Le Monde ieri ha titolato: “La piazza San Pietro di Roma trasformata in centro del mondo”. Ciò che è accaduto alle solenni esequie di Francesco, il Papa argentino che ha voluto essere sepolto accanto all’icona della Madonna “Salus Populi Romani”, mostra, ancora una volta, che l’importanza di Roma nel mondo è per gran parte indissolubilmente legata alla Chiesa che si definisce cattolica, apostolica e – non a caso – romana. Dove “romana” ha addirittura, per Dante, una proiezione eterna (“Sarai meco sanza fine cive/ di quella Roma onde Cristo è romano”).
È a questa “corte” che sono convenuti tanti capi di Stato come pure, secondo le volontà di Francesco, poveri, senzatetto, detenuti e rifugiati. “Todos todos todos”. È stata questa Roma che ha commosso e ha suggerito al mondo pensieri e vie di pace. La Chiesa che prega davanti al corpo del Vescovo di Roma. E Giorgia Meloni – che è cattolica e romana – lo sapeva.
Perciò con discrezione ha lasciato che fosse questa Roma a parlare a tutti (infatti lei non ha avvertito il bisogno di sgomitare e imbucarsi come un Macron o di cercare foto opportunity come uno Starmer).
Il Capo del governo italiano, che insieme a quello vaticano ha realizzato un’organizzazione perfetta dell’evento, ha avuto i suoi incontri politici di vertice, ma senza riflettori. Lo ha fatto per rispettare il Papa di cui si celebraRoma del resto non è solo il cuore della più grande religione del mondo, ma è l’Italia. È la sua storia e sintetizza la sua identità. Le sue pietre sono lì da quando Roma, già nel I secolo a.C., si definiva “Urbs aeterna, Caput mundi”. Quella Roma in cui si ritrovano Atene e Gerusalemme, quella Roma che Dante vedeva ancora come capitale di un impero di pace universale (erede del Sacro Romano impero).
Quella Roma che ha suggestionato tutti, dagli Zar ai padri fondatori degli Stati Uniti d’America, quella Roma che “partorì” ciò che oggi chiamiamo Europa. La quale, non a caso, quando, nel XX secolo, dopo la Seconda guerra mondiale, ha cercato di costruire un’unità dei suoi popoli (quelli liberi, occidentali) ha pensato bene di venire a Roma, dove appunto fu firmato nel 1957 il Trattato istitutivo della Comunità economia europea.
Mentre – anche stavolta non a caso – quando è stata fondata l’Unione Europea, nel 1992, sono andati a firmare il Trattato in una cittadina semisconosciuta, Maastricht, che aveva la caratteristica di trovarsi fra Germania e Francia tanto per chiarire che l’Ue non sarebbe stata un’Europa dei popoli, ma una burocrazia franco-tedesca. Anche se poi la storia si prende la rivincita sulla geografia perché pure Maastricht – a ben vedere - nasce romana e cristiana, avendo origine da una fortificazione romana del 333 d.C. Roma ha fatto la storia. In particolare dell’Italia e anche dell’Europa e dell’Occidente. Tuttavia è molto più di questo.
Stalin ironizzava perché il Papa non ha eserciti. Non capiva che il “potere spirituale” della Chiesa romana, fondata sui martiri, è ben più forte dei cannoni e dei regimi politici, che infatti crollano e passano. Per questo la Chiesa attraversa i secoli.
Del resto i francesi hanno provato tre volte a portare il Papato oltralpe: nel Trecento, poi con il Grande Scisma e infine con Napoleone. Ma il Papato è Roma. È il cattolicesimo che vive da secoli nelle fibre della storia italiana e fa dell’Italia un caso unico al mondo. Questo impone una riflessione a chi governa il nostro Paese.
L’unità d’Italia fu realizzata, nel XIX secolo, da un’élite che fu disgraziatamente conflittuale nei confronti del Papato di cui il popolo italiano era fedele. Ci furono errori anche da parte clericale, non si tratta di riaprire una discussione su questo. Ma la nascita divisiva dell’Italia unita privò la nostra storia nazionale della sua grandezza.
IL PENSATORE RUSSO
Lo notò Fëdor Dostoevskij che pure, da duro ortodosso, non amava affatto il Papato e la Chiesa Cattolica. Scrisse: «Chi, in questi due millenni e mezzo, ha vissuto in Italia, ha sempre saputo o presentito di essere il portatore di un’idea universale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale».
Poi «che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale (...), un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (...) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco che cosa è diventato il grande popolo italiano, che ha generato Dante, Michelangelo, Raffaello!».
Ci sono voluti molti anni per la pacificazione dello Stato italiano con il Papato e la Chiesa, con l’anima cattolica del nostro popolo, e per riconquistare tutta la bellezza della storia e dell’identità italiana. Dostoevskij appare sprezzante e ingiusto verso l’ideale risorgimentale, ma in realtà amava l’Italia per la sua grandezza spirituale e culturale. Marcello Veneziani ha osservato che «in fondo Dostoevskij abbracciava da russo e ortodosso, l’idea cattolica e giobertiana del primato mondiale e civile d’Italia che trascendeva dalla sua unificazione statuale, anche se la prefigurava».
Oggi che Roma capitale d’Italia e Roma cuore della cristianità universale sono in armonia la classe politica italiana deve elevarsi dalla prosa delle polemiche di giornata e avere un orizzonte più alto. Perché l’Italia ha una missione nel mondo. Senza protagonismi sciocchi, ma ce l’ha. Questa consapevolezza è ciò che distingue l’attuale governo dall’opposizione.
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