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I fissati della questione morale

Da Piero a Silvio: vittime dei bigotti postcomunisti

Andrea Tempestini
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Piero Marrazzo è stato ribeccato alle tre di notte mentre circolava con un viado sudamericano - l'avete letto ieri - e però ufficialmente non stava facendo niente di male, nel senso che non stava compiendo nessun reato. Il suo caso, riletto oggi, resta però interessante proprio perché ripropone un embrione dello stesso neo-bigottismo postcomunista che sta travolgendo Silvio Berlusconi, e che soprattutto sta schierando la sinistra con la parte più retriva della pubblica opinione.  Marrazzo, infatti, da principio non risultava che avesse commesso reati, e in teoria non aveva alcun motivo di dimettersi: lo fece all'istante, però, perché il Partito lo pretese. Lo scandalo e il problema, in altre parole, riguardarono il fatto che Marrazzo frequentasse dei transessuali a pagamento nonostante fosse un uomo sposato: fu il timore dell'impatto sull'opinione pubblica a risvegliare certa intransigenza moralistoide; il suo atteggiarsi a cattolico, cioè, salvo andare con trans brasiliani di un metro e ottanta. Anche nel suo caso dissero immediatamente che era «ricattabile»: anche se, in teoria, dove non c'era reato non doveva esserci vergogna. E fu dell'aspetto morale o moralista che si discusse per settimane nell'agone politico e nei talkshow: non del fatto che Marrazzo fosse stato accusato di peculato e di altre faccende, sorvolando peraltro sulla cocaina comparsa sulla scena. Andò così: i pistaioli della giudiziaria si abbassarono a setacciare i peggio trans della Capitale e mendicarono interviste guardone e squallori veristi, mentre della questione giudiziaria - esattamente com'era accaduto per le inchieste di Bari - tutto sommato non gliene fregava niente a nessuno. C'è da dire che il copione del redento di sinistra, Marrazzo, lo recitò appieno: pubblica confessione, pubblica mortificazione, pubblica minimizzazione, pubbliche dimissioni, somatizzazione e malattia, pace con la moglie in tre secondi, ritirata in convento e predicozzi sull'infelicità del successo: ero come un drogato, eccetera. L'accento, ossia, fu posto su aspetti squisitamente personali nel momento in cui divennero pubblici: un'eredità del vecchio bigottismo comunista e uno schema che è riproposto tale e quale, ora, con Silvio Berlusconi. Sui giornali come altrove, infatti, l'aspetto strettamente penale del caso Ruby è sicuramente quello che interessa meno: non è sulla telefonata in questura o sui problemi anagrafici delle ragazzette che si concentra l'attenzione più morbosa dei media, e le annunciate e un po'  grottesche manifestazioni che sono in incubazione. Il messaggio resta: Berlusconi è moralmente indegno, e ci fa fare brutta figura. Anche il caso di Fabio Delbono, l'ex sindaco di Bologna, è abbastanza illuminante. Lo scandalo che lo travolse, e che spinse la sinistra a imporgli le dimissioni, fu sicuramente legato al fatto che era un uomo sposato ma che si scoprì che aveva un'amante: interessò molto meno che fosse inquisito per peculato e abuso d'ufficio e truffa aggravata, ipotesi di reato che adesso non interessano più a nessuno. In quel periodo fioccarono peraltro non poche dichiarazioni rivelatrici. Pier Luigi Bersani, a proposito del popolo di sinistra, disse nel gennaio 2010: «Da noi c'è un civismo che non tollera ombre... c'è questa colossale differenza di comportamenti... La cosa più importante è cosa fai, come ti comporti, come reagisci, come fai vedere che noi non siamo loro. E fin qui ci siamo riusciti, a cominciare da Delbono». Chiosava sul Corriere della Sera, nello stesso giorno, Mirko Divani, il manager bolognese che aveva dato a Delbono un bancomat poi passato all'amante: «Certo, noi siamo gente cresciuta alla vecchia maniera, che ci possiamo permettere di fare la morale agli altri». Peccato che questa morale, a proposito di Silvio Berlusconi, ai tempi si dimostrasse l'unica disponibile. Furoreggiava ancora, infatti, negli stessi giorni, il caso D'Addario: ma nessuno  contestava dei reati al presidente del Consiglio. Era ormai noto che la signorina D'Addario fosse una escort, circostanza che Berlusconi negava di conoscere: però doveva dimettersi, secondo la sinistra, esattamente come due amministratori portati a esempio: Delbono e Marrazzo. La sinistra che un tempo si faceva paladina dei diritti civili e delle minoranze - le prostitute tra queste - invocava così la nuova frontiera della questione morale.

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