Mafia, Dell'Utri condannato a sette anni
Dopo 4 giorni in camera di consiglio, pena ridotta in appello. Il senatore: "Mangano resta il mio eroe. Sentenza pilatesca". Gli avvocati: "Ricorreremo". E nessuno ha creduto a Spatuzza
Dopo sei giorni di camera di consiglio, è arrivata per Marcello Dell'Utri una condanna a sette anni. Il senatore del Popolo della libertà è stato condannato dai giudici della seconda sezione della Corte d'Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza riduce quella che fu la condanna inflitta col primo grado di giudizio: nove anni di reclusione. Prima che il collegio si ritirasse per emettere la sentenza, al termine della requisitoria il procuratore generale Nino Gatto aveva chiesto per l'imputato una pena di 11 anni. Al momento della lettura della sentenza, nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, il senatore Dell'Utri non era presente in quanto ha preferito attendere il verdetto da Milano. Ma in conferenza stampa ha definito la sentenza "pilatesca: da una parte ha dato un contentino alla Procura, dall'altra c'è una grossa soddisfazione perché ha escluso tutte le ipotesi sulla stagione politica delle stragi dal '92 in poi. Quindi sono soddisfatto ma anche stupito perché il collegio non ha avuto coraggio fino in fondo modificando la sentenza. Ora aspetto con animo molto fiducioso per la sentenza della Cassazione, un giudice fuori da Palermo si troverà". "Su Mangano direi ancora quello che già dissi: è stato il mio eroe. Era in carcere, ammalato - spiega Dell'Utri - più volte è stato invitato a parlare di me e Berlusconi come la procura di Palermo gli chiedeva, e si è rifiutato di farlo. Se si fosse inventato qualsiasi cosa l'avrebbero creduto e sarebbe uscito subito. Lui si è rifiutato più di una volta, ha preferito rimanere in carcere da cui è uscito una settimana prima della morte, per non accusare ingiustamente. Per me è stato un eroe, io forse non lo avrei fatto, non avrei resistito". "Sarà un liberazione in ogni caso" aveva commentato alla vigilia Giuseppe Di Pieri, uno dei suoi legali. La decisione è arrivata abbastanza "rapidamente": prima di emettere la condanna di primo grado, infatti, i giudici restarono in camera di consiglio per ben 13 giorni, un record. La corte ha inoltre dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Gaetano Cinà, esponente mafioso che era l'unico altro imputato del processo e che è nel frattempo deceduto. Sembrano non aver influito nel processo le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, rese in aula quando il dibattimento si stava avviando a conclusione, sollevando forti dubbi sull'attendibilità del teste. La Corte d'Appello di Palermo ha infatti condannato il senatore del Pdl per fatti commessi antecedetemente al 1992. I verbali di Spatuzza, depositati nell'ottobre del 2009, fanno invece riferimento a periodi successivo. Il 20 novembre del 2009 la Corte d'appello aveva deciso di sentire il "pentito". E la deposizione, molto attesa, fu seguita dai media di tutto il mondo. Spatuzza in aula sostiene che il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, di cui era il sicario di fiducia, nel gennaio del 1994 gli avrebbe detto: "Abbiamo ottenuto quello che volevamo, abbiamo il Paese in mano. E non sono stavolta quei crastazzi dei socialisti, ma Silvio Berlusconi e il nostro compaesano". In base al racconto di Spatuzza le questioni riguardanti la presunta trattativa tra Stato e mafia sarebbero continuate fino al 2003-2004: "In carcere - ha detto il pentito - incontrai Filippo Graviano e siccome c'era un'idea di cominciare a collaborare, lui mi disse: "Se non arriva quella cosa, mandami una cartolina". Il riferimento sarebbe stato a promesse fatte e non mantenute, ma che poi - visto che i Graviano tuttora non collaborano - si sarebbero avverate. Le dichiarazioni di Spatuzza gettano una luce sinistra su tutta la vicenda delle stragi: dopo avere colpito a Roma, Firenze e Milano, i boss Giuseppe Graviano, Spatuzza e Cosimo Lo Nigro, tutti di Brancaccio, avrebbero commentato i fatti relativi alla bimba di 40 giorni morta nell'attentato di via dè Georgofili a Firenze, progettando anche un'altra strage, allo stadio Olimpico di Roma, "dove - si legge ancora nei verbali - sarebbero dovuti morire, secondo quanto ci dicemmo all'inizio, 5-10 carabinieri, ma poi si pensò che dovessero morirne almeno 100". L'attentato poi non si fece più, perchè il timer del telecomando non funzionò. A metà gennaio del 1994 Giuseppe Graviano sostenne che non c'era più bisogno di attaccare lo Stato, perché c'era in campo Berlusconi con il "compaesano", che sarebbe Dell'Utri. "L'attentato contro i carabinieri all'Olimpico - racconta - doveva essere il "colpo di grazia". "Nel 1993 siamo in guerra contro lo Stato", ma poi, "abbiamo chiuso tutto e ottenuto tutto quello che volevamo". Viene così ricordata la circostanza dell'incontro al bar Doney di via Veneto: "Graviano mi disse chi ci garantisce. Mi vennero fatti i nomi di Berlusconi, quello di Canale 5, e di un compaesano, Dell'Utri che "ci hanno messo il Paese in mano". Secondo il pentito, Graviano che gli avrebbe parlato della "serietà" delle persone, era "gioioso, come se avesse vinto al superenalotto o avuto un figlio". Pochi minuti dopo il verdetto, hanno parlato i legali di Dell'Utri: "Con questa setenza i giudici riconoscono che non c'è collusione tra la politica e la mafia perché Dell'Utri è stato assolto per i reati commessi eventualmente dopo il 1992". Lo ha detto l'avvocato Nino Mormino, uno dei difensori del senatore del PdL Marcello Dell'Utri, dopo la sentenza che lo ha condannato a sette anni. "I giudici - ha aggiunto il legale - non hanno creduto alla linea della Procura Ciancimino-Spatuzza e hanno invece riconosciuto sussistenti i reati eventualmente legati a fenomeni estorsivi e alle intermediazioni per proteggere le aziende di Berlusconi". "Spatuzza è fuori, ma non solo lui. Anche Vittorio Mangano, i rapporti Mangano-Dell'Utri, i patti politici per sostenere Forza Italia, gli episodi del '99. Rimane tutto fuori". Un altro dei difensori di Dell'Utri, Giuseppe Di Peri, ha preannunciato ricorso in Cassazione: "E' una sentenza che comunque che non ci soddisfa e per questo ricorreremo in Cassazione", ha affermato. Per il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Nico Gozzo, che aveva rappresentato l'accusa nel processo di primo grado, "è una grossa inesattezza dire che i rapporti tra Dell'Utri e Mangano sono fuori dalla sentenza d'appello", perché non sono successivi al 1992, ma precedenti. "Quindi, non capisco perché la difesa di dell'Utri ha detto questa inesattezza conoscendo lo spessore professionale dell'avvocato Mormino".