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Via Poma, Vanacore scoprì il cadavere

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Secondo la ricostruzione del pm, il portiere non allertò la polizia e depistò le indagini

Eleonora Crisafulli
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Pietrino Vanacore entrò per primo nella stanza in cui si trovava il cadavere di Simonetta Cesaroni e non chiamò la polizia. Così inizia la ricostruzione del pm Ilaria Calò nel corso della quarta udienza per il delitto di via Poma, che vede Raniero Busco come unico imputato. Il ruolo di Vanacore - A due giorni dal suicidio del portiere dello stabile romano, il magistrato, agitando in aula il mazzo di chiavi sequestrato alla moglie di Vanacore, Giuseppa De Luca, spiega: «Le chiavi sono uno snodo fondamentale in questa inchiesta. Vanacore entrò per primo negli uffici dell'associazione Ostelli della Gioventù al terzo piano, trovando la porta socchiusa. Individuò Vanacore entrò per primo negli uffici dell'associazione Ostelli della Gioventù, trovò il cadavere e non allertò la polizia il corpo senza vita della Cesaroni nella stanza del direttore, Corrado Carboni. Pensando ad un incontro clandestino» della Cesaroni, effettuò tre telefonate al presidente degli Ostelli della Gioventù, Francesco Caracciolo, al direttore e al capo di Simonetta, Salvatore Volponi, «non allertò la polizia, prese le chiavi con il nastro giallo, che erano quelle di riserva per accedere agli uffici ed appese ad un chiodo dietro la porta, e andò via chiudendo l'ingresso». Secondo il pm, l'uomo, però, dimenticò nell'appartamento un'agendina rossa con la scritta «Lavazza», che la polizia diede alla famiglia Cesaroni pensando che fosse un oggetto personale della vittima. Un depistaggio - Nei 20 anni successivi al delitto, gli atteggiamenti anomali di Pietro Vanacore e di sua moglie avrebbero quindi contribuito a depistare le indagini. Il comportamento del portiere spiegherebbe anche  «il comportamento anomalo di Giuseppa De Luca, ovvero la riluttanza nel non dare le chiavi alla polizia, l'agitazione di Volponi che era stato informato da Vanacore, le menzogne di Caracciolo anche lui informato». La replica della difesa - Immediata la replica del difensore della famiglia Vanacore, Antonio De Vita, che, a margine dell'udienza, dichiara: «In base a quale elemento il pm può dire che la porta era socchiusa? Da dove esce fuori? Penso che la questione delle chiavi sia stata chiarita all'epoca del proscioglimento di Vanacore. Non conosco questa nuova impostazione accusatoria. Loro avevano un mazzo di chiavi per fare le pulizie, non avevano bisogno di servirsi di un mazzo di scorta. A me, come difensore della famiglia Vanacore, non è stato comunicato nulla. Sento per la prima volta da voi questa ricostruzione. Come si fa a dire che la porta era aperta? Se devono essere fatte nuove contestazioni, il dibattimento non è la sede opportuna. I Vanacore dopo quanto accaduto nei giorno scorsi non stanno bene e ho fatto presente alla corte il motivo della loro assenza». Un terzo biglietto - Intanto sul suicidio di Vanacore emergono nuovi particolari. Senza nessuna colpa, né mia né della mia famiglia, ci hanno distrutti nel morale, nell'immagine e tutto il resto Tra i biglietti lasciati dall'uomo poco prima dell'ultimo gesto spunta un terzo foglio, scritto in corsivo: «Senza nessuna colpa, né mia né della mia famiglia, ci hanno distrutti nel morale, nell'immagine e tutto il resto. Lo porteranno sulla coscienza». A rivelarne il contenuto è il settimanale tarantino “Wemag”, in cui si sostiene che la lettera era sfuggita ai presenti, prima che la vecchia automobile del portiere venisse rimossa. Nei biglietti recuperati dagli investigatori si legge: «20 anni perseguitati senza nessuna colpa» e «20 anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio».

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