Rappresentanza e nuovi lavori: è tempo di scelte
La spaccatura tra Cgil, Cisl e Uil e il calo degli iscritti impongono ai sindacati un nuovo modo di organizzarsi
La spaccatura tra Cgil da una parte, Cisl e Uil dall'altra. Il tema della partecipazione. Il nodo della rappresentanza. Il calo degli iscritti e l'emergere di nuovi lavoratori “atipici”, inadeguatamente o per nulla rappresentati. Ecco i temi caldi che attraversano il mondo sindacale italiano in questi anni di crisi economica e incertezza politica. Unità sindacale - Se l'unità sindacale nell'Italia del dopoguerra durò pochissimo la colpa è anche di Antonio Pallante. Il giovane che il 14 luglio del 1948 sparò al segretario del Pci Palmiro Togliatti non provocò, come si temette, la guerra civile, ma non potè evitare la spaccatura nella Confederazione generale dei lavoratori, i cui dirigenti proclamarono uno sciopero tutto politico per denunciare l'attentato. Inevitabile la scissione della componente cattolica, che diede vita, due anni dopo, alla Cisl. La divisione tra Democrazia cristiana e Partito comunista, a sua volta riflesso della divisione dell'Europa tra Occidente e Oriente, si ripercuoteva sul mondo sindacale. Alla cultura antagonista del sindacato comunista, i cattolici opponevano la via della contrattazione e delle riforme graduali. E riformista fu anche la terza componente sindacale, la Uil, d'ispirazione socialdemocratica. La partecipazione - Ricordare le differenti matrici storiche aiuta a interpretare i conflitti del presente. Oggi più che mai la divisione tra le due culture sindacali è evidente. La Cisl di Raffaele Bonanni e la Uil di Luigi Angeletti dialogano con il governo, considerano il ministro del Welfare Maurizio Sacconi (ex socialista) un interlocutore affidabile, accettano il piano industriale “lacrime e sangue” (ma anche più assunzioni e aumenti salariali) di Sergio Marchionne. La Cgil di Guglielmo Epifani (ora di Susanna Camusso) sceglie invece la strada dell'intransigenza e del muro contro muro. La divisione è sensibile anche su un tema oggi sollevato da molti: la partecipazione dei lavoratori non solo agli utili ma anche alla gestione dell'impresa. Non una cogestione vera e propria naturalmente, ma un regime di codecisione, nel quale i rappresentanti dei lavoratori (...) (...) possono dire la loro sui grandi indirizzi e sulla nomina dei manager. Da sempre cavallo di battaglia di Cisl e Uil, la codecisione è guardata con sospetto, per ragioni diverse, dalla Cgil (che vi vede il pericolo di annacquare l'antagonismo sociale) e da Confindustria (poco disposta a condividere responsabilità e potere). La rappresentanza - Un altro tema chiave, messo in luce dal recente referendum tra i lavoratori di Pomigliano, è quello della rappresentanza. Stando alla legislazione vigente, un accordo contrattuale, anche se firmato da sindacati che rappresentino la maggioranza dei dipendenti (e anche se ratificato a maggioranza in un referendum aziendalele) può essere impugnato dal singolo lavoratore. Quindi, un operaio di Pomigliano, anche se iscritto a uno dei sindacati che ha firmato l'accordo, potrà aderire allo sciopero degli straordinari già dichiarato dai Cobas di qui al 2014, senza temere le sanzioni previste dall'accordo stesso. In questo caso, ad opporsi al principio secondo il quale la maggioranza può decidere sulla validità di un accordo, è la Cisl, spesso in minoranza nelle fabbriche. i numeri Last but not least, c'è la questione dei numeri. Un recente, polemico saggio sul sindacato (L'altra casta, di Stefano Livadiotti) calcolava che, degli 11 milioni e 700mila tesserati dei tre sindacati maggiori, il 49 per cento è composto da pensionati. Nel complesso, i tesserati ancora in attività non arrivano a 6 milioni: appena il 25 per cento del totale dei lavoratori in attività. Non è solo un problema dei sindacati, che si vedono prosciugati iscrizioni e quote associative, ma degli stessi lavoratori “atipici”, magari formalmente autonomi ma di fatto legati a un unico committente, e privi di visibilità politica e rappresentanza sindacale. Alfredo Gentile