Iraq alle urne
Domenica al voto 19 mln di cittadini tra attentati e persecuzioni cristiane
Questa volta, per la democrazia irachena, è davvero la svolta decisiva. Domenica 19 milioni di elettori si recheranno alle urne in circa diecimila seggi in tutto il Paese (un totale di circa 50mila sezioni) per il rinnovo del Parlamento di Baghdad. Lo faranno in base alla legge elettorale del 2005, emendata lo scorso dicembre. E così, nella "terra dei due fiumi", sono tornate le rappresaglie. Perché quello di domenica è un voto difficile, il paese risente ancora delle tensioni sorte dopo la caduta di Saddam. Un regime, quello di Hussein, durato 25 anni. Ed era stato così, dopo la cattura di Saddam. Per un po' di tempo l'Iraq divenne protettorato americano, poi nel 2005, le elezioni. Ma i conflitti laggiù, non sono mai terminati. Le persecuzioni- Come le persecuzioni nei confronti dei cristiani, già violentissime sotto il regime di Saddam e ora tornate in auge. Eppure non sembrava impossibile la convivenza, nonostante il 97% del paese sia musulmano. Solo fra il 14 e il 24 febbraio 1010 sono stati trucidati 8 cristiani. Dietro consiglio delle autorità di pubblica sicurezza gli studenti cristiani non frequentano più l'università: sono arrivate minacce secondo cui gli autobus che li trasportano saranno fatti esplodere, cosa che è già avvenuta a fine gennaio, quando una bomba ha ferito cinque studenti su di una corriera e un'altra è stata scoperta per tempo. Come ha scritto Rodolfo Casadei sul settimanale "Tempi", Decine di famiglie hanno abbandonato la città. Va onestamente ricordato che anche nel resto dell'Iraq, fra i musulmani, la campagna elettorale è sporca di sangue: nella sola giornata del 22 febbraio 23 persone hanno perso la vita. In un quartiere sciita di Baghdad una madre coi suoi tre bambini sono stati trucidati in casa, in un altro otto persone della stessa famiglia, compresi sei bambini, sono stati uccisi e decapitati (tipico marchio di fabbrica di al Qaeda in Mesopotamia), un corteo d'auto del ministero della Difesa è stato preso d'assalto. Senza dimenticare gli attentati suicidi di Ramadi e quelli di Baghdad il giorno dopo l'esecuzione capitale di Alì il Chimico con decine di morti. Il voto di domenica- Per le consultazioni, con il Paese suddiviso in 18 distretti elettorali, verrà utilizzato un sistema proporzionale «a lista aperta», che consente agli elettori di votare per un partito, ma di esprimere anche la preferenza per un candidato. Oltre 26 milioni di schede, suddivise in 19 tipi (uno per ogni provincia, oltre a quello per il voto all'estero) sono state stampate in vista delle consultazioni, alle quali lavorano circa 300mila persone. Il voto sarà monitorato da osservatori locali, fra indipendenti per lo più di organizzazioni non governative irachene e rappresentanti dei partiti. Circa 30mila sono gli osservatori che sono stati formati dalla Missione di assistenza all'Iraq delle Nazioni Unite (Unami), il cui personale monitorerà il voto in tutto il Paese. Oltre 80, fra organizzazioni internazionali e missioni diplomatiche, sono state invitate a osservare il voto. Con queste elezioni, i seggi del nuovo Parlamento passano dai 275 attuali a 325 per tenere conto dell'aumento della popolazione e 310 verranno assegnati alle 18 province in modo proporzionale rispetto alla popolazione, mentre 15 sono quelli detti di «compensazione», con otto riservati alle minoranze e sette assegnati a livello nazionale. Alla provincia di Baghdad, ad esempio, verranno assegnati 68 seggi. Per i seggi delle minoranze, sono cinque quelli che verranno attribuiti ai cristiani, uno nella provincia di Baghdad, uno a Ninive, uno a Irbil, uno a Dohuk e uno a Kirkuk. La svolta democratic del 2005- Gli Stati Uniti in Iraq dissero di voler "esportare la democrazia" ed effettivamente, quel 30 gennaio 2005 si svolsero le elezioni per eleggere il nuovo Parlamento. Sfidando le minacce della guerriglia, otto milioni e mezzo di iracheni si recarono a votare. Lo scrutinio segnò la rivincita degli sciiti e dei curdi, emarginati durante il regime bathista, sulla comunità sunnita, il cui elettorato in larga parte disertò le urne. L'Alleanza unita irachena sostenuta dall'ayatollah Ali al-Sistani, principale forza degli sciiti, ottenne infatti il 48% dei suffragi, seguita dall'Alleanza curda con il 26%. Uscì sconfitto dalle elezioni, penalizzato dai suoi stretti legami con gli Stati Uniti, il capo del governo provvisorio Iyad Allawi, la cui lista ottenne solo il 14% dei voti. Nonostante le pressioni statunitensi e britanniche, la costituzione del nuovo governo viene più volte rimandata a causa dei disaccordi tra le varie forze politiche. Il governo si forma così sotto la guida dello sciita Jawād al-Mālikī. Nei primi mesi del 2006 si rafforzano la guerriglia e si intensifica lo scontro tra le comunità sciita e sunnita, con diversi attentati a moschee che provocano la morte di centinaia di persone. Tragico è il bilancio dei tre anni di conflitto. I morti iracheni ammontano a diverse decine di migliaia (più di 100.000, secondo alcune fonti); pesanti sono anche le perdite delle forze di coalizione, le più elevate quelle delle degli Stati Uniti, con più di 3400 morti e migliaia di feriti (a fine 2007). Le ricercate armi di distruzione di massa non furono mai trovate, mentre sia un primo rapporto CIA del 2002, desecretato e pubblicato nel 2008 dichiara che non vi era alcuna collaborazione tra il regime Iracheno e l'organizzazione terroristica di al-Qa'ida. Secondo il programma alimentare delle Nazioni Unite il governo succeduto alla guerra non è stato in grado di apportare significati miglioramenti alle condizioni di vita dei bambini iracheni. Secondo lo studio dell'ONU le condizioni si possono definire peggiori a quelle precedenti alla guerra. Durante il regime di Saddam Hussein i bambini almeno avevano accesso al programma internazionale di aiuti umanitari. Secondo alcune fonti diplomatiche irachene, malgrado si verifichino ancora alcuni attentati anche se non più costanti e continui come una volta, la sicurezza e la stabilità in Iraq sarebbe migliorata del 75% dal luglio del 2007. Ma tutto, in questo clima di tensioni pre elettorali, conferma esattamente il contrario.