I diari da Port-Au-Prince
"Due casse di libri sotto le macerie...e la scuola ricomincia"
Pubblichiamola mail di Fiammetta Cappellini, la volontaria di Avsi di stanza ad Haiti che dal 12 gennaio sta aggiornando con una cronaca lucida e tempestiva dell'evolversi della situazione dopo il terremoto. Il Diario, tratto da "Il Sussidiario.Net" è aggiornato costantemente. 3 febbraio 2010- A volte capita che anche nelle peggiori situazioni ci arrivino dei segnali di speranza, delle piccole cose che in altri momenti non avrebbero avuto grande significato e che invece nel contesto del momento diventano decisive. Tra ieri e oggi sono capitati ben due episodi. Il primo: ieri il cielo si è rannuvolato in modo preoccupante, grossi nuvoloni neri che qui vogliono dire una sola cosa: pioggia torrenziale. Siamo stato nervosi tutto il giorno, pensando ai nostri tendoni blu, cosi precari, di fronte alla violenza delle piogge caraibiche... Invece! Miracolo! Non è piovuto! D'accordo, lo so, voi direte che capita un sacco di volte, ma non qui: quando da queste parti si rannuvola così, piove SEMPRE. Quindi davvero abbiamo tirato un sospiro di sollievo!Il secondo episodio: da giorni litigo col personale dicendo di non mandare amici e conoscenti a portare il curriculum perché in questo momento abbiamo bisogno di assistenti sociali, formati, capaci, con esperienza. E null'altro. E da giorni infatti non intervisto altro che queste persone. In vece oggi, a sorpresa, proprio mentre i bambini per l'ennesima volta chiedevano a gran voce la scuola, mi si materializza davanti un ex impiegato direttore didattico che non vedevo da almeno tre anni. E cosa mi dice? Che la scuola non c'è più e lui non potrà più insegnare, e che ha perso la casa e ora vive con tutta la famiglia nel nuovo campo sulla route neuve. Beh, sembrava fatto apposta. Lo abbiamo ingaggiato immediatamente e da domani... si comincia! Il solito Jean Philippe ha scovato tre casse di libri e quaderni e Simone ha promesso che monterà a tempo di record altre due tende. Domani, scuola. Non vediamo l'ora! Fiammetta 27 gennaio 2010, Port au Prince, Haiti Oggi sono arrivati i rinforzi! Alberta, già nostra collega, che va a dare man forte ai nostri colleghi al sud, a Les Cayes, per gli arrivi dei rifugiati, e Simone, che a Natale si era trasferito in Africa... e ha voluto tornare qui per 2 mesi, salutare amici feriti, ritrovare le persone che aveva lasciato e lavorare nel luogo in cui aveva faticosamente costruito molto. Simone sapeva dialogare con la gente di Cité Soleil, e a tutti i livelli. Aveva seguito anche l'attivazione di attività artigianali, corsi di formazione che poi erano sfociati nell'avvio di una panetteria, di un laboratorio per sandali di gomma, orti urbani. Tanto lavoro spazzato via. Ma le persone sono rimaste, e su questo rapporto ripartiremo. La presenza di Simone sarà preziosissima. E anche quella di Alberta. Ieri siamo stati con i medici, Chiara Mezzalira e Alberto Reggiori, al campo. Hanno fatto un sopralluogo, al momento non c'è uno spazio per un ambulatorio. Non c'è una tenda sotto la quale non ci sia un bambino con problemi di salute: dissenteria, parassiti, denutrizione, disidratazione. La situazione pregressa, già critica, peggiora in questa desolazione. I fratellini più grandi accudiscono i piccoli intanto che le mamme fanno interminabili file alla distribuzione del cibo. Oggi un altro piccolo passo avanti: abbiamo montato una tenda che ci ha offerto (insieme ad altre 14) la Protezione civile italiana: uno spazio per i bambini! Un risultato piccolo ma importate per rendere più umano questo campo. Uno spazio in cui raccogliere i bambini, organizzare le attività educative e quel che serve per iniziare ad affrontare il trauma è un primo passo fondamentale. Poi avere un luogo per il medico, latrine, luci. Uno spazio per l'allattamento, uno spazio per l'alimentazione dei bambini. Insomma luoghi di ordine in cui ci si possa sentire amati, accuditi. Sentire che qualcuno si occupa di te. Poco a poco. Anche se vorresti la bacchetta magica. Invece devi organizzare, fare la richiesta, aspettare, dialogare per definire a chi consegnare, cioè dare priorità, consegnare, montare. Stamattina Chiara e Alberto hanno riaperto l'ambulatorio dei padri scalabriniani. Le suore che lo gestivano son state richiamate dopo il terremoto. Appena si è diffusa la voce che riapriva, l'ambulatorio si è affollato. Mamme e bambini riempiono le sale d'attesa dei pochi poliambulatori presenti. Oggi in Canada si è parlato di ricostruzione di Port au Prince e del Paese. Ma qui più che ricostruire occorre costruire. Ma le fondamenta di un Paese sono le persone. E qui le persone sono addolorate, affaticate e sfiduciate. Occorrono gesti concreti, anche piccoli, che permettano di consolidare la persona, che ricostruiscano l'umano. I cuori sofferenti si compattano intorno a gesti di attenzione e di cura. E poi ripensare il paese e la sua capitale. Auspichiamo che si investa anche sul rilancio dell'agricoltura, sull'impulso alla trasformazione dei prodotti agricoli, perché si generi lavoro nelle aree rurali e si decongestioni la capitale che per la gente in cerca di fortuna si rivela inospitale. Speriamo in prospettive che possano restituire dignità a questa gente. Noi non ci tiriamo indietro. Fiammetta 22 gennaio 2010, Port au Prince, Haiti Che giornate concitate, di grande lavoro, di stress e tristi notizie. Come sapete, dopo lo choc iniziale di questa tragedia, che ancora ci sembra enorme e inimmaginabile, stiamo cercando di recuperare i nostri punti fermi, dal punto di vista personale e dal punto di vista dell'organizzazione della missione di cooperazione qui ad Haiti. Abbiamo contattato tutto il personale locale, i collaboratori e i conoscenti che siamo riusciti a trovare. Ma nonostante i nostri sforzi ancora in tanti mancano all'appello. Troppi. In tanti mancano all'appello e certi giorni ho paura. Ma ripartiamo dai bambini, e dalle donne incinte. Per loro, abbiamo creato una tenda molto speciale Voglio fermamente credere che sia solo un problema di comunicazione, anche se confesso che certi giorni ho paura. Paura che anche loro siano stati inghiottiti da questo buco nero che in un minuto e mezzo ha spazzato via tutto, le certezze e la vita di tante persone. Ci stiamo organizzando, siamo operativi. Il campo sfollati di Cite Soleil prende forma con gli ormai famosi "tendoni blu". Un quarto del campo (circa 500 persone) ha quindi un tetto sulla testa, le famiglie hanno ritrovato un minimo di intimità, almeno uno spazio circoscritto e identificabile. È importante per loro sapere che quel piccolo spazio è loro, anche se non hanno piu niente. Li aiuta a ritrovare la loro identita, il loro essere famiglia, dove possibile. Sul resto del campo, stiamo lavorando. Le donne al termine della gravidanza sono state identificate e a loro riserviamo - com'è ovvio - un trattamento speciale: hanno un materassino! Le richieste non si contano... In lista d'attesa ci sono le mamme che hanno un bambino inferiore ai sei mesi. Abbiamo pensato per loro di montare una grande tenda speciale, dove si possano trovare con un po di tranquillità ad allattare, e dove la nostra infermiera Claudinette possa spiegare loro l'importanza dell'allattamento al seno, visto che non c'e' acqua potabile. È importantissimo proteggere questi bambini, che gia vivono in condizioni tanto precarie. Abbiamo veramente paura che si ammalino e che la situazione si deteriori rapidamente. Speriamo di riuscirci. Abbiamo avuto già due parti in una settimana e la condizioni sono difficilissime, l'igiene è quasi impossibile. Insomma, non è il posto ideale per questi piccoli. Il collega Jean Philippe sta facendo un grande lavoro, a volte mi stupisco di come e dove trovi l'energia e la lucidità per trovare soluzioni ai mille problemi di questa terribile situazione. È in pista dalla mattina alla sera, instancabile. Sempre di buon umore e con una parola di incoraggiamento per tutti. È bello vedere quanta speranza riesce a suscitare, anche in un posto e in una situazione in cui la speranza a volte non sembra proprio esserci. Grazie soprattutto a lui, l'equipe piano piano si organizza, comincia a credere di nuovo nel proprio lavoro, nella presenza qui, tra questa gente.Speriamo di riuscire a tenere alto il morale, non è facile viste le condizioni di lavoro e la frustrazione nel vedere tante necessità e il poco che riusciamo a fare. Stiamo cominciando a ricevere i famosi aiuti della solidarieta internazionale, che in gran parte sono rimasti bloccati nei giorni scorsi all'aeroporto di Port au Prince. Le agenzie delle Nazioni Unite si stanno organizzando e piano piano smistano quanto disponibile. Riceviamo anche noi e quindi la gente di Cite Soleil e Martissant, i quartieri dove siamo presenti. Piano piano la vita si riorganizza. Sono soprattutto i bambini che reagiscono prima e meglio: hanno già voglia di giocare, chiedono della scuola, delle attività ricreative... Fiammetta Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di padre Leonardo Grasso, missionario dello Studium Christi in questi giorni ad Haiti (traduzione di Rita Pavan). 21 gennaio 2010- Siamo arrivati in Venezuela da alcuni giorni insieme a Juan Carlos dell`associazione civile ICARO e adesso ci troviamo a Port-au-Prince, la capitale del paese, che è stata la città più colpita dal terremoto che ha scosso tutto il paese lo scorso martedì 14 gennaio. Le tracce di quell`avvenimento si possono vedere con drammatica evidenza nella quantità di edifici che sono crollati in città: tutto è ridotto in macerie, costruzioni di alcuni piani adesso sono alte solo un paio di metri, a causa del crollo di vari piani uno sopra l`altro e ora solo pochi centimetri li separano l`uno dall'altro. Le tv parlano di un popolo determinato dalla disperazione, ma non è così. Assisto continuamente, qui tra le macerie, ad episodi di autentica solidarietà e amicizia Camminando per la città si assiste a un'impressionante distruzione che colpisce con forza e non può smettere di scuotere tutto il nostro umano. Senza dubbio c'è qualcosa che mi colpisce con ancora più violenza in questa situazione drammatica. Qui a Puerto Principe si assiste a una frenesia di solidarietà: ONG e organizzazioni di ogni genere si prodigano nell'affronto dell'emergenza; volontari giunti da tutte le parti del mondo si affannano nel portare servizio ai bisognosi; i governi donano milioni di dollari per ricostruire; i mezzi di comunicazione dedicano tutta la propria programmazione all'emergenza Haiti; personalità di tutti i settori proclamano la propria solidarietà alle vittime; tutti lanciano appelli di solidarietà … Tutto questo dispositivo di solidarietà, di generosità, di iniziative, di febbrile e ininterrotta attività manifesta mi sembra qualcosa che lascia perplessi. La generosità e l'impegno di tanta gente sono evidenti e commuoventi, ma si ha l'impressione di assistere a un'immensa onda di sentimenti che generano un'attività impressionante e commuovente. Ma manca qualcosa. La solidarietà, la mobilitazione, l'emergenza e l'urgenza dominano l'orizzonte e la percezione di ciò che è accaduto. È come se la giusta e addirittura ammirabile iniziativa di migliaia di persone smorzasse tutta la posizione umana di fronte a ciò che è successo. Sembra che tutta la macchina di solidarietà internazionale dia per scontato e diffonda la coscienza che tutto ciò che è accaduto sia solo una disgrazia, una lamentabile anomalia della realtà a cui si deve contrapporre la più perfetta ed efficiente capacità di mobilizzazione e di iniziativa dell'uomo, correggendone le conseguenze negative con l'organizzazione e la forza di volontà mascherata a volte sotto il nome di certi "valori". Si ha inoltre l'impressione che tutto cospiri per mettere a tacere qualcosa che sta nel profondo di ciò che è accaduto, qualcosa dentro a ciò che è accaduto, qualcosa di presente tra le macerie di questi edifici distrutti e tra il dolore di questa gente. A ciò contribuiscono le notizie che distorcono la realtà parlando di un popolo determinato dalla disperazione, con continui episodi di violenza, con saccheggi ad opera di gruppi spinti dalla fame e con gravi mancanze nell'organizzazione umanitaria. Tutto ciò è falso e lo posso dire per esperienza mia diretta, non per averlo letto nelle informazioni di qualche agenzia internazionale. Ma sembra che si voglia dare l'immagine di un popolo disperato e quasi disumanizzato di fronte alla difficoltà. Passando per quelle macerie è impossibile non rendersi conto che lì c'è qualcosa che ha a che fare con il destino di ognuno di noi Passando per Port-au-Prince oggi non potevamo non fermarci di fronte a ogni edificio crollato, non potevamo non restare in silenzio di fronte a quelle rovine, non potevamo non guardare quelle macerie e quei corpi imprigionati e già in decomposizione, senza lasciarci scuotere dall'evidenza che da li sorgeva: quella di un luogo misteriosamente ma evidentemente sacro. "Misteriosamente" perché uno non riesce a cogliere tutto il significato di quella realtà con i suoi piccoli criteri e comprendere ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi; ma allo stesso tempo "misteriosamente sacro", perché è quasi impossibile (o è possibile solo censurando la propria umanità) non rendersi conto che lì, proprio tra quelle macerie, c'è presente qualcosa di grande, qualcosa che ha a che fare con il destino di ognuno di quegli uomini che stanno sotto quelle rovine e con il destino di ognuno. Guardare le macerie delle due università che sono crollate mentre erano zeppe di professori che facevano lezione, di impiegati e operai che prestavano il proprio servizio e di centinaia di giovani studenti che si stavano formando; vedere le rovine di alcune scuole che adesso custodiscono i corpi di migliaia di bambini e giovani adolescenti che stavano frequentando le loro lezioni; entrare tra le macerie dell'arcivescovado al cui interno giacciono ora i corpi dell'arcivescovo di Puerto Principe, di vari sacerdoti e di decine di fedeli che si erano riuniti li con lui; camminare sopra ciò che resta dei tre seminari in cui quasi 200 seminaristi hanno trovato la morte; incrociare lo sguardo di uomini e donne che sono di fronte alle proprie case distrutte al cui interno inaccessibile si trovano i corpi dei loro figli; pensare a tutti quelli che sono rimasti sotto le macerie con il proprio desiderio di felicità e pienezza; cercare di immaginare gli ultimi momenti di vita di quegli uomini; ascoltare i racconti delle persone che sono sopravvissute e di quelle che sono state estratte dalle macerie dopo ore o giorni … tutto questo ci fa stare in silenzio con una domanda che sorge dal cuore sul significato, il valore, il significato segreto di quel fatto. Nello sguardo e nella disperazione di molti dei soccorritori si rende evidente la percezione che hanno di ciò che è accaduto come solo un disastro, una maledizione; in molti volontari delle ONG si percepisce la calcolata efficienza degli "esperti di emergenze"; in tanti operatori dei media il desiderio di trovare la "notizia sensazionale"; in molti politici la preoccupazione dell'analisi della situazione. E la gente semplice di Haiti? È impressionante il silenzio della gente di Haiti. I soccorritori lo confondono con apatia o indolenza, ma loro rivelano gesti semplici di aiuto e di fraternità inaspettati È impressionante vedere l'umiltà e la forza con cui vive questa situazione; il silenzio della gente quasi ammutolita di fronte a tanto dolore; la tranquillità (che molti soccorritori confondono con apatia o indolenza) addirittura nella tragedia; i gesti semplici di aiuto e fraternità nel condividere quel poco che possiedono, l'assenza di violenza e di disperazione; dormire per terra in piazza o in piena strada senza lamentarsi o maledire nessuno; l'accettare con forza le proprie ferite fisiche (sono moltissimi i feriti e coloro che hanno perso mani e braccia) e addirittura le ferite causate dalla morte dei propri cari; lo sguardo sorpreso e a volte distante di fronte a tanta attività dei soccorritori che presumono di sapere ciò di cui la gente ha bisogno e che cercano di inculcare loro le proprie soluzioni; l'impressione che traspare spesso dai loro sguardi pieni di gratitudine per l'aiuto che ricevono, ma consapevoli che i soccorritori non li capiscono, che molti di coloro che sono li ad aiutarli non capiscono quello che loro capiscono, non capiscono ciò che essi custodiscono nel loro intimo. Certamente non si tratta di non agire o di smettere di aiutare. Non si tratta di trattenersi ma, al contrario, di potenziare il modo di stare e agire in questa realtà, mettendosi con umanità di fronte a quello che sta accadendo e alle persone che soffrono le conseguenze del terremoto. Si tratta di guardare. Di guardare veramente. Si tratta di mettersi di fronte a questa realtà con tutto il nostro umano spalancato, senza aver paura dell'apparente contraddizione, senza fuggire nell'attivismo per non affrontare le domande che il dolore ci suscita, senza chiudere in un banale sentimentalismo ciò che, al contrario, costituisce una provocazione alla nostra ragione, lasciandoci toccare nel profondo, nelle esigenze profonde che ci costituiscono, per poter vedere ciò che abita veramente dentro ciò che sta succedendo. Si tratta in fin dei conti di chiedere un cuore semplice, capace di riconoscere la presenza del Mistero tra quelle macerie e poter così agire in modo pienamente umano, capace di abbracciare la realtà nella totalità dei fattori che la costituiscono e per questo veramente utile ai nostri fratelli haitiani. Ecco il nuovo aggiornamento di Fiammetta Cappellini (Avsi) da Port-au-Prince 20 gennaio 2010- La situazione è sempre molto grave, ma alcuni aspetti della vita, per chi non è rimasto gravemente vittima del sisma, si stanno normalizzando. Ciò significa che anche per noi la vita è un po' più semplice, anche se il dolore continua. Con ogni persona che si incontra si fa un bilancio, si fa una sorta di appello. E tutti ti dicono chi è rimasto e chi no. Chiedi di amici, parenti, famigliari di questo e di quello, persone con cui hai parlato, vissuto esperienze, lavorato, discusso. Amici, spesso. E si scoprono i vuoti. Possibile che sia successa una cosa così devastante? Il bilancio delle vittime è sempre più grave. Se il governo confermerà il numero delle vittime nelle fosse comuni, allora le cifre che girano sono esatte. Si scava sempre meno tra le macerie, perché è sempre meno probabile trovare altri superstiti. Ora gli aiuti si dovrebbero concentrare sui campi. La situazione all'aeroporto è difficilissima e, anche se potrà sembrare surreale, si vivono situazioni che gli esperti di emergenze conoscono bene. I francesi (istituzioni, Medici senza frontiere e Medecins du monde France) protestano perché pare che gli aiuti in aeroporto siano ormai moltissimi, ma non si possono distribuire. Arrivano carichi in continuazione, ma dove c'è bisogno si riceve pochissimo di ciò che arriva. La polemica monta tra gli americani, che usano tutti gli slot, e gli europei che devono atterrare in Repubblica Dominicana. Come sapete, invece, gli aiuti italiani sono correttamente arrivati e sono stati distribuiti. Si teme un'impasse come con gli uragani del 2008. Dopo l'uragano Mitch dal '98 là la situazione è come allora, forse peggiorata dall'uragano del 2003 I campi informali censiti sono decine e decine, ci avviciniamo al centinaio. Ma, che mi risulti, al momento nessuna tenda è stata distribuita. Il numero di sfollati è enorme e le soluzioni per gestirli sono difficili da trovare: molte discussioni, posizioni diverse, poche iniziative. Le istituzioni locali spingono per la realizzazione di un'immensa tendopoli, le Nazioni Unite vogliono intervenire senza rendere definitiva la permanenza dei campi. Si teme un'impasse come con gli uragani del 2008, a seguito dei quali si è parlato molto e fatto poco. O come a Fond Verrettes, al confine con la dominicana, dove dopo l'uragano Mitch del '98 ancora la situazione è come allora, forse peggiorata dall'uragano del 2003. Una grande urgenza che viene dai nostri campi e impegna la sala operativa delle Nazioni Unite è sbloccare la distribuzione del cibo (fino a lunedì hanno coperto tre siti al giorno su quasi 100 esistenti...), dell'acqua potabile e prendere finalmente una decisione sul fare o meno le tendopoli. Noi abbiamo ritrovato altre persone del nostro staff e così il numero dei nostri collaboratori dispersi è sceso. A questo punto abbiamo la speranza che siano solo da rintracciare e che - prima o poi - li troveremo tutti. Stiamo "stabilizzando due siti", cioè due campi sfollati. Uno, con circa 1.200 persone, l'abbiamo diviso in quattro settori e sta prendendo un po' di parvenza di ordine. Mi sono resa conto di com'è importante un luogo in cui stare, di un po' di ordine, di punti di riferimento. Specialmente in una situazione così drammatica. Ora mancano i bagni. Noi non pensiamo mai quanto questi siano segno di civiltà. Ma 1.200 persone senza bagno è ben complicato gestirle. Finora però non era una priorità... Continuiamo ad accogliere bambini per le attività diurne nel centro dell'altra bidonville, Martissant, zona rossa sulle mappe. Vorrebbero che ne aprissimo un altro e l'abbiamo chiesto ai nostri amici di Cesal, l'ong spagnola con cui collaboriamo da tempo. Vorrebbero che noi facessimo un assessment in altre due città vicine alla capitale colpite dal terremoto. Ironia della sorte, abbiamo già lavorato lì per il recupero di bambini dopo il trauma degli uragani del 2008. Lo faremo di nuovo. Vorrebbero che al sud, a Les Cayes, dove sono arrivati i primi sfollati decentrati, facessimo un censimento per il ricongiungimento famigliare e il riconoscimento di bambini non accompagnati. Faremo anche questo, con l'aiuto dei nostri colleghi che sono là. Siamo al fronte, ma sentiamo molto la vicinanza di tante e tante persone. E la certezza della speranza cresce. PS: ho appena finito di scrivere. È in atto una rivolta al carcere di Les Cayes, vicino alla sede AVSI. Si sono avvertiti spari. La polizia ha chiesto di rimanere al coperto. Io sono in ufficio, sono riuscita a contattare Tito che è nella sede di un'altra ong per una riunione. Rimane lì fino a che non si calma la situazione. Fiammetta Qui sotto, la testimonianza di Tito, un altro volontario di Avsi di stanza a Les Cayes, zona sud di Haiti. La situazione laggiù, se possibile, è ancora più pesante. 20 gennaio 2010- Carissimi, l'intenzione era quella di aggiornarvi sull'evoluzione delle questioni sollevate precedentemente al termine di un'altra giornata intensa di incontri, ma purtroppo devo invece farvi un quadro dell'attuale situazione sicurezza qui a Les Cayes. Scrive Tito Ippolito di AVSI da Les Cayes, nella zona a sud dell'isola, dove fino ad ora era certa la sicurezza: "martedì 19 gennaio, verso le ore 15 ora locale, mentre ero in riunione negli uffici di Tdh con il "cluster accoglienza sfollati logistica" (il gruppo UN al quale appartiene AVSI per l'emergenza, ndr), è cominciata una rivolta nella prigione del vicino commissariato. Rumori circa la possibilità che ciò si verificasse c'erano stati soprattutto dopo che la notizia di diverse evasioni riuscite a Port au Prince, Damassin, Miragoine era giunta anche qui. Rientrando immediatamente a casa ho visto un presidio importante di polizia davanti al commissariato mentre nell'aria si distingueva chiaramente il fumo dei lacrimogeni lanciati all'interno della prigione e si udivano gli spari dei poliziotti. In tanti sono fuggiti dalla prigione, inseguiti dalla polizia. Alcuni detenuti correvano verso il nostro giardino. Dietro, gli spari e le urla dei poliziotti Dopo poco la tensione è montata visibilmente, ancora molto fumo di lacrimogeni e spari in continuazione. Da casa ho visto delinquenti scavalcare il muro della prigione e venire verso casa nostra. Alcuni militari e poliziotti sono anche entrati qui in giardino. Speriamo in un presidio importante della polizia. In generale è chiaramente in corso un processo del tutto prevedibile di espansione del livello di insicurezza generalizzato nel paese. Les Cayes, purtroppo, sembra essere una delle destinazioni preferite, considerando la chiusura della frontiera domenicana, la facile raggiungibilità via terra e la desolazione che regna in tutte le altre zone più prossime a Port au Prince. Insomma, l'isola felice, tant'e che alcuni evasi dalla capitale sembrano essere già stati avvistati qui in città. Si attende l'arrivo possibile di migliaia di sfollati che renderanno la gestione dello stato di sicurezza ancora più complicato. Il contingente di polizia della città è ridotto di 2/3 in quanto molti sono partiti alla ricerca dei propri cari e non ancora rientrati. Vi confesso che la facilità con la quale i prigionieri sono riusciti ad evadere dal carcere oggi mi lascia anche molto perplesso rispetto alle capacità del contingente militare e di polizia della Minustah. Sono attese delle possibili manifestazioni di contestazione considerando che già si riscontra nei mercati un innalzamento vertiginoso dei prezzi. Un sacco di riso da 890 htg a 1.500 htg (1 Gourde = 0.0176 Euro, ndr). Insomma, questo e il quadro della situazione ad oggi. Qualora vogliate comunicare in Skype domani sarò collegato tutto il giorno, non so se sarà consigliabile uscire per partecipare alle varie riunioni, cercherò di entrare in contatto con persone affidabili della Minustah. Un saluto, Tito Riceviamo e pubblichiamo la cronaca in diretta di Fiammetta Cappellini, volontaria di Avsi di stanza ad Haiti dal 1999. Sposata con un haitiano, ha rifiutato di rientrare in Italia con la Farnesina per rimanere ad aiutare la gente del posto. È rientrato, invece, il figlio Alessandro, di due anni. 19 gennaio 2010- Ormai ho l'ossessione della linea, quando il segnetto verde di Skype diventa grigio si ripiomba nell'isolamento. Stasera dormiremo in casa. A Les Cayes, al sud del paese, nella zona rurale, già ieri hanno dormito in casa. I nostri due colleghi di Avsi ospitano altre cinque persone. Anche là, dove non è successo nulla di grave, si stanno allestendo campi sfollati, sono confluiti feriti negli ospedali, e la Minustah (United Nations stabilization mission in Haiti, presente dal 2004, ndr) si sta attrezzando per stoccare merce che forse arriverà via mare. Si sta decentrando la crisi. Oggi a Cité Soleil, una città nella città di Port au Prince, abbiamo raccolto i primi dati sui bambini di cui ci siamo occupati fino al terremoto di martedì scorso. Stiamo cercandotutti i bambini di cui ci occupavamo fino al terremoto di martedì. In centinaia sono dispersi, ma quando ne troviamo uno... che gioia grande! Ne seguiamo (o seguivamo?) diverse centinaia, personalmente, uno a uno, da vari anni. Li aiutavamo, con il sostegno a distanza, ad andare a scuola, avere le cose più necessarie (materasso per dormire, scarpe, divisa per la scuola, cibo), fare esperienze di ordine e di bellezza. Ci ha sempre sostenuto in questo la convinzione che una vita povera dev'essere anche degna. Un bambino senza scarpe non può andare a scuola. Si vergogna, è considerato indegno.Siamo andati a cercarli e a vedere le loro famiglie. Su un centinaio, oltre 60 hanno perso la casa o ce l'hanno gravemente danneggiata. Ma quando riesci a trovarli, che gioia grande! Quando non conosci la sorte di qualcuno, com'è bello ritrovarsi, o sentirsi dire di un bambino che sì, c'è, ma è andato dalla zia, che ha la casa ancora in piedi. Ho bussato a molte porte per avere il necessario per i nostri campi. Qualcosa abbiamo avuto, acqua, salviette, generi di questo tipo, ma cibo no. Il cibo va accompagnato dalla Minustah. La sicurezza lo impone. Però le situazioni di violenza, che pur ci sono, mi paiono non essere così generalizzate. Certo, pare tutto appeso a un filo, un filo che per ora tiene. L'atmosfera di Port au Prince è surreale. Da una parte le giornate sono scandite dalla presenza delle personalità mondiali più potenti, che determinano traffico, blocco delle attività, affollarsi dei media, delle forze di sicurezza. Dall'altra ti guardi intorno e pensi all'impotenza totale dell'uomo. Anche il Segretario generale dell'Onu era cosi impotente di fronte alle macerie. Ho sentito che in Italia è cresciuto il dibattito sull'adozione temporanea di questi bambini. Ma qui già prima c'erano moltissimi abbandoni. Ora bisogna pensarci bene, se dopo il trauma del terremoto, magari con la perdita di uno o di entrambi i genitori, vale la pena trapiantarli. Bisogna pensare che ogni caso è diverso, che i bambini non sono funghi, hanno relazioni, rapporti, e reciderli può essere fatale. Meglio tendere ad aiutarli qui. A proposito di aiuto, mi è sembrata interessante la proposta del segretario generale di Avsi di destinare da parte dell'Italia metà del montepremi del gioco del lotto ad Haiti. Non risolve ma educa. E ne abbiamo tutti bisogno. 17 gennaio 2010: "Sabato c'è stata ancora una scossa forte, ha dato il colpo definitivo a vari edifici pericolanti. Ma la gente vive per strada. L'indicazione è ancora e sempre dormire fuori. Di giorno si fa in tempo a scappare ma di notte, se dormi, no. Ieri notte eravamo in quattordici nel nostro giardinetto, il clima dei Caraibi aiuta. Avevamo tanti ospiti anche perche si preparava l'evacuazione di un gruppo di italiani. Dopo tanti dubbi mio marito ed io abbiamo deciso di mandare nostro figlio Alessandro in Italia dai nonni, accompagnato da Diane, la moglie in gravidanza del nostro collega Andrea che lavora alla sistemazione di un acquedotto da parte di Avsi con Mlfm. Abbiamo passato molte ore in aeroporto prima che il C130 dell'aeronautica militare partisse, il caos dell'aeroporto è grande, il personale non tutto operativo, aiuti che arrivano e stazionano, compresa la task force americana che si attendeva come la risoluzione dei problemi. Ho avuto molto tempo per ripensarci, per capire se stavo facendo la cosa giusta. Penso di sì, che sia giusto per Alessandro andar via da questi orrori, raggiungendo la sua mezza patria. Ma è giusto che respiri una vita che sa di grandi ideali, anche rischiosi, e non di certezze borghesi. Questo ho imparato dai miei genitori, questo desidero per Alessandro. Ma il distacco è stato dolorosissimo. Ieri abbiamo accolto nei nostri spazi di Martissat tre turni di 300 bambini che i familiari ci lasciavano per 3-4 ore per poter cercare parenti, verificare le case, capire cosa fare. In uno spazio sicuro, a giocare lontano dalla distruzione e dalla morte. La ricezione degli aiuti e la loro dislocazione è molto difficile: strade ingombre, mezzi rari, caos. Alcune cose sono disponibili nel resto del paese, anche nei dintorni della città, ma la catena logistica ha bisogno di tempo per partire. Il nostro materiale disponibile a Port au Prince è stato tutto distribuito a 300 persone tra giovedì, venerdì e sabato. Abbiamo ricevuto un primo stock, dall'estero, in modo rocambolesco: fondi italiani, spesi a Madrid, volo della cooperazione spagnola via dominicana e poi via elicottero a Port au Prince. Abbiamo ora i telefoni satellitari. Un altro carico, con coperte, teli e materassi ha invece dovuto sostare in frontiera. In questo momento apprendo che il carico di materassini e sapone e altri generi di prima necessità ha varcato il confine ed è passato dalle mani del team Avsi di Santo Domingo a quello di Haiti. Era un passaggio difficile, incastrare gli orari. E pensare che fino a pochi giorni fa si faceva squillare il cellulare anche per farsi aprire il cancello. Le UN si stanno organizzando, la Minustah ( United Nations stabilization mission in Haiti, ndr) sta iniziando a orientarsi. Confido molto in loro, avevano finalmente preso il controllo della situazione dopo anni di fuori controllo. Speriamo si rimettano in sella. La lotta contro il tempo è sfiancante. Le giornate iniziano prestissimo e finiscono tardi. Anche se la sera non è sicuro stare in giro. In questi anni abbiamo fatto tanto per il recupero psicologico e umano dei bambini traumatizzati dalla violenza e degli uragani del 2008. Ora siamo tutti in un tunnel buio. Ma sentiamo nel cuore che siamo fatti per la vita. Non soli, ma con l'aiuto di tutti, ce la faremo". Riportiamo qui di seguito la mail inviata il 15 gennaio da Fiammetta. Una cronaca lucida e tempestiva del dramma che ha investito la gente di Port-au-Prince. (Più sotto, le mail dei giorni precedenti) 16 gennaio 2010 - Una catastrofe. Mai un terremoto di tale portata aveva devastato Haiti, anche se per ora è impossibile valutare appieno le conseguenze del sisma che martedì 12 gennaio 2010, le 16.53 ora locale, quasi le 23 in Italia, ha colpito l'isola di Haiti e in particolare la capitale, Port-au-Prince, dove AVSI lavora dal 1999 con tanti progetti e attività. Si teme che i morti siano centinaia e centinaia. L'ennesima catastrofe che ha nuovamente messo in ginocchio la popolazione, quella sopravvissuta, già stremata dalla povertà. Manca corrente, si è spento tutto, i generatori sono merce rara. Anche per la sede operativa di AVSI a Milano non è semplice comunicare con la sua équipe La buona notizia per AVSI è che tutti i 6 espatriati (5 italiani e 1 francese) sono fortunatamente vivi. Mentre stiamo cercando di rintracciare anche tutti i 100 collaboratori nazionali. Difficile anche avere notizie in breve tempo di tutte le famiglie che AVSI sostiene in Haiti attraverso i vari progetti, come il sostegno a distanza. "Chiediamo a tutti gli amici che ci hanno aiutato di continuare a farlo per questa emergenza, di avere tanta pazienza e di pregare." Le comunicazioni sono quasi impossibili, manca corrente, si è spento tutto, i generatori sono merce rara. Anche per la sede operativa di AVSI a Milano non è semplice comunicare con la sua équipe. Fiammetta 15 gennaio 2010- "Ragazzi ciao, oggi vi mando poche righe via chat, stasera le nuvole impediscono anche questi pochi collegamenti. La giornata l'abbiamo trascorsa prima a rintracciare il nostro personale nelle due bidonvilles Cité Soleil e Martissant, di alcuni non conosciamo ancora la sorte, mentre altri sono felicemente ricomparsi sani e salvi. Purtroppo abbiamo avuto la prima certezza di una perdita tra le nostre file, Junior, un giovane mediatore comunitario. Era molto capace, sempre allegro. Poi abbiamo lavorato alle emergenze, anzitutto quella sanitaria e quella igienica. I corpi giacciono ovunque. A Cité Soleil abbiamo allestito un primo tendone di accoglienza. I senzatetto sono innumerevoli. Iniziamo dai bambini, perduti, soli. Stiamo procurando altri tendoni, materassi e coperte e generi di prima necessità. Dalla Farnesina ci hanno comunicato la possibilità di evacuare. Gli occhi di Alessandro mi impediscono di scappareCominciamo ad avere riferimenti nelle Nazioni Unite, abbiamo saputo la sorte di alcuni amici e colleghi. Alcuni destini tragici. Il dolore è forte, pensare a quei volti ci mette grande tristezza. Abbiamo buone notizie dai Camilliani, Padre Gianfranco Lovera e i fratelli sono in piedi, il loro ospedale è fitto di gente. Li aiutiamo. Una giornata tremendamente intensa, anche se complessivamente oggi la situazione pare essere stata meno caotica, forse perché abbiamo ritrovato alcuni punti di riferimento: la Minustah è operativa. Non abbiamo visto episodi di sciacallaggio, ci pare che le persone siano shockate, sgomente, ma attente agli altri. Vedremo nelle prossime ore. Dalla Farnesina ci hanno comunicato la possibilità di evacuare. Ora, per me non ci penso proprio. Guardavo il mio piccolo Alessandro. Chissà cosa lo aspetta. Ma la nostra grande speranza non crolla, anzi cresce. Affermare la vittoria della vita sulla morte e ricostruire l'umano è ora il nostro compito qui. State con noi. Ciao, Fiammetta". 14 gennaio 2010- "Carissimi, riassunto della giornata di ieri, mercoledì 13 gennaio 2010, con il collega di AVSI Jean Philippe, che è di stanza a casa mia, perché la sua è crollata. Oggi ci siamo finalmente resi pienamente operativi. Obiettivo della giornata: valutare la situazione e vedere come utilizzare le nostre risorse. Siamo partiti di buonissim'ora per sfruttare tutte le ore di luce, visto che non c'è corrente. Visto in giornata di ieri altre organizzazioni: cis, mrt, unicef, oim, ufficio nostro, msf ospedale e capo missione, OCHA, ONU base logistica. Abbiamo cominciato da Citè Soleil, la bidonville nella quale lavoriamo con tante attività, educative, di alfabetizzazione, diritti umani, formazione, ecc. Abbiamo trovato una situazione disastrosa. Gli edifici di maggiori dimensioni sono crollati. Segnalo solo per citarne qualcuno: la parrocchia, la scuola nazionale, la scuola cattolica Foyer Culturel, storicamente teatro di molte nostre iniziative. Tutto distrutto. Il commissariato e il comune invece si sono salvati. Il nostro centro di appoggio psicosociale è in piedi, ma danneggiato. Non funzionale in questo momento, ma con pochi lavori potrebbe. Il numero di vittime a Citè Soleil è molto elevato, pur non essendo una delle comunità più toccate. Dopo 12 ore dal sisma, l'unico ospedale che serve una popolazione di almeno 200.000 persone non funzionava. Dentro una sola infermiera, abbandonata a se stessa, senza alcun materiale, senza un medico, con l'aria stralunata di chi cerca di cavarsela in qualche modo in un vero inferno. Nel cortile dell'ospedale, feriti gravissimi e moltissimi cadaveri, buttati sull'asfalto, in pieno sole. Vedeste quanti bambini, a volte senza un arto o con ferite così terribili da essere non identificabili al volto. Una cosa terribile. L'unica parola che ci ha detto, in quella stanza di morte è stata: "un dottore, vi prego"... le abbiamo promesso che lo avremmo trovato. L'ultima parola che ci ha detto, in quella stanza di morte, è stata "un dottore, per favore". Le abbiamo promesso che l'avremmo trovato A Citè Soleil non siamo stati in grado di trovare che circa il 30 per cento del nostro personale locale. Di un altro 20 per cento riusciamo ad avere notizie. Degli altri non si sa nulla. Moltissimi, quasi tutti, hanno vittime in famiglia o hanno perso la casa. Comunque il personale è disponibile, soprattutto i ragazzi. Sono bravissimi. In mezz'ora abbiamo potuto disporre di un'equipe di 18 persone. Come valutazioen per Citè Soleil direi quindi: ancora urgenza. First step: medica e scavo (tra le macerie). Da fare attenzione alla creazione di dinamiche di dipendenza dagli aiuti e di crisi sociale/popolare per aiuti sensibili come cibo. Situazione molto tesa già ieri. Ieri abbiamo lavorato sulla logistica per assicurare a msf di poter lavorare. Abbiamo aperto la strada tra le macerie, altrimenti non sarebbero mai arrivati. Abbiamo messo in piedi l'équipe, creato un minimo di spirito di squadra e riconfortato gli animi dei nostri. Operativamente, abbiamo cercato di rendere possibile l'ingresso di msf a Citè Soleil. Ora hanno una squadra operativa e noi facciamo un po' di appoggio. Li supportiamo ancora uno o due giorni per l'arrivo del cargo, per spostare la merce, poi proseguiranno da soli. Abbiamo un debriefing domani con loro per la questione cadaveri. Se si identifica un sito, ci siamo offerti con le squadre per scavare, per seppellirli. Mi sono anche offerta di negoziare il sito con i capi banda, visto che la zona, come sapete, è tutta controllata da feroci bande armate. Fatte queste due cose (assicurato l'ospedale e risolta questione cadaveri) possiamo attivarci per iniziative più di ricostruzione. Pensavo: aprire il centro come ufficio di appoggio. Requisire i locali della vicina scuola OPJED (possiamo farlo, sono nostri partner) per fare accoglienza a famiglie senza tetto o per orfani. Iniziare identificazione vittime legate al nostro sostegno a distanza. Al momento però nessuno dei tre partner sembra reperibile, nemmeno la coordinatrice Sherline. Appena possibile, necessita distribuzione di kits cucina per il cibo, quindi pentole, taniche eccetera, vestiti, teli da usare tipo tende, materassini da campo, coperte leggere (pensavamo di usare le salviette ikea che ci ha dato UNICEF). Chissà… Mi sono offerta di negoziare coi capi banda, visto che la zona è tutta controllata da feroci bande armate Ci siamo poi spostati a Martissant, altra zona "feroce" di bidonville nella quale lavoriamo. Siamo andati dapprima all'ospedale msf: un girone infernale. Due medici e dieci persone per centinaia e centinaia di vittime. Da non sapere dove metter i piedi. Abbiamo visitato i nostri uffici, quelli delle basi locali dell'Unione Europea, FED e centro appoggio UE3: non danni gravi, quasi nulla, agibili, pronti all'uso. Abbiamo lasciato messaggi scritti alle équipes, appuntamneti per i prossimi giorni, indicazioni, ma nessun risultato. L'unica equipe in azione è il FED. Hanno fatto il censimento per lo stato delle nostre scuole. A ieri pomeriggio su 8, 2 sono totalmente perse, 2 gravemente danneggiate. Di tutta la nostra équipe terreno qui a Martissant (15 persone + 15 mediatori) solo 5 assistenti sociali e un coordinatore sono reperibili e in grado di lavorare. Da notare comunque che quasi tutti hanno riportato ferite lievi e hanno famiglie in mezzo alla strada. Ma hanno assicurato disponibilità a lavorare a tempo pieno. A Martissant la situazione è da ecatombe in alcuni quartieri come Grande Ravine, Descaiettes e TiBwa. Comunque per la cronaca la nostre casette OCHA hanno resistito. Molti feriti gravi non riescono a raggiungere gli ospedali. Molti bambini hanno bisogno di interventi urgenti di aiuto. L'ufficio FED è diventato un naturale punto di appoggio, la gente che ha perso la casa si è radunata lì davanti. E da questi che vorremmo cominciare. Pensavamo di aprire l'ufficio e adibire le sale ai bambini secondo fasce di età. Possiamo prenderne in carico fino a 250 contemporaneamente. Un'inezia, ma meglio di niente. Vorremmo istituire un servizio di accoglienza per bambiini, in modo da dare ai genitori la possibilità di andarsi a cercare le proprie cose o quel che ne resta, in casa. Cominceremmo anche a fare il punto su case distrutte, case da risistemare, orfani e bambini non accompagnati. Appena possibile, necessita distribuzione di: stesse cose di cui sopra per Citè Soleil. Per Les Cayes, la zona a sud ovest dove sta il nostro Tito Ippolito, per il momento non ha avuto problemi, stiamo ospitando in casa e giardino altre organizzazioni. Situazione casa mia: - carburante e generatore funzionante, autonomia almeno 8-9 giorni a ritmo pieno, se razioniamo la corrente anche 2 settimane. - cibo secco scorta per 4 giorni. Cibo fresco finito. - acqua potabile: 1 giorno di autonomia. Ma possiamo trattare l'acqua della cisterna. In tal caso: massimo 10 giorni. - Gas cucina per una settimana. - Benzina auto ne ho per tre giorni al massimo - No acqua corrente, ma acqua per lavarsi disponibile. Urgenza: la comunicazione. Fateci arrivare qui benedetti satellitari! Ciao, Fiammetta 13 gennaio 2010- "Ciao a tutti. Cerco di essere breve perché cerchiamo di fare economia di batterie. Il terremoto è avvenuto alle 17, mentre ci accingevamo a chiudere gli uffici di PV. Gli uffici terreno erano gia invece tutti chiusi. La prima scossa è stata fortissima e durata sicuramente più di un minuto. Appena possibile abbiamo lasciato i locali. Constatato che non c'erano danni rilevanti, siamo andati tutti a casa. Le strade però si sono rivelate una trappola. Io e la seconda macchina con Jean Philippe e un collega haitiano siamo rimasti bloccati per ore. Alla fine abbiamo deciso di far ritorno all'ufficio. Ci siamo riforniti di acqua potabile e ci siamo diretti in una casa vicina, unica meta raggiungibile. Qui però ci ha sorpresi la seconda scossa, al che abbiamo deciso di dormire fuori. Non potendo raggiungere casa mia, abbiamo chiesto ospitalità in una struttura dell'ambasciata brasiliana che dispone di un grande cortile e che sapevamo avere internet. Da li vi abbiamo scritto il primo messaggio. Quando al situazione nelle strade si è un po' normalizzata, verso le 10 di sera, ci siamo avventurati verso casa mia. Abbiamo praticamente attraversato la citta. Il panorama è devastante. I piu importanti edifici sono scomparsi. Danni ingenti si registrano ovunque. Solo da quello che abbiamo visto noi, i morti non possono che contarsi a migliaia. Interi edifici di diversi piani sono completamente rasi al suolo. Gravissimi danni ha subito un noto supermercato che a quell'ora non poteva essere che pieno di gente. È praticamente ridotto a niente. Mancano luci per illuminare e continuare a scavare, ora che è notte. Non possiamo che attendere domani mattina, ma questa notte è veramente nera per tutti noi Verso mezzanotte ho potuto ritrovare mio marito (...) Attraversando la città abbiamo visto scene di devastazione terribili. Abbiamo notizia di almeno due colleghi che hanno trovato la casa rasa al suolo. (d'altronde anche quella di fianco alla mia non esiste più....). Per le strade vagano persone in preda a crisi di panico e di isteria, feriti in cerca di aiuto. Gli ospedali sono difficilmente raggiungibili, le strade della capitale impraticabili. Il nostro viaggio verso casa è durato oltre 2 ore per fare meno di 10 chilometri. E per fortuna avevamo la jeep. Abbiamo cercato di portare aiuto come potevamo per trasportare i feriti, almeno i bambini non accompagnati, ma ci siamo presto resi conto di quanto poco servisse rispetto alla dimensione di questa tragedia. Si sentono dalle macerie le grida di aiuto di chi è rimasto sotto e i parenti impotenti si disperano. Mancano luci per illuminare la scena e continuare a scavare, ora che è notte. Non possiamo che attendere domani mattina, ma questa notte è veramente nera per tutti noi. Le prigioni- Il Commissariato di delmas 33, con annessa prigione e centro di detenzione di minori, un edificio di tre piani, non esiste piu. Sul posto la minustah ha montato luci a grande potenza per poter continuare l'opera di soccorso. L'hotel Montana, dove oggi ho pranzato con F. è semidistrutto e conta 200 dispersi. Non ho sue notizie, ma a quell'ora avrebbe dovuto essere altrove. Spero per lei. ONU- Tutti i mezzi della missione ONU sono mobilitati per portare aiuto, ma le Nazioni unite stesse hanno subito gravi danni, con il loro quartier generale semi distrutto e diversi impiegati civili dati epr dispersi. In tutta la città la gente resta in strada: chi non ha più una casa, ma anche chi teme nuove scosse. Della maggior parte dei colleghi haitiani non abbiamo notizie, come anche di moltissimi amici e colleghi. Abbiamo incontrato in strada il capomissione di ACF action contre la faim. Ci ha raccontato che il loro edificio è interamente distrutto e che per ore hanno cercato i colleghi vittime del crollo. Un loro collega haitiano manca all'appello. Lo stesso capommissione era leggermente ferito e cercava a piedi di raggiungere la propria abitazione e avere notizie della famiglia. La sorellina piangeva: come fa la mamma a ritrovarci che la casa non c'è più? Cio che abbiamo visto con Jean Philippe nell'attraversare la citta è spaventoso. Non so davvero da che parte potremo ricominciare domani mattina. E mancano solo 2 ore all'alba, per fortuna. È terribile affrontare la notte in quste condizioni. Penso ai 4 bambini che abbiamo soccorso oggi pomeriggio, 4 fratellini che si sono trovati sotto una casa distrutta senza i genitori non acnora rientrati dal lavoro. Uno di loro aveva gravissime ferite alla testa e piangeva disperato. La sorellina piangeva chiedendo: "Come fa la mamma a ritrovarci che la casa non c'è piu?". Li abbiamo lasciati nelle mani di un motociclista perche con la nostra auto non si andava piu ne avanti ne indietro. Dove saranno ora? Pregate per questo paese sfortunatissimo". Fiammetta A