L'esplosione avvenuta in una casa di Plum, in Pennsylvania, sabato 12 agosto, è stata ripresa dalle telecamere di sicurezza di un'abitazione vicina. Lo scoppio, forse provocata da una caldaia malfunzionante, ha provocato la morte di 5 persone, tra cui quella di un bambino di 12 anni. Sulle cause della tragedia le autorità locali stanno ancora indagando. L'esplosione ha distrutto tre edifici e provocato danni a circa una decina di altri. Le vittime sono la proprietaria della casa dove è avvenuto lo scoppio, una donna di 51 anni, un funzionario del comune locale, di 57, e altre tre persone che vivevano nel quartiere, di 55, 38 e 12 anni.
Un'auto si è schiantata contro un edificio lunedì pomeriggio poco fuori Springfield, negli Stati Uniti, uccidendo quattro giovani e ferendone diversi altri durante un programma doposcuola. Lo ha riferito la polizia di stato dell'Illinois. Gli agenti sono intervenuti intorno alle 15.20 per un veicolo che si è schiantato contro un edificio, attraversandolo e investendo mortalmente 4 vittime con un'età compresa tra i 4 e i 18 anni. Si tratterebbe di "studentesse", secondo quanto riferito dal medico legale, le cui identità saranno divulgate dopo che i familiari saranno stati avvisati. Diverse altre persone sono rimaste ferite e sono state trasportate in ospedale. Non è chiaro se si sia trattato di un incidente o di un gesto intenzionale.
«La libertà non è mai scontata. Ai nostri figli dobbiamo raccontare che c’è stato un tempo in cui per le proprie idee si poteva essere costretti a cambiare scuola, quartiere, città. Si poteva essere minacciati, insultati, aggrediti. Si poteva persino perdere la vita, uccisi da carnefici che nemmeno ti conoscevano, in una spirale di odio cieco e violenza». Così il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha voluto portare il suo ricordo di Sergio Ramelli alla cerimonia d’inaugurazione della mostra che ne racconta la tragedia 50 anni dopo. «Ci tenevo moltissimo ad esserci in questo anniversario così importante», continua Meloni in collegamento con la platea gremita, «perché oggi, dopo cinquant’anni, quella memoria, che per troppo tempo è stata soltanto di una parte, inizia ad essere maggiormente condivisa, nel tentativo di ricucire una ferita profonda nella coscienza nazionale. Ed è nostro dovere raccontarlo, non soltanto per ricordare chi ha pagato il prezzo più alto, ma per imparare a riconoscere subito i germi di quell’odio e di quella violenza, per neutralizzarli subito e impedire loro di generare nuove stagioni di dolore, perché non accada mai più».
Poi un messaggio ai giovani, che oggi avrebbero la stessa età di Sergio al momento della sua morte. «Cinquant’anni dopo c’è ancora una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarsi a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri. Coltivate la vostra libertà, non perdete il vostro sorriso, inseguite la bellezza, difendete le vostre idee con forza ma fatelo sempre e soprattutto con amore. Come faceva Sergio». E ancora: «La sua morte tanto brutale quanto assurda, e forse proprio per questo divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia, è un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti».
«Oggi sono in tanti», interviene il Presidente del Senato Ignazio La Russa, che quegli anni tristi a Milano li ha vissuti in prima persona, «a vedere in Sergio una figura utile per dire no all’odio di parte e per comprendere quanto sia sbagliata la contrapposizione violenta. È giusto ricordare anche i due giovani di sinistra, Fausto e Iaio, per i quali non è ancora stata fatta giustizia. Perché ciò che conta è la memoria condivisa di giovani morti solo perché credevano in un’idea, non se di destra o di sinistra. Un insegnamento che deve restare forte, specie in una fase storica in cui vedo riaffacciarsi fuocherelli che non mi piacciono», continua La Russa, che poi a chi gli chiedeva cosa avesse da dire a chi ancora contesta il ricordo di Ramelli, replica: «Contenti loro, contenti tutti».
Fuori dalla sala, nel foyer dell’auditorium al piano terra di Palazzo Lombardia, una serie di pannelli che ripercorrono i drammatici avvenimenti degli ultimi giorni di Sergio, prima e dopo l’aggressione ad opera di alcuni militanti della sinistra extraparlamentare legati ad Avanguardia Operaia. Il convegno in ricordo di Sergio Ramelli è stato anche l’occasione per premiare le 38 città italiane che hanno intitolato uno spazio a Ramelli. Regione Lombardia ha consegnato una targa di «riconoscimento per il coraggio mostrato» a comuni da tutto lo stivale, da Ascoli Piceno e Brescia, passando per Cagliari, Como, L’Aquila, Lecce, Modena, Monza e ancora. «Su Ramelli», commenta Carlo Fidanza, europarlamentare per Fratelli d’Italia, «c’è tanto da recuperare: la sua storia è stata taciuta e ignorata per decenni e ora gli si rende onore. Fa specie che ci siano situazioni come quella di Cinisello, dove è stato convocato un presidio antifascista per contestare l’intitolazione di una piazza a Ramelli. Il Pd, invece di polemizzare, farebbe bene a dissociarsi da fanatici che contestano un ragazzo ucciso per le sue idee».
A Milano la via in suo nome ancora manca e Fratelli d’Italia ha chiesto al Comune di intitolare entro il 2025 una via della città o uno slargo a Sergio Ramelli. Una «resistenza» che secondo alcuni potrebbe essere la causa di alcune manifestazioni extraparlamentari dove si vedono braccia tese. «Se ci fosse stata una maggior capacità da parte di tutti e soprattutto da parte della sinistra di contribuire a una memoria condivisa, probabilmente le commemorazioni di parte oggi scemerebbero di intensità», conclude Carlo Fidanza, che poi ricorda: «Fratelli d’Italia non aderisce al corteo di domani. Abbiamo preferito le cerimonie istituzionali, come questo convegno in Regione e il ricordo ai giardini di via Pinturicchio e sotto casa di Pedenovi, insieme al sindaco e alle altre autorità».
Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev
La premier Giorgia Meloni in un videomessaggio ha ricordato Sergio Ramelli a 50 anni dalla sua scomparsa: "Ci tenevo moltissimo ad esserci in questo anniversario così importante. Siamo reduci da giorni intensi, nei quali la scomparsa del Santo Padre ci ha portato a riflettere su temi profondi: misericordia, perdono, pietas, provvidenza. Ed è terribilmente difficile accostare questi valori alla vicenda di Sergio Ramelli. Cinquant’anni fa si spegneva la sua giovanissima vita: una morte tanto brutale quanto assurda e forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia. Cinquant’anni dopo siamo chiamati ad interrogarci su quello che ancora oggi ci può insegnare il suo sacrificio". E ancora: "Sergio era una persona libera, ma essere liberi in quei tempi duri comportava un’enorme dose di coraggio, che spesso sfociava nell’incoscienza, addirittura. Sergio amava l’Italia più di ogni altra cosa e aveva deciso di non tenerselo per sé, di dirlo al mondo, senza odio, arroganza o intolleranza. La sua storia ce l’ha raccontata chi lo ha conosciuto, chi ha condiviso con lui la militanza politica, chi ha sperato e pregato per quei terribili quarantasette giorni di agonia che Sergio potesse risvegliarsi, chi ha pianto quel 29 aprile in cui si è spento e nei giorni successivi quando persino celebrarne il funerale divenne un’impresa, chi ha ricercato incessantemente verità e giustizia, prima e durante il processo, chi in questi anni ha dedicato alla sua memoria una strada o un giardino e chi invece un libro, una canzone, un fumetto o uno spettacolo teatrale. E quella storia ce l’ha raccontata Anita, mamma Ramelli, che per quasi quarant’anni ha onorato il suo amato Sergio insegnando dignità e amore infinito".
Poi ha aggiunto: "Oggi, dopo cinquant’anni, quella memoria, che per troppo tempo è stata soltanto di una parte, inizia ad essere maggiormente condivisa, nel tentativo di ricucire una ferita profonda nella coscienza nazionale che deve accomunare in uno sforzo di verità e pacificazione tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica. Un mese e mezzo fa, nell’anniversario dell’aggressione, il Governo che mi onoro di guidare, in collaborazione con l’Istituto Poligrafico dello Stato e Poste Italiane, ha voluto dedicare un francobollo alla memoria di Sergio Ramelli. È stato per noi molto più che un gesto simbolico. Significa affermare che la sua vicenda, la sua vita e la sua morte, sono un pezzo di storia d’Italia con cui tutti quanti, a destra e a sinistra, dobbiamo imparare a fare i conti. Significa ricordare che la libertà non è mai scontata. Ai nostri figli dobbiamo raccontare che c’è stato un tempo in cui per le proprie idee si poteva essere costretti a cambiare scuola, quartiere, città. Si poteva essere minacciati, insultati, aggrediti. Si poteva persino perdere la vita, uccisi da carnefici che nemmeno ti conoscevano, in una spirale di odio cieco e violenza che si è trascinata per troppi anni".
Infine ha concluso: "Dobbiamo raccontarlo, non soltanto per ricordare chi ha pagato il prezzo più alto, ma per imparare a riconoscere subito i germi di quell’odio e di quella violenza, per neutralizzarli subito e impedire loro di generare nuove stagioni di dolore, perché insomma non accada mai più. Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri. Coltivate la vostra libertà, non perdete il vostro sorriso, inseguite la bellezza, difendete le vostre idee con forza ma fatelo sempre e soprattutto con amore. Come faceva Sergio".
Botta e risposta tra la Cina e le Filippine su un territorio che entrambi i Paesi rivendicano nel Mar Cinese Meridionale. Manila ha risposto a Pechino dopo che sei filippini domenica sono sbarcati su un piccolo scoglio, Sandy Cay, in modo "illegale", secondo la guardia costiera cinese.
"Non c'è alcun fondamento di verità nell'affermazione della guardia costiera cinese secondo cui le Pagasa Cays sono state occupate“, ha dichiarato lunedì Jonathan Malaya, vicedirettore generale del Consiglio di sicurezza nazionale filippino, in una conferenza stampa. Recentemente erano state infatti pubblicate foto di agenti della guardia costiera cinese che espongono una bandiera cinese sullo stesso gruppo di banchi di sabbia.
Fonti filippine hanno affermato che una squadra congiunta della guardia costiera, della marina e della polizia marittima a bordo di gommoni era sbarcata domenica sui tre banchi di sabbia che compongono Sandy Cay. "Esortiamo la Repubblica Popolare Cinese e la guardia costiera cinese ad agire con moderazione e a non aumentare le tensioni", ha aggiunto Malaya.
La dichiarazione della guardia costiera cinese sul successivo sbarco filippino afferma che la Cina detiene "la sovranità indiscutibile" sulle Isole Spratly, compreso Tiexian Reef e le acque circostanti. Sandy Cay si trova vicino a un avamposto militare filippino sull'isola di Thitu, nota anche come Pagasa, che secondo quanto riferito Manila utilizza per monitorare i movimenti cinesi nella zona. Secondo quanto scrive Bbc, non ci sono segni che la Cina stia occupando in modo permanente l'isola di 200 metri quadrati e la guardia costiera avrebbe lasciato la zona.