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Pansa: o Mario o il caos, lui è l'unica soluzione

Crisi mondiale: andare a votare ora significherebbe mandare l'Italia al macello dei mercati. Monti è l'unica soluzione

Giulio Bucchi
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Non ci piace il governo Monti? Lo riteniamo zeppo di tecnici che ignorano  l'arte del governare? Lo consideriamo troppo lento? Pensiamo che il premier sia un ottimo economista, ma non abbia nessuna capacità pratica di guidare un paese nei guai come il nostro? Qualche giornale scrive che attorno a Monti è stata distesa una cortina di piaggerie, di enfasi encomiastiche, di retorica da leccapiedi. A me non sembra affatto così. Anzi, a me sembra proprio il contrario. Il governo dei professori è nato da pochi giorni, per l'esattezza undici. Visto che ha giurato al Quirinale il 16 novembre. Eppure molti pretendono che abbia già posto rimedio a un disastro in atto da anni. Vogliono vedere attuate subito le misure decise per salvare l'Italia e al tempo stesso l'euro. Ma è una pretesa assurda. Il Bestiario pensa che sia indispensabile dare a Monti un minimo di tempo. Senza fargli le pulci ogni mattina. Anche gufare contro il suo governo, sperando che fallisca prima di aver iniziato a lavorare, mi appare privo di senso. È una pulsione autolesionista, che va contro lo stesso interesse dei gufi. E soprattutto è un atteggiamento molto rischioso. Per farmi capire meglio, proverò a immaginare che cosa accadrebbe se il governo Monti andasse a carte quarantotto. È il giorno X di questo 2011 o del primo 2012. Il governo dei professori ha già presentato il suo menù di guerra. Come tutti sapevano, è davvero pesante. Molte decisioni riguardano le tasche degli italiani. La nuova Ici anche sulla prima casa, con le rendite catastali rivalutate e legata al reddito dichiarato. L'aumento dell'Iva. Una patrimoniale, sia pure leggera. La riforma delle pensioni. Un intervento risoluto per tentare di sconfiggere l'evasione fiscale. Non tutto il paese la prende nel modo giusto. Com'era fatale, esplode il malcontento. Molti non si rendono conto che o la va o la spacca. E che il governo Monti è l'unica zattera che abbiamo a disposizione per provare a salvarci. I partiti che gli hanno dato la fiducia si spaventano. Temono di perdere molti voti. Nelle nomenklature della Casta cominciano a prevalere i nemici del premier. Visto come un alieno pericoloso per il potere della vecchia politica. Tutto si conclude in Parlamento con un voto di sfiducia che abbatte il governo dei professori. A quel punto che cosa succede? Il presidente della Repubblica tenta di formare un nuovo esecutivo. Non sarà più di tecnici, ma di politici. Un governo di coesione nazionale, sorretto dai tre blocchi maggiori: il Pdl, il Pd e il Terzo Polo. Dovranno essere loro ad affrontare la bufera della crisi finanziaria e della recessione. I capi dei tre blocchi, Berlusconi, Bersani e Casini, rispondono sì all'appello di Napolitano. E si dicono pronti a un'azione comune. Il governo di unità nazionale sembra fatto. Ma non è così. Il primo scoglio emerge subito, non appena il terzetto comincia a confrontare i rispettivi programmi e a discutere sulle misure da prendere. I tavoli di dibattito si moltiplicano. Entrano in scena i responsabili economici dei partiti. Ciascuna parrocchia vuole imporre la propria ricetta. E nel frattempo i giorni passano. Dopo due settimane di confronto, sotto lo sguardo sempre più inquieto del Quirinale, i partiti trovano un accordo sul programma. È un'intesa utile o sterile? Produrrà oppure o no il risultato di salvare l'Italia? Nessuno sa dirlo. Conta soltanto che l'accordo programmatico ci sia. È un volume di 270 pagine. Ma come dicevano i nostri vecchi, meglio l'abbondanza che la miseria. Tutto fatto? Per niente. Emerge il secondo scoglio. Chi dovrà essere il premier del governo di unità nazionale? È proprio qui che scoppia la rissa più feroce. Berlusconi, dato per morto, è ben vivo e rivuole la poltrona di presidente del Consiglio. Per un motivo: le misure decise dalla nuova maggioranza sono le stesse che aveva già proposto lui, quando guidava il centrodestra. Bersani pretende il premierato in base al principio che il Pd è ormai il partito più forte. Lo dicono tutti i sondaggi, persino quelli delle società demoscopiche vicine al Cavaliere. Ma anche Casini chiede per sé Palazzo Chigi. Il suo ragionamento sembra lineare. Se i due partiti maggiori litigano e si paralizzano a vicenda, non resta che una terza via: la sua. Il contrasto sul premier si mangia un'altra settimana. Sono giorni da incubo. In Europa succede di tutto, mentre in Italia riappare il caos politico. Un cancro al quale si era cercato  di sfuggire con il governo Monti. I tentativi di Napolitano per arginare il disordine falliscono. Scovare un premier adatto all'emergenza sembra impossibile. Nessuno dei leader di partito vuole cedere il passo a un concorrente. Il capo dello stato deve arrendersi alla realtà. La Casta è diventata ingovernabile. Tutti i suoi membri, dal primo all'ultimo, badano soltanto al loro piccolo interesse. Delle sorti dell'Italia non gli frega nulla. Il pur tenace Napolitano getta la spugna. Scioglie le Camere e chiama il paese alle urne. S'inizia una campagna elettorale furibonda. Quarantacinque giorni di guerra. Tutti contro tutti. Nel frattempo i mercati macellano l'Italia. Lo spread va alle stelle. E la credibilità del paese precipita nelle stalle. Che cosa succeda non voglio neppure immaginarlo. La fantasia non mi sorregge più. Provo un sentimento solo: la paura. Naturalmente, questa è una finzione. Ma la realtà di oggi, fine novembre del 2011, non è molto incoraggiante. Basta leggere qualche giornale per rendersene conto. Nel Pdl il fastidio nei confronti del governo Monti cresce ogni giorno di più. Berlusconi se la ride: «Adesso ne vedremo delle belle! Il Professore non riesce neppure ad allestire una squadra di sottosegretari decenti». Un sondaggista di fiducia ha messo sotto gli occhi di Silvio una tabella che dice: il 45 per cento degli elettori del Pdl è contrario al governo Monti. Quando si conosceranno nei dettagli le misure per arginare la crisi, quel numero salirà. E l'esecutivo dei professori diventerà un nemico da abbattere. Sempre più nero, il Cavaliere garantisce: «Faremo le pulci a tutti i suoi provvedimenti». Bersani e Casini sembrano tenere il punto. Ma il Pd è incalzato sul versante della sinistra estrema. Vendola ha già dichiarato che Monti è un funzionario del grande capitale e non farà di certo l'interesse del proletariato. Per di più, i democratici sono divisi sulle misure da adottare. Lo dice il caso del responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, che guarda sempre di più alla Cgil e al partito di Nichi. Come la pensi Di Pietro nessuno lo sa. Però anche lui potrebbe ritornare alla posizione iniziale: pollice verso per i professori. Tonino è diventato un'incognita. Il suo populismo ruspante lo spingerebbe a voltare le spalle a Monti. Esita a farlo perché non conosce quale sarebbe il proprio bottino elettorale nel caso di voto  anticipato.   Dalla ditta di Bossi vengono soltanto siluri. Il senatur ringhia che «il governo Monti è fuori di testa e fa schifo». I professori «vogliono fare gli scalatori, ma hanno visto la montagna soltanto in cartolina». Morale: per la Lega l'esecutivo morirà in fasce. L'unica soluzione è chiamare il popolo alle urne. L'Italia si può salvare soltanto così. Il caos è già annunciato. Ci siamo cacciati in un maledetto pasticcio. A mio giudizio, l'unico che può tentare di arginarlo è Monti con il suo governo. Spero che ce la faccia, in fretta e bene. Nel frattempo, l'Europa ci avverte che l'eventuale crollo dell'Italia sarà anche la fine dell'euro. Insomma, buon lavoro a tutti. di Giampaolo Pansa

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