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Come convivere con una centrale nucleare

In Svizzera l'atomo non crea problemi. Dibattito dopo il Giappone: riproponiamo un articolo del 2009 / SCAGLIA

Andrea Tempestini
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Il devastante terremoto in Giappone ha riacceso il dibattito sull'energia nucleare, alimentato sia da critiche faziose (come denunciato dal nostro giornale domenica) sia con elementi per un dialogo costruttivo. In Asia si vivono momenti di profonda paura: nella centrale di Fukushima si rischia la fusione del reattore dell'impianto. Nemmeno le centrali giapponesi erano preparate per fronteggiare una scossa d'intensità mostruosa, come quella che ha dovuto subire il Paese lo scorso venerdì. Per cercare di stimolare il dibattito sul nucleare, Libero ha deciso di ripubblicare un articolo del 28 febbraio 2009. Andrea Scaglia, da Gösgen, una cittadina della Svizzera, ci raccontava come la popolazione, pur vivendo a pochi passi da una centrale nucleare, non avesse nessuna preoccupazione. PS: Gösgen dal confine italiano dista poco più di 150 chilometri. E dunque eccoci qui, con il nostro bagaglio di paure reali e indotte, per vedere come fanno gli svizzeri a vivere tranquilli con le centrali nucleari nel giardino di casa, e aspetta che chiedo alla ragazza bionda, tiro giù il finestrino e «scusa, come si arriva alla centrale nucleare?», lei sorride e indica alle mie spalle, mi giro e da dietro il costone della montagna sale quest'enorme colonna di fumo denso e biancastro, «ecco, segui quella e ci arrivi». Cominciamo bene. Certo che Olten non è proprio la Svizzera da cartolina. Canton Soletta, dunque tedeschi, una cinquantina di chilometri da Zurigo e meno di trecento dai confini con l'Italia, è città d'industria, di quelle che si lavora tutto il giorno e alle nove di sera in giro c'è quasi nessuno. E mentre faccio gli otto chilometri per arrivare a Gösgen, quattromila persone raccolte intorno alle guglie del municipio e l'impianto nucleare a dominare la valle, ripenso che mi avevano detto proprio così, «vai lì e raccontaci come e perché vivono tranquillamente questa situazione», e io avevo pensato «sì, tranquilli un accidente». E invece è proprio così, di preoccupazione non si avverte segno. NUVOLA DI VAPORE A un certo punto giri la curva, entri nella zona più propriamente industriale ed eccola che si vede là in fondo, pare un'enorme ciminiera invece è la torre di raffreddamento, centocinquanta metri d'altezza e ancora quel fumo, quello che si vedeva già a Olten. Lo butta fuori 24 ore su 24 da quando è entrata in funzione, nel '79, ma niente paura, in sostanza è vapore acqueo. L'avevamo chiesto anche alla ragazza bionda, «ma davvero non siete preoccupati? com'è possibile?», faticando a comprendere tanta tranquillità e inspirando nervosamente quasi a cercare la puzza, noi cresciuti con l'Incubo Chernobyl ben inculcato. E lei placida, «ma guarda che di controlli ne fanno continuamente, finora problemi non ce ne sono stati. E poi tu dove abiti? A Milano? È qui a uno sputo, se questa salta in aria...». Poi una risata. «Ma dài, che è sicura». Ottomila milioni di kilowatt/ora, questa la quantità di energia che genera, che poi equivale al 15 per cento dell'intero fabbisogno svizzero. Uno dei cinque reattori attivi nella Confederazione, questo di Gösgen, gestito dal gruppo Atel, che adesso sta pensando addirittura di costruirne un altro di fianco. Incidenti, come detto, zero. E poi certo, che la centrale sia paesaggisticamente neutra no, questo proprio non si può dire. E nemmeno che sia bella, col suo color grigio-cemento che guarda dritto negli occhi l'alto campanile neobarocco della chiesa, quasi a sfidarlo. Ma ha ragione don Jürg, il parroco, «la gente si è abituata», la fiducia è andata consolidandosi nel corso del tempo. E comunque ormai è lì, ce lo spiega anche la signora Karin dal suo giardino vista-reattore, «sì, bello non è, meno male che ci sono quegli alberi, ma ormai fa parte del paesaggio, non ci si fa più caso. Ogni tanto ce lo chiediamo, “farà male?”, ma devo dire che alla fine ci fidiamo». Qualche protesta ci fu, ai tempi della costruzione, poi più niente o quasi. In ottobre c'è stata una manifestazione a Zurigo, ma c'erano quattro gatti. E non è nemmeno che gli abitanti del luogo godano di particolari vantaggi in bolletta, ce lo confermano dalla stessa Atel: il ritorno, sul piano economico e sociale, è dato dal lavoro. Sono quattrocento le persone impiegate nella centrale, e l'80 per cento è di qui. E poi ci sono tutte le attività, gli alberghi, i trasporti, i servizi, che sulla presenza dell'impianto ci vivono. al di là del canale E intanto abbiamo proseguito sulla strada che costeggia il fiume e s'inoltra nella campagna, una corsia ad andare e una a tornare. E dopo neanche un chilometro s'incontra questo piccolo borgo, c'è anche l'indicazione, si chiama Mühledorf. Una trentina di case da una parte della strada, altrettante dall'altra. E la scena, per noi nipotini del referendum anti-atomo, è davvero impressionante: la centrale è lì, a poche decine di metri, appena al di là del canale che poco prima si divide dal torrente per lambire l'impianto, e comunque è a un tiro di fionda e anche meno. Con l'enorme torre che sbuffando domina, e le casette basse e coi tetti in legno e le facciate colorate e i panni stesi che ricordano tanti piccoli funghi spuntati ai piedi del grande tronco di cemento. Imbocchiamo la stradina, parcheggiamo la macchina. Poca gente, è orario d'ufficio o di fabbrica. Nel prato due ragazzini giocano col cane sotto gli occhi della mamma, oggi fa freddo e sono imbacuccati, e l'abbaiare è l' unico rumore a parte le macchine che passano dalla strada, vrooomm, una ogni tanto, vrooomm. Passeggiamo. C'è un uomo che lavora il ferro, da fuori si sentono i rumori e si intravedono i lapilli di una saldatura in corso. C'è la falegnameria, e più in là anche l'insegna di un ristorante che però è chiuso. Passa un ragazzo, avrà trent'anni, fa il contadino e cura i suoi campi, «sì, io qui ci sono cresciuto, sotto la centrale», chiediamo anche se gli abitanti di qui sono lavoratori dell'impianto e lui risponde che no, solo qualcuno, però è di fretta, grazie scusa e arrivederci. Più avanti ci sono due mamme che spingono i figlioletti sull'altalena, loro invece sono disponibili alla chiacchiera. Parlano solo tedesco ma ci si capisce, indichiamo la centrale e una di loro fa un gesto come a dire «bè? e allora?», e noi «no problems?», e lei scuote la testa «no, no problems, why? perché?» e sorride. «ci toglie luce» Torniamo indietro e andiamo verso la ciminiera. E c'è quest'immagine davvero incredibile, con la casetta della famiglia Henzmann che s'affaccia sul canale, sembra quella di Hansel e Gretel, sulla porta d'entrata cuoricini appicciati con i nomi di papà e mamma e i tre figli, il tetto spiovente marrone, la facciata gialla e rossa, le finestre con le tende di pizzo bianco e i vasi per i fiori, il giardinetto con il barbecue e lì di fianco, accatastati, i ceppi di legno per il camino. E il grande comignolo della centrale nucleare è proprio lì, non so, saranno due-trecento metri ma sembrano di meno. Incombe, ma per il signor Henzmann è per nulla minaccioso. Ci spiega che è arrivato nel '93, dunque la centrale già c'era, e gli chiediamo perché ha scelto di vivere proprio qui, lui che lavora in città, e spiega che «c'è spazio per i bambini, possono correre nei prati, e poi ho anche il cane». E della centrale non fa cenno, tanto che a un certo punto siamo noi a ricordargliela, indicando la torre giusto davanti a noi, «e questa qui?». Lui si gira quasi avessimo visto qualcosa che a lui era sfuggito, «ah, la centrale?». E dice che «no, disturbo poco, tra l'altro non fa neanche rumore». Poi ci pensa: «Bè, una cosa c'è. È che oscura il sole, ecco. Fra l'altezza della torre e il vapore che esce di continuo toglie troppa luce, questo sì». E noi glielo diciamo, glielo diciamo veramente, con tono concitato, anche: maccome? Il problema è che “fa ombra”? E la la radioattività? La contaminazione? Chernobyl? Il signor Henzmann sorride: «Ma no, è sicura». Nel frattempo arriva un altro signore, abita nella grande casa che sta di fronte. Ci avviciniamo. Si chiama Rudolph Shenker, e anche lui ha comprato casa qui che l'impianto era già in funzione. Appena capisce che siamo italiani ci fa entrare in una specie di grande garage, «ecco, guarda», e ci mostra la sua collezione di motociclette d'epoca, pezzo pregiato una spledida Rumi Sport, prodotta dal mitico Donnino Rumi di Bergamo negli anni Cinquanta. «E poi guarda qui questa Moto Guzzi, e lì, la vedi quella Triumph? E poi...». Sì, ma la centrale nucleare? «Cosa?». Vive a pochi metri dalla centrale nucleare... E il tono di Rudolph cambia, si fa paziente: «Vieni fuori. Ecco, vedi, questo è il mio albero di noce. Periodicamente faccio controllare i frutti, per testare il grado di radioattività. E sono sempre rimasti nella norma». Tornando verso la macchina, vediamo un'anziana signora che zappetta nell'orto davanti a casa. Ci dirigiamo dall'altra parte della strada, avevamo visto dei cavalli. E infatti c'è un maneggio. È gestito da Therese, lei qui ci è nata sessanta e più anni fa. La centrale ce l'ha di fronte. E no, non le piace. Ma non è preoccupata, «no, non ho paura. È brutta, questo sì, ma non credo che sia pericolosa. E poi è vero, ci toglie troppo sole». C'è una bambina che aspetta, deve fare lezione e il cavallo è già pronto. Psso farle una foto, signora? «Ma certo. Mi metto qui, coi miei cavalli». Perfetto. UN ALTRO REATTORE E comunque, la frase che meglio fotografa lo stato d'animo della gente di Gösgen è quella della cameriera del bar ristorante Egge, tutto legno chiaro e finestre di pizzo bianco e atmosfera di nord Europa, e siccome ormai buio si intravedono dal vetro le lucine che segnalano la torre fumante, alcune lampeggiano intermittenti. E la donna ci spiega che paura no, non ne ha mai avuta, lei è etiope ed è qui da 14 anni e ha due figli, «e quindi figurati, con tutti i pensieri che ho ci manca solo che mi metta a preoccuparmi per la centrale...». Ed è ammirevole, e per un italiano perfino strana, la fiducia che i cittadini riservano a chi deve controllare la sicurezza della comunità. D'altronde proprio il sindaco di Gösgen, alla notizia che era stata presentata domanda per installare un altro reattore di fianco a questo, ha commentato che «certo, in ogni impianto atomico è insito un certo potenziale di pericolo. Tuttavia, avrei più paura se si trovasse dall'altra parte della frontiera». Niente paura, dunque. Qui siamo svizzeri, mica italiani. di Andrea Scaglia

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