Chi tocca Fini è "fascista"
Per il Secolo d'Italia noi, Gianluigi Paragone e il Giornale siamo "pifferai che riecheggiano i ritmi di una musica di regime". Ma l'ex An fa marcia indietro e modera i toni: è tornata la democrazia nel PdL?
"Pifferai e gazzettieri che neanche il fascismo" ha prodotto. Prendi su e porta a casa. Questo pensa di noi, di Gianluigi Paragone e de il Giornale non il Travagliato Fatto, né la Repubblica di De Benedetti e nemmeno la Concita dell'Unità. Ma l'ex Msi ed ex Annino Secolo d'Italia, supporter di Gianfranco Fini. L'editoriale di oggi, a firma Salvatore Sechi, non lascia spazio ai convenevoli. E ci spezza le reni così: "Abbiamo visto riecheggiare i ritmi di una musica da regime interno che con questa insolenza temeraria non ebbero neanche i gazzettieri democristiani e furono rari durante lo stesso fascismo. A questi pifferai è comune il seguente adagio: se gli argomenti di Fini risultano simpatici, o peggio condivisibili, al centrosinistra, e ostici ai berluscones questa è la prova che il presidente della Camera è fuori del sagrato, ridotto a un traditore ormai in cerca di una nuova casacca". Regime, fascismo, gazzettieri, pifferai, berluscones. Noi. Questo tocca a chi si prova a criticare Gianfranco Fini. Lui, Fini, era solo stressato quel dì, perché nel Pdl non c'è libertà di dissenso, il partito è populista e si pensa che la democrazia sia "mettere nell'urna una scheda elettorale di adesione a un programma di governo valido una manciata di anni". Mentre, nossignore, la democrazia non è l'urna, è la "divisione dei poteri". Cadreghe, insomma, secondo i riformisti del Secolo. Il giornale del fu Msi, insomma, vuol farci credere che quella di Fini alla Direzione di giovedì sia stata solo una mattana. Sacrosanta fin che si vuole, ma solo una mattana. Il leader di An è ansioso di dire la sua, non c'è nessun ribaltone in atto, nessuna strategia segreta, nessun tentativo di sbaraccare dal Pdl. Se Francesco Rutelli, Pier Casini e Luca di Montezemolo stanno tessendo nell'ombra il nuovo Grande Centro, e perfino Di Pietro tende la mano a destra, è un caso. Lui, Fini, era solo stressato quel dì, perché nel Pdl non c'è libertà di dissenso, il partito è populista e si pensa che la democrazia sia "mettere nell'urna una scheda elettorale di adesione a un programma di governo valido una manciata di anni". Mentre, nossignore, la democrazia non è l'urna, è la "divisione dei poteri". Cadreghe, insomma, secondo i riformisti del Secolo. I pifferai che suonano una musica che "nemmeno nel fascismo", i berluscones insomma, hanno il torto di pensare -secondo gli illuminati finiani- che Fini non sia solo un politico fragile di nervi. Anzi. Hanno il torto di dire che se Fini dà di matto un motivo deve averlo, perché matto non è. Ha un progetto in mente, Fini, una mente lucida e non certo emotiva, diciamo noi. Macchè, ribattono: siete fascisti che zittiscono l'opposizione. Insomma, i casi sono due: o noi sovrastimiamo l'intelletto finiano o il Secolo lo sottovaluta. Chi ha ragione lo dirà il futuro prossimo. Resta il fatto che Gianfranco Fini ha fatto marcia indietro, da giovedì a oggi. Ha smorzato i toni e c'è da giurare che li manterrà così. Perché? Perché ha ottenuto libertà di parola? Perché ora improvvisamente il PdL è diventato democratico? O forse perché -maliziosi fascistelli noi- il piano B non è pronto e gli ex An compagni di fuga sono ancora pochini? Italo Bocchino sta facendo la conta sul web: sul suo sito c'è il pallottoliere, un modulo per amministratori locali da compilare nel caso in cui fossero dalla parte giusta, cioé con Fini. Un conteggio più faticoso del previsto, a voler fare i pifferai. Controlli di routine, a sentire il Secolo. E ritorniamo ai due casi: ingenui loro, o malfidenti noi. Albina Perri