Bandito Giuliano, smentita compatibilità dna
Il procuratore di Montelepre mette e tacere le indiscrezioni. Aperta un'inchiesta per accertare che il cadavere sia il suo
"Smentisco che dagli accertamenti finora eseguiti sia emersa la compatibilità tra il dna estratto dal cadavere riesumato a ottobre a Montelepre, ritenuto del bandito Giuliano, con quello dei consanguinei finora usato per la comparazione". Così il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, ha smentito le notizie riportate da alcuni quotidiani sull'accertamento del dna del re di Montelepre, Salvatore Giuliano, il leggendario bandito ucciso a Castelvetrano (Trapani) nel luglio 1960. L'INCHIESTA - La Procura di Palermo ha contestualmente aperto un'inchiesta per accertare che il cadavere che riposa da cinquantanni nel cimitero di Montelpre sia effettivamente quello del bandito o di un'altra persona. Il procuratore aggiunto, che coordina l'inchiesta, esclude così al momento anche la possibilità "della sostituzione di cadavere che costituisce oggetto dell'indagine". I risultati definitivi del dna comparato si avranno soltanto nelle prossime settimane. L'IPOTESI - In precedenza era trapelato che gli accertamenti medico-legali e il test del Dna avessero confermato che i resti sepolti nel cimitero di Montelepre fossero del bandito. I magistrati di Palermo avevano riaperto le indagini dopo 51 anni in seguito all'esposto dello storico Giuseppe Casarrubea, il quale aveva ipotizzato che Giuliano avesse fatto uccidere una persona per farla seppellire al posto suo e potere così godersi una indisturbata latitanza. Il profilo genetico estratto da quanto restava della salma avrebbe coinciso, infatti, con quello del nipote Giuseppe Sciortino Giuliano, figlio della sorella del bandito; anche l'esame obiettivo delle ossa, il femore in particolare, evidenzia una corrispondenza con l'altezza del criminale: in base alla carta d'identità e alla scheda del servizio militare era alto 162-166 centimetri.