Google, garante avvia istruttoria per Street View
Le "Google cars" avrebbero captato anche diversi dati personali
Un'istruttoria nei confronti di Google è stata avviata dal Garante per la Privacy, che intende verificare la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali effettuato nell'ambito del servizio Street View. Il procedimento dell'Autorità è stato aperto in merito alla raccolta effettuata dalla società sul territorio italiano e che, secondo quanto ammesso dalla stessa Google Italia, ha riguardato, oltre che immagini, anche dati relativi alla presenza di reti wireless e di apparati di rete radiomobile, nonché frammenti di comunicazioni elettroniche, eventualmente trasmesse dagli utenti su reti wireless non protette. Riguardo a quest'ultima tipologia di dati, l'Autorità ha invitato la società a sospendere qualsiasi trattamento fino a diversa direttiva dello stesso Garante. Con particolare riferimento a tutti i dati eventualmente «captati» dalle «Google cars», la società dovrà comunicare al Garante la data di inizio della raccolta delle informazioni, per quali finalità e con quali modalità essa è stata realizzata, per quanto tempo e in quali banche dati queste informazioni sono conservate. Google dovrà chiarire, inoltre, l'eventuale impiego di apparecchiature o software «ad hoc» per la raccolta di dati sulle reti WiFi e sugli apparati di telefonia mobile. La società dovrà comunicare, infine, se i dati raccolti siano accessibili a terzi e con quali modalità, o se siano stati ceduti. Più volte nella sua storia Google è incappato in critiche e ammonizioni sul fronte della privacy. L'ultimo caso, che adesso si è allargato anche all'Italia con l'istruttoria del Garante della privacy aperta oggi, ha riguardato proprio Street View, il servizio che offre mappe fotografiche navigabili in tutto il mondo. Il 15 maggio l'azienda di Mountain View, finita nel mirino delle autorità di Svizzera e Germania, ha ammesso di aver raccolto per oltre tre anni «per errore», con le vetture del servizio Street View, messaggi di posta elettronica, password e altre informazioni personali scambiate dagli internauti attraverso reti Wi-Fi aperte. Solo pochi giorni prima, il 20 aprile, una lettera dei garanti della privacy di 10 nazioni, Italia compresa, in rappresentanza di oltre 375 milioni di persone, espresse «profonda preoccupazione» per Google Buzz. Il servizio assegnò ad ogni utente una rete di contatti ricavata dalla lista di persone con cui si comunicava più spesso attraverso Gmail, rendendo di fatto pubbliche le relazioni degli utenti. «Troppo spesso - ammonirono i garanti - il diritto alla privacy dei cittadini finisce nel dimenticatoio quando Google lancia nuove applicazioni tecnologiche». In Italia una valanga di polemiche scatenò la pubblicazione del video di un ragazzo con la sindrome di down insultato e picchiato da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino. Il 24 febbraio scorso tre dirigenti di Google vennero condannati a sei mesi, con la sospensione condizionale della pena, per violazione della privacy, mentre vennero assolti dal reato contestato di diffamazione. Un quarto dirigente, accusato solo di diffamazione, venne assolto. Non può esistere «la sconfinata prateria di internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato», scrisse il giudice di Milano, Oscar Magi, nelle motivazioni della sentenza. Il caso forse più clamoroso legato alla sicurezza dei dati detenuti da Google fu quello rivelato dal New York Times: ad aprile il quotidiano Usa rivelò particolari relativi all'attacco hacker di cui Mountain View era stata vittima a dicembre e di cui aveva occultato i dettagli. Un impiegato di una filiale cinese cliccò ingenuamente su un link ricevuto in una chat, causando una falla nelle difese informatiche del colosso web. Secondo il New York Times le sue password furono rubate e gli hacker entrarono nel sistema “Gaia”, il programma che consente di avere accesso a posta elettronica, documenti online e altri dati personali. Fonti di Google sostennero che il programma era stato attaccato per due giorni, senza che però alcuna password finisse nelle mani degli hackers.