Ruby, pressing Pdl su Fini: "Conflitto di attribuzione"
La maggioranza chiede la tutela "di prerogative di Montecitorio: capi d'accusa infondati" / TEMPI ED EFFETTI
I capigruppo della maggioranza Fabrizio Cicchitto (Pdl), Marco Reguzzoni (Lega) e Luciano Sardelli (Noi Sud), hanno inviato al presidente della Camera, Gianfranco Fini, una lettera in cui chiedono di sollevare un conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato "a tutela delle prerogative della Camera". Un'iniziativa senza precedenti che conferma la linea dura del governo in tema di giustizia. Il succo della mossa dell'esecutivo è questo: deve essere il Parlamento che è sovrano e che deve esprimersi, deve essere la Camera a sollevare il conflitto di attribuzione (quindi non il Governo e nemmeno il Presidente del Consiglio) con cui stabilire la competenza del giudizio sul caso Ruby. Deve ovvero sollevarlo Gianfranco Fini, proprio il principale avversario politico di Silvio Berlusconi, di cui il Pdl da tempo chiede le dimissioni per incompatibilità con il ruolo istituzionale. La linea del governo è stata delineata al termine di una riunione fiume tenuta nel pomeriggio di martedì a Palazzo Grazioli. "TOGHE SUPERFICIALI" - Pdl e Lega, in relazione al Caso Ruby, hanno così formalizzato la richiesta di sollevare il conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale. Il fine della richiesta - spiegano i tre capigruppo che sottolineano "l'assoluta infondatezza ed illogicità dei capi di imputazione" - è quello di "tutelare un corretto rapporto tra i poteri dello Stato". Nella lettera firmata da Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli, si insiste anche sulla "superficialità" che sarebbe stata dimostrata dalle toghe di Milano. La richiesta di sollevare il conflitto è infatti nei confronti della Procura e del gip di Milano che, per il caso Ruby, hanno imputato al Cavaliere i reati di concussione e prostituzione minorile. LA LETTERA - "All'organismo parlamentare", si legge nella lettera trasmessa a Fini, "non può essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria. Né tantomeno ove non condivida la conclusione negativa espressa dal Tribunale dei ministri (la possibilità di sollevare conflitto d'attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale) assumendo di essere stata menomata per effetto della decisione giudiziaria, della potestà riconosciutale dall'Articolo 96 della Costituzione". GIANFRANCO CON LE SPALLE AL MURO - Con questa mossa politica Gianfranco Fini viene messo con le spalle al muro. Nel Pdl circola la convinzione che alla fine si "laverà le mani" della richiesta e rinvierà la questione all'Aula. Se non lo farà, osservano fonti parlamentari, allora sarà chiaro il suo ruolo politico (ammesso che già non lo sia). Il leader di fli a quel punto investirà la Giutna per il Regolamento. Da par suo, il Cavaliere vuole un plebiscito della Camera, ottenendo una nuova fiducia con maggioranza compatta. FINI: "DECISIONE A LUCE DEI REGOLAMENTI" - Lunedì sera nella trasmissione Otto e Mezzo de La7, Gianfranco Fini aveva dichiarato: "Non ci sono precedenti e sarà una decisione presa alla luce dei regolamenti e valutata dall'ufficio di presidenza e dalla giunta per il regolatmento. Non ci sarà alcun conflitto istituzionale tra mio ruolo di Presidente della Camera ed il mio ruolo politico". Nell'ipotesi che si dovesse sollevare il conflitto di attribuzione "credo che Fli farà ciò che ha fatto fin qui, nella migliore tradizione della destra italiana". LA SCHEDA: Cos'è il conflitto di attribuzione e come funziona? Sollevare il conflito di attribuzione alla Camera significa, in caso di accoglimento del ricorso da parte della Corte Costituzionale, riportare il processo in questione all'autorizzazione a procedere per il caso di reato ministeriale. Si può sintetizzare così l'obiettivo che la maggioranza si propone, attivando la procedura per il processo che riguarda Silvio Berlusconi per il caso Ruby. LA LEGGE - La legge costituzionale 1 del 1989 attribuisce alla Camera il potere di dare l'autorizzazione a procedere di fronte a reati ministeriali, commessi da ministri e presidente del Consiglio, secondo quanto disciplinato dall'articolo 96 della Costituzione. Nel caso in cui, dunque, la Camera ritenesse lesa questa sua prerogativa, la Camera può sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri davanti alla Corte Costituzionale. I passaggi parlamentari previsti chiamano rispettivamente in causa Ufficio di presidenza, Giunta per le autorizzazioni e quindi voto dell'assemblea. I TEMPI - Ad ogni modo, non si sospende da subito il procedimento ormai avviato davanti ai magistrati. L'ipotesi di sospensiva del procedimento, infatti riguarda il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi sollevato in via principale ed il conflitto fra enti e non fra poteri dello Stato. LE FASI - Sollevato il conflitto di attribuzione, il giudizio della Consulta si articola invece in due fasi. In una prima i giudici costituzionali sono chiamati a conoscere il ricorso del ricorrente, in camera di consiglio e senza contraddittorio. Se giudicano ammissibile il ricorso, la Corte dispone la notificazione alle parti che ha individuato e dà un termine al ricorrente perchè ridepositi il ricorso notificato. Per le notifiche in genere il termine è di 60 giorni, 30 o 15 in alcuni casi più urgenti. La Corte dà quindi un termine di giorni anche alla parte resistente per decidere di costituirsi in giudizio. Dal momento, dunque dell'eventuale dichiarazione di ammissibilità passerebbero alcuni mesi per giungere alla trattazione nel merito del conflitto sollevato. GLI EFFETTI - Se la Consulta dovesse riconoscere il ricorso fondato, il giudizio penale verrebbe travolto e il procedimento ripartirebbe secondo la legge costituzionale, che prevede l'autorizzazione a procedere in caso di reato ministeriale.