Assolto il tabaccaio: ora proteggersi è un diritto
Petrali inseguì e uccise il rapinatore armato: la sentenza "rifonda" la legittima difesa / BORGONOVO
Da ieri la legittima difesa esiste anche in Italia. Giovanni Petrali, il tabaccaio di 74 anni che nel 2003 ha sparato a due rapinatori entrati nel suo locale per svuotargli la cassa (ferendone uno e uccidendo l'altro) è stato assolto. Finalmente. Significa che in questo Paese è davvero concesso a un cittadino aggredito di difendere se stesso, i propri cari e i propri beni. Anche utilizzando le armi. In primo grado Petrali era stato condannato a un anno e otto mesi di prigione per omicidio colposo e lesioni colpose. La motivazione era singolare: aveva aperto il fuoco perché non era lucido, pensava di trovarsi ancora in pericolo. Però aveva comunque sorpassato la misura della legittima difesa, poiché non si era limitato a sparare dentro la tabaccheria bensì aveva inseguito i ladri fuori dal negozio, colpendone uno alle spalle. Ieri, invece, i giudici hanno stabilito che sparò per difendersi. Fino all'altro giorno, tuttavia, chiunque venisse aggredito e minacciato, se metteva mano alla pistola rischiava grosso. Ricordiamo ancora il volto gonfio per le botte, gli occhi anneriti dai colpi, il sangue raggrumato di Remigio Radolli, il gioielliere di Cinisello Balsamo che fu assaltato con brutalità inaudita all'interno del suo negozio da due albanesi. Uno dei quali prese a picchiarlo selvaggiamente con il calcio della pistola, disfacendogli la faccia in un'unica tumefazione. Radolli, nel mezzo di quella pioggia di colpi, riuscì a impugnare la calibro 22 e a premere il grilletto, ferendo il malvivente che lo stava massacrando. Finì che indagarono il gioielliere per eccesso di legittima difesa. Giuseppe Maiocchi e il figlio Rocco, anche loro gioiellieri, furono condannati rispettivamente a un mese e a 18 mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, per lesioni personali e omicidio colposo, anche se il pm aveva chiesto 10 anni per entrambi. Avevano sparato su un ladro che si era introdotto nella loro bottega e un colpo esploso da Rocco l'aveva ucciso. Quando la Prima Corte d'Assise di Milano rese nota la sentenza ci fu chi protestò perché i giudici erano stati troppo teneri. La legge sulla legittima difesa esisteva, l'aveva varata nel 2006 il governo Berlusconi, stabiliva che non è punibile chi utilizza «un'arma legittimamente detenuta al fine di difendere la propria o l'altrui incolumità e i beni propri o altrui, quando vi è pericolo di aggressione». Però la sensazione era che, in realtà, al cittadino fosse consentito solo di soccombere. Come è successo qualche giorno fa a Giovanni Ravanotto, salumiere di 56 anni che a Milano ha reagito a una rapina impugnando un coltello e si è beccato una pistolettata che gli ha bucato la pancia. Ne è uscito vivo per miracolo. Il fatto è che una certa cultura progressista molto diffusa qui da noi ha sempre avuto problemi a tutelare la proprietà privata. Si è privilegiata la ragione dei banditi: tabaccai, gioiellieri, salumieri e commercianti, in fondo, sono dei “padroncini” e in qualche modo meritano che i poveracci si riprendano con la forza ciò che il capitalismo toglie. Un corno. Chi viene aggredito ha diritto a reagire. E se per caso uccide non si può considerarlo un killer. Come si fa a pretendere che uno venga minacciato, terrorizzato, magari pestato e conservi pure la lucidità necessaria a sparare solo per ferire? Impossibile. La vicenda di Petrali - che ha sparato anche fuori dal negozio - è molto più delicata e forse discutibile di altre analoghe. Ma queste riflessioni passano in secondo piano di fronte alla buona notizia: da ieri difendersi è un diritto. E non per finta. di Francesco Borgonovo