Libia, i ribelli propongono una tregua Berlino preme: soluzione diplomatica
Bengasi: "Pronti al cessate il fuoco se Raìs accetta esilio". Scontri tra lealisti e insorti a Brega. Cina sta con Germania
Muammar Gheddafi non si difende ma rilancia. Le forze fedeli al Colonnello hanno sferrato un attacco contro la città di Misurata con carri armati, mortai e lanciarazzi. Secondo il portavoce degli insorti, gli uomini del Raìs sono nel centro di Misurata ed attaccano case e negozi. "Usano carri armati, lanciarazzi, mortai, ed vari tipi di proiettili per colpire la città - ha detto per telefono il portavoce di nome Sami - Il posto è già irriconoscibile, non si può descrivere la distruzione". SCONTRI A BREGA - Lo spargimento di sangue continua anche a Brega. Nel quattordicesimo giorno dell'operazione che da giovedì, con il passaggio al comando Nato, ha preso il nome di Unified Protector, il nodo strategico è il porto petrolifero. Dopo l'annuncio di giovedì 31 marzo di una riconquista della città da parte del regime, venerdì mattina gli scontri fra le truppe di Gheddafi e gli insorti si sono riaccesi. Lo riferisce l'inviato della Bbc a Bengasi, sede del Consiglio nazionale transitorio, organo rappresentantivo dei ribelli. Gli insorti si trovano a combattere con un esercito, quello di Tripoli, meglio organizzato e con una potenza di fuoco superiore. Impari il tentativo di disciplinare le forze inviate dal governo libico, mentre per cause meteorologiche negli ultimi giorni sono diminuiti i raid della coalizione internazionale. Inoltre, una fonte medica ha dichiarato alla Bbc che un attacco delle forze della coalizione a 15 chilomentri da Brega haprovocato almeno sette vittime fra i civili e 25 feriti. Il raid avrebbe avuto come obbiettivo i trasporti di munizioni dei lealisti, ma avrebbe avuto come conseguenza collaterale la distruzione di due abitazioni. PROPOSTE DI TREGUA - Viste le difficoltà a far fronte alla controffensiva del Raìs ed i dubbi della coalizione internazionale sull'invio di armi, i ribelli avrebbero deciso di tentare una nuova via, quella della mediazione. In una conferenza stampa a Bengasi gli insorti si sarebbero manifestati disponibili a un "cessate il fuoco", a patto che il Collonnello valuti la possibilità di un esilio per sè e la sua famiglia. "Siamo a favore di una tregua - ha dichiarato Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio Nazionale Transitorio che governa le aree liberate -. A condizione che i nostri fratelli in Cirenaica godano di piena libertà di espressione". LA LINEA DI BERLINO - La Germania si è nuovamente detta contraria a una risoluzione militare della crisi libica. Lo ha fatto per voce del suo ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, in visita ufficiale a Pechino. Conforme anche l'opinione della Cina, favorevole a un più deciso intervento politico. "La situazione libica non può essere risolta con mezzi militari": Westerwelle conferma la linea non interventista della Germania della cancelliera Angela Merkel. Le dichiarazioni del ministro arrivano dopo l'incontro di questa mattina con l'omologo cinese Yang Jiechi a Pechino. Durante la sua visita, Westerwelle ha rinnovato l'invito al leader libico Gheddafi a rispettare il cessate il fuoco. "Si puo' avere solo una soluzione politica e noi dobbiamo mettere in piedi un processo politico. Questo dovrà iniziare con un cessate il fuoco rispettato dal Raìs". Identiche le posizioni del governo di Pechino: "La questione deve essere gestita con adeguati mezzi diplomatici e politici. In qualità di membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, la Cina continuerà ad agire in una maniera responsabile in questo processo", queste le dichiarazioni del ministro degli Esteri Yang Jiechi. Sia la Germania sia la Cina si erano astenute durante il voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sulla risoluzione che ha autorizzato l'imposizione di una no-fly zone sopra la Libia. Entrambi i Paesi hanno inoltre richiesto il ritiro delle forze pro-Gheddafi dai centri abitati. La Cina sostiene inoltre che gli attacchi aerei delle forze della Nato vadano oltre gli obiettivi fissati nella risoluzione dell'Onu. IL REGIME PERDE I PEZZI - Gheddafi, come detto, continua a non volersi piegare al cessate il fuoco. Anzi, il Colonnello minaccia ed effettua rappresaglie, si impegna in quella che ha definito la "crociata contro l'Occidente" e massacra i ribelli. Le violenze, però cominciano ad assumere le fattezze dell'ultimo colpo di coda di un regime che, per dirla con le parole del portavoce della Casa Bianca, si sta disgregando. Prima la defezione del ministero degli Esteri, Moussa Koussa, poi l'abbandono di Ali Abdussalem Treki, altro esponente della cerchia dei fedelissimi del Colonnello, predecessore di Kussa al ministero degli Esteri, e che avrebbe dovuto insediarsi come ambasciatore all'Onu. Treki ha rinunciato ad assumere il posto, e anzi si è speso in una ferma condanna contro "lo spargimento di sangue nel mio Paese".