Intercettazioni. Ritirato l'emendamento che inasprisce le pene
Sanzioni e detenzione però restano, come approvato alla Camera l'11 giugno 2009
Non è un retrofront. Non è un paradosso. Non è nemmeno un passo indietro che cambia la logica della nuova legge sulle intercettazioni. Oggi il senatore del PdL Roberto Centaro (relatore del provvedimento in Commissione Giustizia) ha infatti ufficializzato ai microfoni di Sky News 24 che, dopo una riunione con il ministro Angelino Alfano e con l'onorevole Niccolò Ghedini, il partito guidato dal premier Silvio Berlusconi ritirerà l'emendamento 1.2008, quello relativo cioè alle pene per i giornalisti che pubblicano, citano o riassumono le intercettazioni. “Dopo una riunione con il ministro e il presidente della Consulta Giustizia - ha spiegato Centaro – abbiamo preso questa decisione, ovviamente condivisa dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che speriamo possa anche stemperare tante polemiche”. Ma in pratica, l'eliminazione dell'emendamento cosa cambia? In pratica nulla, o meglio, resta tutto come era stato già approvato dalla Camera dei Deputati nell'animata seduta dell'11 giugno del 2009. La possibilità di carcere per i giornalisti rimane, solo che la pena massima resta di 30 giorni, rispetto ai 60 previsti dall'emendamento ora ritirato. Restano anche le sanzioni, anche se non saranno più nell'ordine di 10-20 mila euro, ma manterranno un massimale di 5-10 mila euro, a seconda delle modalità di pubblicazione. Tutto resta confermato anche per gli editori, per i quali viene confermata la maxi multa da 64.500 a 464.700 euro già approvata dalla Commissione Giustizia del Senato, con l'eliminazione della possibilità (emersa nella seduta della Camera) di consentire "la pubblicazione per riassunto" prima dell'udienza preliminare degli atti non più coperti dal segreto. Inoltre per chiunque prenderà "diretta cognizione" di atti del procedimento penale coperti dal segreto è prevista la reclusione da 1 a 3 anni.