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La Chiesa crocevia di storiche mediazioni

Non solo Trump-Zelensky: il ruolo chiave del Vaticano nella storia
di Marco Patricelli domenica 27 aprile 2025

3' di lettura

«Deus vult». Dal grido di battaglia dei crociati alla croce di San Pietro per spegnere l’urlo della battaglia in Ucraina. All’ombra di quella croce si è tenuto l’inatteso (o forse no) faccia a faccia tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, due sedie appena e occhi negli occhi, con un solo tema di cui discutere: la fine della guerra con la Russia. Pochi minuti, che forse faranno la storia, nel tempio della pace, il Vaticano, cuore della chiesa cattolica, apostolica e universale, che fa incontrare un protestante e un ebreo per tessere una tela con un ortodosso ex ateo.

Durante il funerale di Papa Francesco la Chiesa apre una nuova fase della diplomazia nel nome della vita. Non è la prima volta, ma questa è speciale per « i tempi, per le circostanze, per lo scenario. Raffaello ricostruì pittoricamente in un grande affresco nel 1513-1514 l’incontro di Leone Magno con Attila del 425 sul fiume Mincio, quando con la sola forza della fede il Papa riuscì a convincere il “flagello di Dio” a rinunciare a mettere l’Italia a ferro e fuoco. Altre volte i pontefici e la Chiesa hanno mediato paci, intese e armistizi, spesso fallendo. La cosiddetta Tregua di Dio, che occorreva rispettare nei giorni della liturgia cristiana, nel XI secolo venne addirittura codificata con i canoni conciliari. Lo strumento della scomunica non venne risparmiato ai reprobi ma la storia insegna che non fu efficace nel debellare né le guerre né gli scismi.

D’altronde il Papa, fino a Pio IX e alla Breccia di Porta Pia, fu anche re, munito di un esercito non solo simbolico come al giorno d’oggi con le Guardie svizzere, che scendevano sul campo di battaglia con solenne benedizione. Il ridimensionamento al solo potere spirituale rafforzerà il carisma della Chiesa nella sua missione di pace. Benedetto XV fu esplicito nel richiamare nel 1917 le nazioni in guerra.

Non riuscì a fermare «l’inutile strage», per quanto l’influsso del cattolicesimo fu fortissimo nell’ultimo imperatore austro-ungarico Carlo che cercò in ogni modo la pace. Il Vaticano fu in prima linea anche prima e durante la seconda guerra mondiale, e non a caso il più piccolo Stato del mondo fu un nevralgico crocevia diplomatico-spionistico-informativo, tanto da indurre nel 1943 Adolf Hitler a far studiare un piano (Fall Schwarz) per rapire Pio XII e farla finita con la Chiesa cattolica: emblematica una foto di piazza San Pietro con i paracadutisti tedeschi che passeggiano vicino ai gendarmi pontifici, ma ben attenti a non oltrepassare la linea bianca di confine. Il cardinale di Milano Ildefonso Schuster nell’aprile del 1945 tessé la tela tra Benito Mussolini e il Comitato di liberazione nazionale, promuovendo un incontro in arcivescovado. La storia prese un’altra direzione, e non per mancanza di autorevolezza della Chiesa che Stalin irrideva con la domanda retorica «quante divisioni ha il Papa?».

La forza e il potere non stanno nelle alabarde delle guardie svizzere ma nella voce che si alza da San Pietro. Karol Wojtyła tentò di spezzare la spirale di violenza e di orrori nell’ex Jugoslavia ma il viaggio apostolico nella Sarajevo assediata previsto per il 1994 verrà giocoforza rinviato al 1997; nel ’99 dopo riuscirà a ottenere una tregua pasquale dal presidente serbo Slobodan Miloševic al quale aveva inviato un messaggio personale affidato all’arcivescovo Jean-Louis Tauran: lo stesso che nel 2013 annuncerà l’elezione al soglio pontificio di Jorge Maria Bergoglio.

Francesco sin dal primo momento ha pronunciato parole nette e radicali contro la guerra, ha inviato in missione speciale il cardinale Matteo Zuppi a Kiev e a Mosca, ha tuonato contro l’uso delle armi e della violenza. Ha predicato il bene dove vedeva il male, ma gli uomini come sempre hanno deciso altrimenti. Perché anche se «Deus vult», tutto è rimesso all'arbitrio degli uomini, libero ma non necessariamente intelligente.

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