Colli Lanzi: "Bisogna studiare per tutta la vita"
L'ad di Gi Group: "Chi lavora deve continuare a crescere. Il posto fisso? Non c'è più"
«Bisogna investire sulla conoscenza di prodotto, di processo. Sull'innovazione. Le competenze saranno sempre più decisive in azienda. D'altra parte le imprese devono rendersi conto che il capitale rappresentato dai loro dipendenti è importante e può essere decisivo per fare un salto di qualità O per uscire da una crisi lunga e insidiosa, come quella che ci stiamo faticosamente lasciando alle spalle. Devono saper utilizzare il knowlegde management, il management della conoscenza. Se ne parla da anni. Ora è divenuto davvero importante. D'altra parte ce ne siamo accorti anche noi, proprio nel pieno della crisi. Era il 2009 quando abbiamo deciso di aumentare gli investimenti in formazione, come non avevamo mai fatto prima. Certo, mi rendo conto che quando i ricavi calano si ha la tentazione di fare il contrario. Ma proprio qui le agenzie per il lavoro devono giocare il loro ruolo di facilitatori del mercato, coscienti delle responsabilità che il nostro ruolo ci impone». In che senso? “La disoccupazione giovanile al 29% è un dato che non ci può lasciare indifferenti; per questo abbiamo deciso di dedicare il 2011 ai giovani. Come prima agenzia per il lavoro italiana pensiamo di poter dare un importante contributo non solo per far incontrare i giovani con le offerte esistenti, ma per farli entrare e, soprattutto, restare nel mondo del lavoro in un'ottica di costante occupabilità». Già, gli americani la chiamano “employability”: la spendibilità del proprio patrimonio di conoscenze, pratiche e teoriche, indispensabili per trovare un nuovo lavoro. Ma come funziona? «Andremo inevitabilmente verso un mercato in cui verranno meno alcune delle rigidità in uscita. Giovani e meno giovani devono capire che il posto di lavoro fine a sé stesso esisterà sempre meno. Quello che gli esperti chiamano “fissismo”, entro in un'azienda da neodiplomato o neolaureato per rimanerci fino alla pensione, è destinato progressivamente a sparire. Certo per ora quel che accade ha penalizzato duramente i giovani. Tutta la ricerca di flessibilità si scarica su di loro». Ma come se ne esce? «Le persone devono continuare a crescere durante l'arco di tutta la loro vita lavorativa. Anche in questo le agenzie per il lavoro sono chiamate a svolgere un ruolo attivo, in prima linea, sia per i lavoratori somministrati sia nell'apprendistato. Devono sapersi affiancarsie alla persona ed educarla a formarsi continuamente, ad accrescere le proprie competenze e le proprie conoscenze. Certo, pure le imprese devono crescere: occorre educarle a guardare il capitale umano come una risorsa decisiva per migliorare produttività e competitività». Cosa pensa della proposta del professor Bertagna di insegnare un mestiere ai giovani mentre studiano per diplomarsi o laurearsi? Per esempio il parrucchiere... «Devo ancora digerirla, l'ho vissuta come una provocazione. Però Bertagna ha ragione quando insiste sulla necessità che i giovani siano disposti a mettersi in gioco in ogni momento. L'idea poi di creare nuovi leganmi, forti, fra il mondo del lavoro e quello della scuola è condivisibile fino in fondo. Bisogna però essere onesti e ammettere che le responsabilità per questo 29% di disoccupati non sono sono tutte di chi cerca un lavoro senza trovarlo. Una buona dose di colpa sta anche nei percorsi formativi autoreferenziali. Per troppi anni la formazione è stata funzionale solo a chi la erogava». Cosa pensa di questi 99mila neo assunti nelle piccole imprese la metà dei quali ha una laurea o un diploma? Il vento sta cambiando? Il tanto vituperato pezzo di carta torna ad avere un valore? «È un buon segnale. Le Pmi si stanno rendendo conto che una solida competenza di base non fa male, anzi, può risultare di grande aiuto se si tratta per esempio di reinventare un business. Ma non mi farei troppe illusioni: i profili tecnici che le imprese non trovano sul mercato del lavoro sono ancora tantissimi. Ci sono un'infinità di opportunità che rimangono insoddisfatte. La sfida, fra l'altro, riguarda anche gli intermediari privati come noi cui spetto il compito istituzionale di far crescere il mercato». di Attilio Barbieri