In difesa di La Russa, ministro indifeso, e del suo diritto alla rabbia
Il vaffa di Ignazio a Fini ha scatenato le ire di tutti: ma l'ex An è l'aggredito, non l'aggressore / BORGONOVO
Dopotutto, se l'aula sorda e grigia di Montecitorio si è tramutata in un bivacco di manipoli, la colpa non è mica sua. Di Ignazio La Russa, intendiamo. Negli ultimi due giorni sul ministro della Difesa è piovuto di tutto. Monetine, insulti, attacchi da parte degli avversari politici ma anche dai colleghi di partito: un diluvio trasversale. C'è stato pure uno, Claudio Scajola, capace di salire sul pulpito e commentare: «Io sono nato democristiano, non voglio morire fascista», alludendo al temperamento focoso di cui l' ex An ha dato prova mandando a quel paese Fini. Vero, intorno alle 18.30 di mercoledì tutto il corpo del ministro, nel pieno dell'ira, sembrava un dipinto di Balla: “Il dinamismo del «ma vaffanculo» in aula”. Sventolava l'indice, mulinava gli arti, applaudiva con sarcasmo. Fino al vaffa, che il Tg La7 di Enrico Mentana ha sillabato alla moviola. L'ha lanciato per stizza, non per sfida, con un moto rapido e indispettito del braccio. È finita che amici (irritati) e nemici (gaudenti) l'hanno dipinto come la solita camicia nera, uno abituato all'intemperanza verbale oltre che alla sopraffazione fisica. Nelle sue vene scorrerebbe quello che Umberto Eco battezzò Ur-fascismo, il «fascismo eterno», figlio della violenza primigenia ai danni dei deboli. Roba da maschi in esplosione ormonale con la propensione al manganello. I giornali di ogni colore non hanno risparmiato argomentazioni a sostegno di questa teoria, elencando le altre situazioni in cui la barba di Ignazio si è appuntita oltremodo, a mimare quella di Belzebù. Oltre allo sfanculamento di Fini, c'è il caso dei pestoni a Corrado Formigli di Annozero. L'Inviato Ferale di Santoro, durante la manifestazione milanese contro i moralisti, si avvicinò al ministro quel tanto che bastava per farsi rifilare un paio di calcioni di equina memoria. Aggiungiamo: c'è pure la vicenda di Carlomagno, finto giornalista e contestatore di professione che un giorno, durante una conferenza stampa, dimenticò le rotelle a casa e iniziò a straparlare. La Russa lo sollevò per il bavero e lo spedì da dove era venuto: i giornali gridarono alla rissa, alla mezza aggressione. Davvero il ministro pensa che Pdl significhi «Popolo delle legnate»? Il milite Ignazio è ancora quello degli anni delle spranghe? Mavalà. Qualcosa del camerata che fu probabilmente gli è restato dentro, ma non è nulla di negativo. È una passione viscerale, un misto di polvere pirica e sangue bollente che gli permette di essere simpatico - come nell'imitazione di Fiorello dove le sue parenti si chiamano Spingarda o Alabarda - e assieme infiammabile. Nella politica stantìa e tragattina di questi tempi, dove tutto è (falsa) moderazione e subdola trattiva, l'incazzatura è liberatoria. E non del tutto ingiustificata. O vale solo per Beppe Grillo? La Russa esce dal parlamento e lo accoglie la bolgia, gli lanciano euro contundenti: avrà pure diritto di arrabbiarsi. Poi rientra e il Pd lo accusa di provocare, gli grida: «Merda, fascista». Lui si scompone - troppo, d'accordo - ma è l'aggredito, non l'aggressore. Fini (che poi gli darà anche del “cocainomane”) lo invita a tacere. Allora esplode il «vaffanculo». Ma non è insulto fine a se stesso, è partecipazione sui generis. Gianfranco non si offenda: la parolaccia viene da La Russa con amore, in fondo. Quanto a Formigli, Ignazio ha esagerato, ma il giornalista era inviato a provocare. Le pedate non si danno, lo si impara all'asilo, tuttavia scommettiamo che il cronista si è fregato le mani per la scenetta: tutto audience che cola. Insomma, evviva il contegno istituzionale, non sia mai che il ministro diventi un gerarca col vezzo d'esaltare lo schiaffo e il pugno. Ma, permettete, quando a Ignazio La Russa di professione ministro è uscito dalla bocca quell'esecrabile invito, per un attimo ci è sembrato di udire - nell'aula sorda e grigia - qualcosa di destra. di Francesco Borgonovo