italiana. Ha favorito il passaggio di Geronzi in Generali. Ha lavorato per la caduta di Profumo in Unicredit. Ha costruito la ciambella di salvataggio per Ligresti. Ora si prepara per la partita più impegnativa. In autunno scade il patto di sindacato di Mediobanca. Dall'accordo per il rinnovo dipendono le sorti della finanza. Altrimenti prepariamoci alla guerra nucleare nei consigli d'amministrazione delle principali aziende italiane. di Nino Sunseri