Mori: "Ciancimino mente e porta carte false"
Il generale, imputato a Palermo per favoreggiamento alla mafia, accusa in aula il figlio di "don Vito"
Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito, mente e produce documenti falsi. E' questa la tesi sostenuta oggi davanti ai giudici del Tribunale di Palermo dal generale del Ros Mario Mori, a processo, insieme al colonnello Mauro Obinu, per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, in relazione alla mancata cattura del boss Provenzano. L'imputato ha mostrato in aula una presentazione in PowerPoint con gli esami effettuati su alcune lettere acquisite dalla magistratura e pubblicate sul libro di Massimo Ciancimino intitolato Don Vito: "Servendosi di un software denominato Photoshop è stato possibile effettuare una manipolazione ad arte delle lettere risalenti al periodo post-stragista, per coinvolgere me ed altre persone", ha dichiarato Mori. Nella presentazione compaiono interi passi pubblicati sul libro e ricostruiti assemblando parti di altri documenti, sempre a firma dell'ex sindaco. Tra questi una lettera risalente al '94 e indirizzata all'allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e al senatore Marcello Dell'Ultri. Mori ha evidenziato inoltre "incoerenze ortografiche ed evidenti manipolazioni" nella lettera per il premier. L'udienza è iniziata propio con la produzione di una missiva autografa di Ciancimino all'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio. Nella lettera l'ex sindaco parla della trattativa tra Stato e Cosa nostra dopo le stragi del '92, trattativa di cui sarebbe venuto a conoscenza anche il giudice Paolo Borsellino. Ecco il passo: "Dopo un primo scellerato tentativo di soluzione avanzato dal colonnello Mori per bloccare questo attacco terroristico ad opera della mafia e interrotta dall'omicidio di Borsellino, sicuramente oppositore fermo di questo accordo...". A tal proposito il pm Antonino Di Matteo ha chiesto una nuova audizione di Massimo Ciancimino. La deposizione di Ferraro - Dopo Mori è stata ascoltata Liliana Ferraro, collaboratrice di Falcone e direttore degli Affari penali del ministero della Giustizia, che ha confermato un suo incontro con il capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno. "Mi disse che bisognava fare di tutto per prendere gli assassini di Falcone. Si ricordava di avere conosciuto il figlio di Ciancimino e che forse valeva la pena contattare il padre per vedere se era disponibile a una collaborazione". "Voleva che lo dicessi al ministro Martelli per avere conforto politico". L'obiettivo del Ros era "fermare le stragi. Io dissi che era il caso di parlarne con Borsellino. Martelli mi disse la stessa cosa: ma che vogliono, parlino con Paolo". La deposizione di Liliana Ferraro è decisiva per datare l'inizio della trattativa tra Stato e mafia: "Non ricordo la data precisa, ma credo che il dialogo avvenne una settimana prima del 28 giugno 1992".