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Il Senatur rispolvera la canottiera

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Bossi sfodera l'abbigliamento del '94 e accelera sul federalismo: "In consiglio dei ministri entro l'estate"

Fabio Corti
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Umberto Bossi non finisce di stupire. Pochi giorni fa, in via Bellerio, ha tenuto un “tavolo tecnico” sui costi standard del federalismo in canotta. Due assessori regionali, quelli alla Sanità di Lombardia e Veneto, la fedelissima Francesca Martini, sottosegretario al Welfare, e il Senatur in tenuta da combattimento. Quando l'Umberto si presenta in canotta sono guai. Per gli altri. Vuol dire che il gioco non gli piace più. Che bisogna cambiare disco per non annoiare il pubblico, ma soprattutto per non perdere il comando delle operazioni. Come 15 anni fa, quando ci fu lo storico incontro in Sardegna con Berlusconi. Era l'estate del '94. Qualche mese dopo ci fu il ribaltone: Forza Italia e An in minoranza e Dini a Palazzo Chigi, sostenuto esternamente dal Carroccio. All'epoca Bossi era alla ricerca del pretesto per farla pagare al Cavaliere, colpevole di avergli portato via parecchi voti al Nord. Ora non c'è questo pericolo. C'è tuttavia il rischio che il Carroccio, il suo gioiello più caro, sia contagiato dal correntismo tipico dei partiti romani.  C'è un cerchio magico, una specie di correntone con sede in Parlamento, che sta lavorando per scalare posizioni all'interno della Lega. In particolare l'attenzione è puntata su Marco Reguzzoni, presidente della truppa padana a Montecitorio, che si trova di fatto in minoranza all'interno del suo gruppo. Al momento della nomina parecchi colleghi avrebbero preferito un altro nome. In più il carattere non facile dell'ex presidente della provincia di Varese ha aggravato la situazione. Una bella grana per il Senatur: alla Camera il presidente è quel Gianfranco Fini che sta lavorando per logorare anche l'asse fra Berlusconi e il leader padano. Ecco perché il “cerchio magico” sembra avere le ore contate. In questi ultimi giorni i rappresentanti di questa corrente, opposta ai ministri Maroni e Calderoli, non si sono mossi. Hanno fermato la loro attività. Forse per paura di fare passi falsi, forse per riorganizzare la strategia. Di certo Bossi non può stare fermo. Deve intervenire per ripristinare l'ordine e la disciplina all'interno dell'ultimo movimento leninista rimasto in Italia. La democrazia interna non esiste. Bossi dà la linea e sceglie gli uomini, solo che i tempi sono cambiati. I “vecchi” colonnelli hanno acquisito un peso fuori dal Carroccio talmente grande che il cenno del “capo” non risolve più tutte le rogne. A Montecitorio dunque è già partito il toto-nomine fra i deputati sul nome del nuovo capogruppo. In realtà non ci sono tanti misteri: la maggioranza dei parlamentari aveva votato per il bergamasco Giacomo Stucchi. Bisogna vedere se il Senatur rispetterà il voto “popolare” per riportare la calma in Aula.   La canotta allora, per lanciare un messaggio prima a se stesso che ai suoi. Bossi l'aveva sfoggiata pure l'anno scorso, durante il suo tradizionale buen retiro di Ponte di Legno. Anche allora si parlava dell'ingresso dell'Udc in maggioranza - il sempreverde tormentone estivo -, anche allora il segretario dei padani aveva risposto con un bel «no» a Casini. Dalla montagna aveva lanciato la lunga campagna elettorale, che l'ha portato a conquistare Veneto e Piemonte, e a incassare i primi decreti sul federalismo fiscale. La battaglia però non è finita. «La canotta è una metafora. La Lega è diventata un partito forte», diceva ricordando l'incontro di 16 anni fa: «La canotta ha anticipato lo sviluppo che la Lega avrebbe avuto». Ora la rimette per non perdere pezzi. di Giuliano Zulin

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