Magie in procura: è sparito il segreto istruttorio
Caso Ruby: così giudici, giornalisti e politici hanno ammazzato la legge / F. FACCI
La domanda è: come ci siamo arrivati? Le 389 pagine dell'invito a presentarsi recapitato a Silvio Berlusconi le hanno rispettivamente diffuse il sito «Dagospia», quello di «Libero» e poi chiunque abbia voluto. In rete circolano versioni che contengono informazioni di presunta rilevanza giornalistica (ripeto, presunta) ma anche conversazioni, nomi di persone e numeri di telefono che di rilevante non hanno nulla. Remore e scrupoli non esistono, perché le carte, se non le pubblichi tu, un secondo dopo le pubblicano altri. Così leggiamo veramente ogni cosa tutto mentre già si parla di foto, video e registrazioni. Le stesse carte inviate alla Camera - in teoria riservate, come dovrebbe essere l'inchiesta preliminare - contengono alcune interviste giornalistiche fatte in reazione all'oggetto della stessa indagine, visto che le notizie girano da mesi. Queste carte oltretutto non sono fuggite dalla Procura, ma sono state beatamente trapelate dalla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. Testimoni e imputati parlano e si difendono nelle sedi istituzionalmente previste: a «Kalispera», in tv, con videomessaggi, sui giornali. Inutile dire che tutte le ragazze in questione (tutte) saranno considerate prostitute a vita, mentre qualche particolare comincia finalmente ad affiorare anche sulle loro madri e sui fidanzati e sugli amici. Abbiamo già visto fotografie delle ragazze in tutte le salse, e la didascalia, non scritta, recita così: puttane. Intanto si è passati all'analisi dell'agendina telefonica di Michelle Coceicao, la brasiliana a cui fu riconsegnata Ruby dopo la nottata in questura: e vai con altri numeri di politici, imprenditori, poliziotti, escort, trans, femminielli e palestrati. Stiamo parlando di un'inchiesta ripetiamo, in fase preliminare, e che riguarda reati in teoria non particolarmente gravi. Da capo: come ci siamo arrivati? C'è da annoiarsi a chiederselo, figurarsi a leggerlo: e però la domanda occorre pur farsela. Verrebbe voglia di tornare ai tempi di Mani pulite, quando una mezza riga di troppo, pubblicata sui giornali, spingeva al suicidio e comunque accendeva dibattiti pazzeschi sul segreto istruttorio. Viene voglia di tornare indietro nel tempo e di prendere uno di quei malcapitati - già allora sputtanati sui giornali - per dirgli: tranquillo, ti sta andando bene, tu parli di barbarie e di atti depositati in edicola, pensi che questa stortura presto o tardi dovrà rientrare, ma non hai idea di che cosa riserva il futuro; verrà il giorno, caro, in cui saprai tutto persino sulla filanca delle mutande del tuo presidente del consiglio, e ci saranno foto, registrazioni, tutto, e questo non a margine di un'inchiesta devastante che segnerà il passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica, ma a margine di un'inchiesta su un singolo caso di prostituzione minorile. C'è di buono, se il concetto di segreto istruttorio è definitivamente morto dopo vent'anni di agonia, che oggi conosciamo almeno gli assassini: magistrati e giornalisti in combutta tra loro, efficienti e micidiali nel sostituire una legislazione materiale alle velleità di chi il Codice, pure, l'aveva scritto e pensato. C'è da commuoversi, oggi, a ricordare quando il vicepresidente del Csm Giovanni Galloni, nel 1992, diceva che «la stampa deve intervenire solo a conclusione delle indagini». E c'è quasi da ridere a ricordare gli articoli 114, 684 e 329 del Codice di procedura penale, quelli secondo i quali è vietato pubblicare il testo virgolettato di un interrogatorio o di un'intercettazione. Norme che nessuno ha mai abrogato. E pensare che molti magistrati, a quel tempo, lanciavano allarmi mentre i giornalisti dicevano che non avrebbero più potuto scrivere una riga: il procuratore della Cassazione Vittorio Sgroi, all'inaugurazione dell'anno giudiziario 1992, definì le nuove norme «ipergarantiste». In teoria sono le stesse di oggi, con la differenza che nel tempo è stata perfezionata la loro distruzione, la loro perfetta scomparsa, e il tutto con la collaborazione di chi, durante la rapina, faceva il palo: la classe politica. Parliamo di quella di allora, ma anche quella di quella di oggi, quella cioè che non è riuscita neppure a mettere insieme una legge decente sulle intercettazioni: cosicché continuiamo a pubblicarle come nessun paese del mondo. Stia contenta la sinistra. A destra, invece, stiano contenti i finiani, che quella legge hanno boicottato in tutti i modi. Perché la gente deve sapere, e infatti sta sapendo. Ma che cosa?