Presupposti per un ritorno degli anni di piombo
di Giampaolo Pansa
Uccidere un giornalista quando ritorna a casa dal lavoro: ecco una storia orrenda che abbiamo già vissuto. Nel novembre 1977, Carlo Casalegno fu ammazzato nell'androne del suo palazzo, a Torino, mentre rientrava dalla “Stampa”. Un killer delle Brigate rosse gli sparò alle spalle e poi se andò indisturbato. A volte il piano attuato dagli assassini prevedeva un percorso inverso: il giornalista veniva accoppato mentre andava al lavoro. Nel maggio del 1980 accadde così a Walter Tobagi. Lo stesso era avvenuto per Indro Montanelli. Anche lui doveva morire e si salvò perché venne soltanto ferito alle gambe. Adesso, tanto tempo dopo la stagione di sangue degli anni Settanta e Ottanta, è accaduto anche a Maurizio Belpietro. Per lui era prevista la stessa fine di Casalegno: ucciso al rientro da una giornata di lavoro nella redazione di “Libero”, al centro di Milano. Belpietro deve avere un angelo custode di quelli molto attenti. Questo angelo ha salvato lui, uno dei due poliziotti che lo scortavano e la famiglia di Maurizio, la moglie e le bambine. Purtroppo non ha potuto fermare il killer che è riuscito a ritornare nel buio da dove era uscito. Che cosa ci rivela il fallito omicidio di Belpietro? Prima di tutto che i giornalisti sono ritornati a essere le prime vittime possibili di un nuovo terrorismo. Per un fatto semplice: sono figure molto conosciute e non hanno le scorte formidabili di tanti vip della casta politica. Eppure, in questa società fondata sui media, sono loro a rischiare più di altri. Soprattutto quelli che svettano nella professione poichè hanno l'abitudine di scrivere e parlare chiaro. Per un dovere verso i lettori e gli editori. E per rispetto nei confronti delle redazioni. Mai ipocrita Da quando lo conosco, Belpietro è sempre stato così. Abituato a dire sì o no, e mai qualcosa di incerto, di nebbioso, che sta nel mezzo con ipocrita prudenza. Per chi ama un'informazione reticente o da paraculi, quelli come lui sono cattivi soggetti. Gente che sta in prima linea, ragiona con la propria testa e scrive quanto gli sembra giusto. Senza inchini verso nessuno. Soprattutto verso i tanti pennacchioni della politica italiana. Ras presuntuosi e mediocri che abbondano in entrambi i blocchi, tanto di maggioranza che di opposizione. Ecco il primo insegnamento che ci viene da questo delitto sventato per caso. Lo tengano a mente i direttori di giornale più impegnati nel raccontare e a giudicare il caos politico di oggi. Da adesso in poi, dovranno stare molto attenti a quanto accade attorno a loro. Tanti o pochi che siano, sono tutti soggetti a rischio. Obiettivi probabili di una strategia che le forze di polizia e i centri di intelligence hanno l'obbligo di svelare. Voglio scriverlo perché non credo che il mancato killer di Belpietro fosse un pazzoide isolato. Una specie di Tartaglia armato di rivoltella al posto di un piccolo Duomo di marmo. Aveva di certo pedinato il direttore di “Libero”, conosceva bene il terreno dell'agguato, ossia il palazzo, le scale, la collocazione dell'appartamento. Ed era così pronto a uccidere da aver tentato di accoppare il primo poliziotto che gli è apparso di fronte. Il secondo insegnamento riguarda l'aria cattiva che soffia in Italia da mesi. Nella mattinata di ieri, molti amici mi hanno telefonato per dirmi che avevo visto giusto nel denunciare, su “Libero” e sul “Riformista”, quanto stava accadendo. A tutti ho risposto che non sono un indovino. E non mi ritengo neppure più furbo di tanti altri colleghi. L'unico mio vantaggio è di avere i capelli bianchi e di aver raccontato l'esplodere del terrorismo rosso e nero negli anni Settanta e Ottanta. È stata la memoria di un tempo coperto di sangue a farmi annusare, in questo 2010, i sintomi di un pericolo troppo simile a quello di allora. Mi sono limitato a sommare due più due. E il risultato è stato terrificante. Proviamo a mettere in fila certi segnali. Una crisi economica non risolta e che rischia di diventare una crisi sociale rabbiosa. Un sistema politico paralizzato in due blocchi che si combattono senza risparmio. Un'asprezza verbale che persino in Parlamento non conosce più limiti. L'inizio di una caccia all'uomo che da settembre in poi non ha quasi avuto soste. Culminata, prima di ieri, con l'aggressione al segretario generale della Cisl che ha rischiato di essere ucciso da un razzo fumogeno. E ancora un conflitto sindacale sempre più esasperato, come dimostra l'assalto alle sede della Cisl di Treviglio, condotto da militanti della Fiom-Cgil. Infine gli innumerevoli indizi di una faziosità cieca che sta crescendo a sinistra. E che considera nemico pure chi dirige un giornale sgradito, scrive articoli troppo schietti, pubblica libri che la cultura post-comunista mette all'indice. L'irresponsabilità Su questo caos gonfio di malvagità, emergono figure di politici irresponsabili, capaci soltanto di giocare con il fuoco. Avrei più di un nome da fare. Ma oggi non voglio scriverli perché mi darebbe fastidio sentirli strillare di non essere i mandanti del tentativo di uccidere Belpietro. Questi politicanti hanno cresciuto migliaia di figliocci. Gli stessi che oggi si rammaricano che il direttore di “Libero” non sia stato eliminato. E si domandano perché non venga accoppato anche Vittorio Feltri. Confesso di scrivere queste note con animo scoraggiato. Per carattere sono un ottimista. La vita mi ha insegnato che avere paura non serve a niente. Eppure mi domando sempre più spesso quale terribile mutazione stia subendo il nostro paese. Ormai l'Italia politica sembra diventata un territorio sismico. Anche nelle aree che non hanno mai vissuto un terremoto. Gli inquilini di Montecitorio e di Palazzo Madama non l'hanno capito che pure loro rischiano grosso. Ma sotto troppi palazzi del potere il terreno sta ballando. A farlo ballare c'è un estremismo armato, in gran parte ancora sconosciuto. Oggi si manifesta come un ribellismo rosso, attivo in più di una città, con battaglie di strada e assalti a eventi politici. Ma pronto ad alzare la testa, e le rivoltelle, quando meno ce l'aspettiamo. E a diventare un terrorismo dispiegato e omicida. È quanto è accaduto ieri sera, in un tranquillo palazzo milanese. Soltanto il caso ha salvato Belpietro e la sua scorta. Se una pistola non si fosse inceppata, avremmo visto, come minimo, la morte di un agente di polizia. Voglio dedicare un'ultima parola a lui e ai tanti poliziotti, carabinieri e finanzieri delle scorte. Uomini preziosi che rischiano la vita per stipendi molto avari. Anche per loro bisogna augurarsi che l'Italia resti un paese pacifico. E non sia costretto ad affidarsi al sacrificio di troppi ragazzi in divisa.