Di “Bella ciao” si sa tutto o quasi, quasi niente è certo, ma una cosa è sicura: la canzone non fu mai cantata dai partigiani e non era il loro inno. Eppure, dàgli oggi e dàgli domani, milioni di italiani sono stati convinti di questo mito. Potenza della suggestione, anch’essa a-storica ma puntualmente rinfocolata in maniera più o meno interessata. Proprio di recente, con squilli di trombe e ole trionfanti, “Bella ciao” venne spacciata addirittura come inno della Brigata Maiella, stendendo tappeti rigorosamente rossi con plausi di giubilo e altrettanto incauti e compiacenti interventi pubblici e sui giornali per aver finalmente quadrato il cerchio partigiano: guarda caso facendo leva su una brigata non partigiana. Miracoli della fede pagana del santuario postumo e apocrifo della guerra di liberazione vista dalla prospettiva di sinistra, costruendo una leggenda agiografica e addomesticando la storia. A partire dal ruolo di Josif Stalin, la stella polare rossa.
Alla sua morte nel 1953 i solerti megafoni italiani dell’Unità titolarono che era scomparso l’uomo che più aveva fatto per l’umanità. Facendo leva sull’abnorme numero di morti civili e militari dell’Urss nel 1941-1945, Stalin era diventato campione di libertà portata in mezza Europa. E ancora oggi il tamburo rotto della propaganda rulla sbandierando il sacrificio sovietico perla libertà. Le cose non stanno e non sono mai state così. Anche se il Pci costruì la tesi artificiale del genio politico dell’uomo del Cremlino come mossa tattica per guadagnare tempo e riorganizzare l’Armata Rossa, Stalin dal 23 agosto 1939 al 22 giugno 1941 fu alleato di Hitler. Il Patto Ribbentrop-Molotov, nominalmente di non aggressione, era di spartizione di Polonia e Paesi baltici, con la divisione di mezza Europa in sfere di influenza. Gestapo e Nkvd filarono d’amore e d’accordo nello scambio di favori sulla pelle dei reciproci oppositori e i rifornimenti ferroviari di materie prime al Terzo Reich per alimentare la Blitzkrieg della Wehrmacht furono puntuali e costanti fino al giorno stesso dell’Operazione Barbarossa.
"Assassini": ecco l'urlo "sobrio" per il 25 aprile, alta tensione
“Israele assassina Palestina libera. Dal fiume al Mare”. Con questo urlo, è partito il presidio dei m...Fu solo a quel punto che il frastornato Stalin si ritrovò all’improvviso dalla parte delle aborrite democrazie, riverniginato secondo il principio di Winston Churchill secondo il quale si sarebbe alleato anche con il diavolo pur di sconfiggere Hitler. Questo non significa che, come sostenuto dai comunisti, Stalin combattesse per la liberazione dell’Europa, considerato pure che sostituì il totalitarismo nazista con quello sovietico nei Paesi baltici, Ungheria, Bulgaria, Romania, Polonia e infine Cecoslovacchia. Altro che liberatori, come pure in alcuni casi vennero accolti i soldati con la stella rossa. Chi ne sapeva più di tutti erano i polacchi del II Corpo d’armata del generale Władysław Anders, provenienti dai lager sovietici in Siberia, che nel dittatore di Mosca vedevano il loro sanguinario carnefice il quale aveva pure fatto sterminare 22.000 ufficiali polacchi prigionieri con un colpo di pistola alla nuca seppellendoli nella foresta di Katyn prima di far piantare le betulle sulle fosse comuni.
I soldati giunti dal Paese dell’aquila bianca avevano combattuto davvero per la libertà italiana; anzi, secondo il loro motto, «Per la nostra e la vostra libertà», nell’amara consapevolezza che per loro non ci sarebbe stata più una Patria in cui tornare perché consegnata a Jalta dagli Alleati agli appetiti di Stalin. Appena finita la guerra, gli ex partigiani comunisti e il Pci nel suo complesso attraverso i propri organi di propaganda, scimmiottando l’Urss, attaccarono furiosamente i polacchi, trasformati in «fascisti», «servi di Hitler», «complici del nazismo» e altre disgustose menzogne del genere.
In Emilia e poi nelle Marche, dov’erano acquartierati, iniziarono a comparire velenose scritte sui muri, ci furono risse provocate ad arte, i liberatori divennero nemici ideologici da combattere in ogni modo e in ogni forma per compiacere il Cremlino attraverso i servi sciocchi che non mancano mai in nessun regime e neppure nelle democrazie. Nella vulgata resistenziale non c’era spazio per i soldati polacchi come non ce n’è da qualche tempo per i soldati della Brigata ebraica, perché i gendarmi della memoria il 25 aprile sfilano con le bandiere palestinesi, ovvero di coloro che all’epoca, rappresentati dal gran Muftì di Gerusalemme, sostenevano apertamente Hitler e lo sterminio.
Nei pozzi inquinati della storia ancora oggi c’è chi attinge non accorgendosi di svilire ciò che la Resistenza ha rappresentato in termini di riscatto e di morale, che poi era quello che poteva fare. Non era un esercito avanguardia di un intero popolo, non era l’artefice della conquista della libertà; e non era neppure, come sperava, il lasciapassare verso la parte giusta della storia, pur essendo proprio da quella parte, per mondare i peccati incancellabili della dittatura e della guerra perduta. La narrazione di quell’epoca, facendo leva sulla preponderanza numerica delle brigate partigiane comuniste, è stata costruita ridisegnando i contorni e l’essenza della storia, mettendo in ombra o tacendo gli aspetti meno edificanti, e fornendo una versione edulcorata, addomesticata e funzionale a strategie partitiche contemporanee. Insostenibili perché stucchevoli nei dogmi, agiografiche nei toni e pure, ormai, palesemente anacronistiche.