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Mussolini fucilato, i partigiani violarono l'accordo con gli Alleati

Il 28 aprile del '45 Duce e la Petacci giustiziati a Giulino di Mezzegra
di Marco Patricelli lunedì 28 aprile 2025

4' di lettura

Una raffica sparata da un mitra francese Mas dopo imbarazzanti momenti di tensione per due inceppamenti delle armi puntate dai partigiani contro Benito Mussolini, spalle al muretto d’ingresso di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, il 28 aprile 1945, assieme a Claretta Petacci giustiziata senza alcuna colpa: l’atto finale e sanguinoso del fallimento della risurrezione del fascismo ammantato nel sudario repubblicano delle origini e permeato di rabbia e di vendetta scatenate nei seicento giorni di Salò. La Rsi era il simulacro di uno Stato, riconosciuto solo dal Terzo Reich e dai pochi Paesi satelliti come il Manciukuò. Comandavano i tedeschi.

Lo stesso Duce era sotto stretta sorveglianza e persino le sue telefonate all’amante erano ascoltate e registrate. Mussolini era il fantasma di sé stesso ma si era illuso di essere tornato quello di prima per effetto del bagno di folla e di entusiasmo dell’ultimo discorso pubblico, quello al Teatro Lirico di Milano, il 19 dicembre 1944. L’esercito del Maresciallo Rodolfo Graziani era nominale nonostante i numeri, imperversavano le bande fasciste e le Brigate Nere di Alessandro Pavolini nella guerra fratricida antipartigiana.

L’orrore aveva il nero del regime incattivito e il rosso del sangue sparso in quel biennio di guerra civile. Tutto crollò all’improvviso, di fronte e alle spalle. Il proconsole di Hitler, il generale SS Karl Wolff da febbraio tramava per darsi un futuro e farsi cancellare il conto sui crimini compiuti, trescando con i servizi segreti alleati per una pace separata in Italia. Mussolini sapeva che il suo destino era quello di essere consegnato agli Alleati, per essere processato. Temeva di più il ludibrio, come nella circolata ipotesi di esposizione in una gabbia al Madison Square Garden, lì dove il 20 febbraio 1939 ventimila nazisti americani avevano tenuto la loro convention sotto la sorveglianza di 1.700 poliziotti inviati dal sindaco di New York, l’italo-americano Fiorello La Guardia.

All’articolo 29 dell’armistizio gli Alleati avevano imposto: «Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi (...) saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Forze delle Nazioni Unite». Era un preciso obbligo del governo italiano e che gravava anche sul Comitato di liberazione nazionale. La mattina del 27 aprile 1945 un frastornato Mussolini, nel disastro totale, aveva affidato la sua vita a una colonna di una quarantina di camion e mezzi tedeschi che intendevano riguadagnare il Brennero. A Musso il convoglio viene fermato dai partigiani della 52esima brigata Garibaldi agli ordini di Pier Bellini delle Stelle “Pedro”. I tedeschi ottengono il libero transito, ma i fascisti no. È allora che a Mussolini vengono forniti un elmetto e un cappotto da caporale della Luftwaffe, e fatto sedere sul fondo di un camion telato. Il partigiano Giuseppe Negri però lo riconosce e allerta Urbano Lazzaro “Bill”, vicecommissario politico della 52esima. Viene fatto scendere e al suo fianco resta la sola Claretta Petacci che condividerà il destino dell’uomo che ama. Dopo quella notte, la prima che gli amanti trascorrono insieme, il Duce viene preso in consegna dagli emissari del Clnai di Milano, i comunisti Walter Audisio “colonnello Valerio” e Aldo Lampredi.

Sandro Pertini ha impartito l’ordine di giustiziare Mussolini prima dell’arrivo degli Alleati. Il generale Raffaele Cadorna, emissario del governo italiano e comandante in capo del Corpo volontari della libertà che raggruppa tutte le unità partigiane come emanazione militare del Cln, non si oppone: appena il 25 aprile alle 18 aveva stretto la mano a Mussolini davanti all’arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster. I misteri si sono rincorsi e confusi, nella ricostruzione di quelle ore sul lago di Como. La versione più accreditata è che la raffica mortale a Villa Belmonte sarebbe stata esplosa da Walter Audisio e da Michele Moretti “Pietro” nel pomeriggio del 28 aprile: le ricostruzioni a posteriori e i memoriali saranno pieni di zone d’ombra, di omissioni e di particolari non combacianti. Poi l’esposizione catartica a piazzale Loreto, dove niente è risparmiato dalla rabbia popolare a quei corpi prima e dopo essere stati appesi alla pensilina del distributore. Ferruccio Parri conierà l’espressione di «macelleria messicana» e Pertini stesso parlerà di «insurrezione disonorata». Il giorno dopo, il 29 aprile, il Clnai diramerà un comunicato nel quale affermerà che «la fucilazione di Mussolini e dei suoi complici è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro Paese ancora coperto di macerie materiali e morali».

L’Unità userà toni durissimi: «la “carogna” del duce dei malfattori, attorniata da un buon numero dei suoi accoliti, giace in piazzale Loreto esposta alla gogna». Quando Adolf Hitler nel bunker di Berlino assediato dall’Armata Rossa apprenderà della fine di Mussolini, prima di suicidarsi con la moglie Eva Braun, il 30 aprile, ordinerà di bruciare i loro cadaveri.

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