Sinistra, Saviano: prove tecniche di leadership
Lo scrittore accolto come una star alla kermesse anti-Cav di Milano. Attacca i "criminali" e invoca l'unità / BORGONOVO
Il Palasharp di Milano trema per il boato della folla, le ragazzine strillano d'emozione. Ci si aspetta che la presentatrice annunci: «Ecco a voi i Beatles» e invece sul palco si manifesta Roberto Saviano. Il profumo di santità si annusa fin sugli spalti. Dalle gradinate esplode una voce femminile: «Roberto, vieni via con me!»; un'adolescente con la coda si avvicina alla ribalta con penna e quaderno, vuole un autografo, ma il servizio di sicurezza interviene con decisione per dissuaderla. Alla manifestazione di Libertà e Giustizia «Berlusconi dimettiti, per un'Italia libera e giusta» l'autore di Gomorra si presenta come la rockstar che è da anni. Arriva in ritardo e se ne va prima della fine, il suo intervento è il più lungo. Ma anche il più applaudito. Alla fine, tutto il palazzetto si leva per la standing ovation. Ogni volta che Robertino si gratta la testa lucida, a ogni accenno di ostentata emozione e di timidezza ben dosata, gli spettatori vanno in delirio. È lui il leader politico che vogliono e ai capoccia del Pd conviene non farsi vedere, perché verrebbero ignorati come il povero Dario Franceschini, pur seduto in prima fila. Saviano ne è consapevole, misura le parole, sa che non sono più quelle di un semplice romanziere, seppur vendutissimo. Si comporta da “papa straniero”, proprio come vorrebbe Ezio Mauro, il quale ieri su Repubblica ha sbattuto in prima pagina un articolo di Roberto che riassumeva il contenuto dell'intervento al circo progressista milanese. Leggendo il pezzo, sembra di trovarsi davanti al manifesto di un candidato premier. Lo scrittore che non scrive più libri afferma: «L'Italia oggi non è un Paese libero». Non siamo al fascismo, ma «la democrazia è in ostaggio», ribadisce al Palasharp. Di chi? Berlusconi ovvio. Silviuccio, dice, vuole offrire il «ritratto di un Paese piegato e corrotto, accomunato in una specie di complicità collettiva». Dobbiamo smettere, dice Saviano alla folla eccitata, «di sentirci una minoranza di persone perbene in un Paese di criminali. Il Paese è perbene, con una minoranza di criminali». Si capisce chi sono i criminali. I manifestanti sono estasiati, Umberto Eco e Gustavo Zagrebelsky, intronati accanto al pulpito da cui comizia il giovane amico, non muovono un dito, si limitano ad annuire saltuariamente come i grandi saggi. Carlo De Benedetti osserva ammirato dalla platea. Saviano sfodera le consuete argomentazioni sulla macchina del fango berlusconiana che intimidisce gli oppositori politici, ma aggiunge al testo visto su Repubblica un passaggio dedicato al «voto di scambio». Cita la compravendita delle schede alle primarie napoletane del Pd. I sostenitori di Libertà e Giustizia approvano, sicuri che Robertino rappresenti il cambiamento nel fronte progressista. E lui non delude. «Appartengo a un'altra generazione», suggerisce sornione, non sono uno che ha creduto «nel socialismo reale». Si presenta come uomo nuovo e pulito, al di sopra delle parti. Il suo intervento procede con un appello all'unità del fronte anti-Silvio. «Sembriamo condannati a diverdeci su ogni cosa. Ci si può essere antipatici, ma in questo momento non c'è spazio per sottolineare le differenze, per misurare chi è più critico e chi è più puro, chi ha la corona del miglior antagonista o dell'Italia migliore». Le sinistre devono essere unite, e bisogna parlare a chi sta dall'altra parte, non tutti gli elettori “di destra” sono persi. Il concetto è simile a quello contenuto nel discorso di Concita De Gregorio (pubblicato ieri dall'Unità). Avviciniamo la direttora e le facciamo notare: Saviano richiama la sua area di riferimento alla compattezza. «L'ho scritto nel mio pezzo», risponde piccata, come a rimarcare che l'ha pensato prima lei. Specifica che Roberto non può guidare la sinistra. Poi, sul palco, dirà che bisogna mettere da parte i personalismi, che lei andrà a tutte le manifestazioni in programma nelle prossime settimane. Il messaggio è per Michele Santoro e il movimento di Legittima Difesa fondato con Marco Travaglio e Barbara Spinelli. Che una rivalità esista è evidente, nonostante i richiami alla pace (faranno i conti in seguito, i compagni). Saviano invece non nomina mai il martire catodico Michele. Vuole la scena tutta per sé. Rivendica la «diversità» della sua Italia, ben altro dal ciarpame berlusconiano. Finito di parlare, Roberto si accomoda per ascoltare Umberto Eco, ridacchia quanto il professore dice che il Cavaliere è «schizofrenico». Poi si alza e se ne va, la gente si spella le mani. Forse è un'illusione ottica, ma mentre lo scrittore scende dal palco, sembra un Giorgio Napolitano più giovane, pelata compresa. E anche se a Milano c'è il sole, rabbrividiamo un po'.