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La sinistra che soffiava sul fuoco

Evocavano rivolte e morti, ora si pentono. Di Pietro gufava: "Ci scappa il cadavere". Il Fatto invitava alla "ribellione"

Andrea Tempestini
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Hanno persino il coraggio di lamentarsi. Eppure dovrebbero essere soddisfatti: i loro auspici si sono puntualmente avverati, c'è mancato poco che ci scappasse il morto. Dice Massimo Donadi dell'Italia dei valori: «È un vero peccato. Ancora una volta la violenza e la stupidità di pochi rischia di appannare e pregiudicare le buone ragioni di una grande maggioranza». Che fa, Donadi, piagnucola? Non rammenta che  diceva il suo capo partito non più tardi di qualche settimana fa? Glielo ricordiamo. Antonio Di Pietro spiegava che «nel Paese sta sbocciando la rivolta sociale». E intimava: «prima che ci scappi il morto, mandiamo a casa questo governo». La rivolta sociale l'ha ottenuta, con tanto di fiamme e devastazioni. Quanto al cadavere, i facinorosi scesi in piazza ieri hanno tentato di guadagnarselo con tutte le forze. Guarda il videocommento del vicedirettore di Libero, Massimo De Manzoni: "Chi li ha coperti politicamente, ora rifletta" Come se non bastasse ai cittadini italiani, dopo lo sfascio e la distruzione, toccano anche le lagne della sinistra piazzista, quella che da mesi getta benzina sul fuoco della rivolta e che ieri si è resa conto di quanta ferocia siano capaci gli Indignati. Era patetico vedere Nichi Vendola a Sky Tg24 mentre affettava distinguo, si ingarbugliava in giustificazioni grottesche, tentava di confondere il bambino con l'acqua sporca (peccato che persino i bambini, ieri, girassero incappucciati, come il ragazzino di dieci anni avvistato in compagnia del padre con una kefiah a coprirgli il volto). Il governatore della Puglia si affannava a separare una manifestazione pregna di «meravigliosa e travolgente felicità» dalla «minoranza di teppisti». Farfugliava che «i black bloc hanno chiuso la finestra a cui gli Indignati si erano affacciati». Al massimo, le finestre le hanno frantumate. «Alle domande di questi ragazzi si dovrà dare una risposta», proseguiva il capoccia di Sel, e intanto sugli schermi correvano le immagini della camionetta dei carabinieri trasformata in una pira. Vendola, il signore che se ne stava elegantemente assiso sullo scranno televisivo, è lo stesso che nelle passate settimane appoggiava in toto il movimento dei protestatari: «La politica stia zitta e ascolti», berciava. Infatti abbiamo ascoltato le esplosioni delle bombe carta e il rumore dei vetri sbriciolati. Tirava pietre, Nichi, poi ha nascosto la manina: lo dica al militante del suo partito che ieri una mano l'ha persa sul serio, spappolandosela per colpa di un ordigno.  Chissà se il rombo della folla furente e i tonfi sordi delle pietre sono giunti anche alla redazione romana del Fatto quotidiano, che ieri sfoderava in prima pagina un titolo a caratteri cubitali: «Siamo tutti indignati». All'interno, altro titolone ancora più eloquente: «Contro una casta senza onore c'è solo la ribellione», a corredo di un'intervista al 95enne ex partigiano Massimo Ottolenghi. Costui è l'autore del prezioso pamphlet Ribellarsi è giusto. Accontentato pure lui assieme agli amici del Fatto: la ribellione l'hanno avuta, vediamo se domani avranno ancora il coraggio di dirsi indignati. Più probabilmente, tuttavia, faranno finta di niente, cercheranno inutili scusanti, pietosi cavilli. Come Paolo Ferrero, leader di Rifondazione comunista. Prima ha sventolato (verbalmente) la mazza ferrata, prendendosela con Draghi, con la Bce, con i perfidi vampiri capitalisti. Sproloquiava tronfio con i giornalisti, entusiasta di avere per una volta un palcoscenico che lo levasse dall'assoluta inconsistenza del suo partito. Si atteggiava a smargiasso: «Questo è un avviso di sfratto a Berlusconi ma anche a Marcegaglia, Montezemolo, Della Valle, cioè a tutti quelli che vorrebbero cacciare Berlusconi per prendere il suo posto e fare le stesse politiche. Questa piazza  chiede alternativa, non l'alternanza tra simili». Bellicoso, il ragazzo. Poi la sicumera gli si è sgretolata sotto il naso, fatta a pezzi dalle legnate inferte dai manifestanti alla polizia. «La grande e pacifica manifestazione di massa che oggi ha riunito a Roma oltre mezzo milione di persone è stata la vittima sacrificale di qualche decina di imbecilli incappucciati», ha frignato Ferrero, non trovando di meglio che addossare la colpa alla polizia. Ha delirato infatti di  una «tenaglia tra incappucciati e gestione assurda dell'ordine pubblico» che avrebbe impedito il corretto svolgimento del corteo, ricordando «le peggiori pagine di Genova». Ma come, non voleva l'alternativa? Eccola: le sberle e le violenze forsennate. L'indice della mediocrità progressista sta  nella squallida retromarcia, nella dissociazione postuma, nel vizio bambinesco di dare la colpa agli altri: alla polizia, ai black bloc, a Berlusconi... Tutto pur di lavarsi la coscienza, persino l'antica litania dei «compagni che sbagliano», dei «sedicenti» ribelli. Ci sarebbe da ridere di fronte all'ipocrisia di questi signori che hanno soffiato sul fuoco per poi ritrarre le labbra. Non fosse per un particolare: ora piangono lacrime di coccodrillo, ma è mancato poco che un coccodrillo dovessimo scriverlo davvero. Per un agente o un povero cristo qualsiasi, colpevole solo di non essere indignato.  di Francesco Borgonovo

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