Il colloquio fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, nella Basilica di San Pietro, ha impressionato tutti. Il presidente ucraino lo ha definito «un incontro altamente simbolico che potrebbe diventare storico». La Casa Bianca ha confermato il giudizio positivo.
Perché questo evento è accaduto nel cuore della cristianità? Qualcuno su Twitter ha commentato: «Non è un caso che la Chiesa cattolica sia la più antica istituzione mondiale». È anche la più alta autorità morale. Perciò tanti leader mondiali sono convenuti alle solenni esequie di Francesco. Oltre al luogo infatti c’è la circostanza storica: «Vedere i due leader parlare sulla pace al funerale del “Papa della pace” ha un significato enorme», ha detto Giorgia Meloni.
Il continuo appello di Francesco per far tacere le armi è in totale consonanza con i Papi del Novecento, dalla denuncia dell’“inutile strage” di Benedetto XV (durante la Prima guerra mondiale) ad oggi. I Pontefici infatti hanno compreso la spaventosa minaccia rappresentata, per l’umanità, dagli armamenti moderni e in particolare dagli arsenali atomici. Per questo Francesco ha messo in guardia continuamente dal rischio di scivolare in una Terza guerra mondiale inevitabilmente combattuta con armi nucleari, mettendo a rischio addirittura la sopravvivenza dell’umanità.
IL RISCHIO NUCLEARE
Quando fece la Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, il 25 marzo 2022, all’inizio del conflitto, in obbedienza alla richiesta della Madonna di Fatima – Consacrazione che già era stata fatta da Giovanni Paolo II negli anni Ottanta (si è poi saputo che in quei mesi si rischiò davvero il conflitto atomico) – intravedeva proprio questo orizzonte catastrofico.
Poi finalmente è arrivato uno statista che ha condiviso il timore papale della “terza guerra mondiale”: proprio quel Trump irriso dai media “illuminati”. Egli è l’unico che fa ciò che il Papa ha chiesto invano per anni. Le vie della Provvidenza sono infinite e hanno unito il Papa e il presidente americano per questa nobile opera.
Se il colloquio di San Pietro sarà un passo avanti nel processo di pace si sarà onorata nel modo più bello la memoria di Francesco.
Rileggere oggi le sue toccanti e drammatiche parole per la Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore di Maria, nel 2022, fa impressione, soprattutto pensando a quale “inutile strage” di giovani si è consumata in questi tre anni nei quali si è protratto il conflitto: «Madre di misericordia, tante volte abbiamo sperimentato la tua provvidente tenerezza, la tua presenza che riporta la pace, perché tu sempre ci guidi a Gesù, Principe della pace... noi abbiamo smarrito la via della pace. Abbiamo dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali. Abbiamo disatteso gli impegni presi come Comunità delle Nazioni e stiamo tradendo i sogni di pace dei popoli ele speranze dei giovani (...) Il tuo pianto, o Madre, smuova i nostri cuori induriti. Le lacrime che per noi hai versato facciano rifiorire questa valle che il nostro odio ha prosciugato. E mentre il rumore delle armi non tace, la tua preghiera ci disponga alla pace. (...) Noi, dunque, Madre di Dio e nostra, solennemente affidiamo e consacriamo al tuo Cuore immacolato noi stessi, la Chiesa e l’umanità intera, in modo speciale la Russia e l’Ucraina. Accogli questo nostro atto che compiamo con fiducia e amore, fa’ che cessi la guerra, provvedi al mondo la pace. Il sì scaturito dal tuo Cuore aprì le porte della storia al Principe della pace; confidiamo che ancora, per mezzo del tuo Cuore, la pace verrà. A te dunque consacriamo l’avvenire dell’intera famiglia umana, le necessità e le attese dei popoli, le angosce e le speranze del mondo».
Si può forse affermare che l’instancabile e accorato lavoro per la pace di Papa Francesco (un nome emblematico) rappresenti l’atto più grande del suo pontificato, soprattutto considerando che il conflitto in Ucraina ha tenuto (e tuttora tiene) il mondo sull’orlo dell’abisso, dell’apocalisse atomica.
LA COLOMBA
Viene quasi da applicare a lui quel motto Gloria Olivae con cui è definito l’ultimo Papa della famosa “Profezia di Malachia”, perché l’ulivo è un simbolo di pace che si addice perfettamente a questo pontificato. Del resto è un simbolo di origine biblica e rimanda al grande cataclisma del diluvio universale, quindi un evento apocalittico. Noè per capire se le acque stavano calando, dopo ripetuti tentativi negativi, mandò fuori dall’Arca una colomba: «E la colomba tornò da lui, verso sera; ed ecco, essa aveva nel becco una foglia fresca d’ulivo; onde Noè capì che le acque erano calate sopra la terra» (Genesi, 8, 11).
Quella foglia di ulivo rappresentava il ritorno della pace con Dio e fra gli uomini. La “Profezia di Malachia” a cui ho accennato è un antico documento che consiste in un elenco di 111 papi, ciascuno con un motto in latino di difficile comprensione. È attribuita a san Malachia di Armagh (1095-1148) e viene periodicamente riproposta perché si ritiene che l’ultimo Papa della lista, Gloria Olivae, coincida con Benedetto XVI, dopodiché ci sarebbe la distruzione di Roma e la fine del mondo (o del Papato). È ritenuta in genere inattendibile.
Eppure Benedetto XVI, intervistato da Peter Seewald nel libro Ultime conversazioni, a sorpresa, ha riflettuto con serietà su questa «profezia probabilmente nata nei circoli intorno a Filippo Neri». Poi ha spiegato: «A quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito, e lui voleva solo dimostrare, con una lista lunghissima di papi, che invece non era così. Non per questo, però, si deve dedurre che finirà davvero. Piuttosto che la sua lista non era ancora abbastanza lunga!».
Quindi non sarebbe prevista la fine: né del papato, né del mondo. Si può dire perciò che Gloria olivae sia un’ottima definizione degli ultimi due pontefici (del resto Benedetto è vissuto per quasi tutto il pontificato di Francesco) e in fondo di tutti i pontefici dell’ultimo secolo per la loro opera di pace.