Patrimoniale, una farsa: il Pd la ama, l'Italia no
Amato e Bersani sbagliano i conti: per 'limare' 600 miliardi di euro bisognerebbe tassare pure i lattanti. E intanto il sistema fa acqua
Le patrimoniali prima si fanno, poi eventualmente si spiegano. La sinistra, invece, vuole fare il contrario e sbaglia pure i conti. Pier Luigi Bersani e Giuliano Amato (e sotto sotto, pure il Terzo Polo) hanno detto no alle proposte di riforme di Silvio Berlusconi perché pensano di poter ricavare 600 miliardi facendo pagare a un terzo dei contribuenti, quelli più ricchi, una tassa una tantum di 30mila euro netti in un biennio. Peccato che per fare 600 miliardi con 30mila euro bisogna avere 20 milioni di cittadini tassati. E venti milioni di cittadini tassabili per 15mila euro netti all'anno l'Italia non li ha. Amato, 'guru' dell'finanza democratica, confonde i contribuenti, che sono 41,2 milioni con i cittadini italiani che sono 60 milioni (lattanti e nullatenenti compresi). Altro piccolo problema: il reddito dichiarato dai contribuenti. Sono 14 milioni gli italiani che dichiarano da 15mila euro lordi all'anno in su, e solo 2,9 milioni quelli che dichiarano al fisco più di 40mila euro lordi, cifra minima da avere in tasca per portare alla patria 15mila euro netti di oro all'anno. Impraticabile. Se ne è accorto lo stesso ex premier che successivamente ha spiegato di volere chiedere quello sforzo solo a chi dichiarava più di 100mila euro all'anno. LA BARCA AFFONDA - I numeri danno ancora torto ad Amato e al Pd. In tutto sono 398.125 i contribuenti che dichiarano di incassare almeno 100mila euro lordi all'anno. Se si chiedesse a loro 30mila euro in due anni si otterrebbero 11,9 miliardi di euro e non i 600 necessari ad abbattere il debito pubblico. Per fare quella somma bisognerebbe chiedere a ciascuno di loro 1,5 milioni di euro. Che non hanno, e quindi non potrebbero pagare. Dibattito chiuso alla prima verifica con la calcolatrice, in un paese normale. Ma l'Italia paese normale non è, e quindi ci si accapiglia e ci si appassiona su un problema che non esiste. Anche perché, come ha ricordato Andrea Scaglia oggi su Libero, i veri guai vendono dal sistema fiscale che già c'è, non solo da quello che potrebbe venire. In prima fila, i contenziosi tributari. Persone e imprese che hanno portato il fisco (o chi per esso) davanti al giudice, poiché si ritengono vittime d'una qualche ingiustizia o sopruso. Un ricorrente su tre ha ragione, segno che la macchina tributaria italiana fa acqua da tutte le parti. E la Commissione centrale, abolita per legge, non può andare in pensione: deve prima smalitire gli... arretrati.