Alle famiglie conviene fallire
In sei anni il peso delle rate è aumentato del 21%. Anche i privati potranno concordare con le banche piani di ristrutturazione
La crisi morde e le famiglie italiane sono sempre più indebitate. Basti pensare che dal 2004 al 2010 il loro debito, in percentuale del reddito disponibile, è aumento di 21 punti, passando così dal 45% di sette anni fa al 66% dell'anno scorso. Certo, se paragonata agli altri paesi della zona euro, l'Italia è messa ancora bene. Secondo la relazione del 2010 della Banca d'Italia sulla condizione finanziaria delle famiglie e delle imprese, infatti, la percentuale di indebitamento dell'area euro è del 99% mentre quella dei paesi anglosassoni raggiunge quota 100. In questo quadro, si inserisce il decreto legge sul sovraindebitamento del 22 dicembre scorso. Una norma che spunta tra le tante tasse previste dalla manovra Monti e che finalmente regala una boccata d'ossigeno a famiglie italiane e piccoli imprenditori. Oltre a ricevere il plauso di sindacati e associazioni. «Il sovrindebitamento dei lavoratori è ormai una vera piaga sociale - afferma Augusto Pascucci, segretario di Uilcem (sindacato Uil del settore chimica, energia e manifatture) -. Ben venga il nuovo decreto legge sull'efficienza del processo civile e il sovraindebitamento licenziato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri che per la prima volta offre a questi soggetti la possibilità di concordare con i creditori un piano di ristrutturazione dei debiti per la finale esdebitazione, come avviene per le grandi aziende». In pratica, il decreto legge entrato in vigore la vigilia di Natale, prevede che anche i privati sovraindebitati possano concordare con i loro creditori un piano di ristrutturazione del debito, senza dover arrivare, per esempio, al pignoramento della casa. L'ordinamento italiano, infatti, non prevede, come invece fa per le società, una procedura fallimentare controllata. Con il ddl, invece, l'indebitato può presentare una proposta per l'estinzione dei suoi debiti al Tribunale della città di residenza o della sede dell'azienda. Per 120 giorni il giudice garantisce che il patrimonio del debitore non venga toccato. Il piano risulta quindi valido soltanto se vi aderisce il 70% dei creditori. A gestire poi l'attuazione della ristrutturazione ci penseranno quelli che vengono chiamati organismi di composizione della crisi, iscritti presso il ministero della Giustizia e istituiti dagli enti pubblici ma anche dagli enti di mediazione delle Camere di commercio, dagli avvocati, dai notai e dai commercialisti. «E' una soluzione fantastica - è il commento del presidente del Codacons, Marco Donzelli - Finalmente una norma che prevede un mediatore per una risoluzione ragionevole e non ricattatoria. Adesso però - conclude - il governo faccia qualcosa per proteggere i cittadini dalla speculazione delle banche, a partire dai mutui». di Carlotta Addante