Ramy, tutti gli elementi assolvono i carabinieri

di Claudia Osmettivenerdì 25 aprile 2025
Ramy, tutti gli elementi assolvono i carabinieri
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Uno dei casi di cronaca più discussi degli ultimi anni. La morte di Ramy Elgaml, il 19enne di origini egiziane deceduto a Milano, il 24 novembre scorso, esattamente alle 4:03:40, all’incrocio travia Ripamonti e via Quaranta, nella zona sud del capoluogo lombardo, è una vicenda aperta. Proviamo a riassumerla senza tralasciarne alcun aspetto. Non sono ancora le 4 di mattina quando, in zona Corso Como, una delle più centrali della città, due carabinieri fermano per un normalissimo controllo uno scooter di grossa cilindrata, un Tmax. I militari sono un vicebrigadiere e un carabiniere scelto, fanno parte della Radiomobile e sono di pattuglia con una Giulietta “Volpe 40”. Sulla moto, invece, ci sono due ragazzi: alla guida c’è il tunisino Fares Bouzidi che ha 22 anni e, dietro, Ramy. Entrambi vivono a Milano, entrambi nel quartiere di Corvetto, entrambi all’alt delle forze dell’ordine non si fermano. Scatta l’inseguimento e dura almeno otto chilometri nei quali i carabinieri chiedono aiuto ai colleghi. Area sud di Milano, qualche minuto dopo. Uno schianto. La Giulietta e il Tmax escono dalla carreggiata, lo scooter perde il controllo, Fares e Ramy finiscono sull’asfalto. Il primo è solo ferito, il secondo è gravissimo perché, durante la corsa, ha perso il casco. Morirà, Ramy, poco dopo in ospedale. Intanto, sul luogo dell’incidente accorre qualcuno con un telefonino in mano e riprendere quello che sta vedendo: due agenti dell’Arma gli si avvicinano e gli domandano di cancellare il video.


Tra l’altro, nella zona sono presenti alcune telecamere di videosorveglianza e anche i carabinieri indossano le body-cam. Aprire un’inchiesta sulla morte di Ramy è un atto non solo dovuto ma anche necessario. C’entrano niente le manifestazioni che al Corvetto mettono a ferro e fuoco vie e piazze, gli scontri violenti che si allargano ance in altre città e l’opinione pubblica che non parla d’altro: è la legge, è la giustizia che niente ha a che vedere coi salotti della tivù dove si comincia a pontificare la qualunque (chi se la prende con gli agenti, chi con la poca sicurezza, chi punta il dito) e tutto a che spartire con le dinamiche certe e soprattutto accertate. Il nodo principale su cui si concentra la procura meneghina è quello dell’ipotetico contatto tra l’auto di pattuglia e la motoretta dei due ragazzi. Entrambi i mezzi andavano a velocità sostenuta: un conto è la perdita di controllo un altro sarebbe uno “speronamento”.

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«Non è caduto, vaffa...» si sente in una comunicazione tra la centrale operativa e gli agenti sulla Giulietta. Le telecamere sulla divisa dei carabinieri riprendono i soccorsi: «Uno si muove, manda un’ambulanza». E Fares che ammette a una soccorritrice: «Non avevo la patente». I carabinieri che hanno chiesto al testimone accorso di eliminare il video fatto per strada sono indagati per depistaggio, il tunisino e il vicebrigadiere al volante della Giulietta per omicidio stradale. Ma è un documento della Radiomobile della polizia locale meneghina che scompiglia le carte: se inizialmente si è dato per certo l’urto tra l’auto dell’Arma e lo scooter, qualche mese dopo questa convinzione inizia a scricchiolare. Una relazione tecnica dei ghisa a metà dicembre esclude il tamponamento: può esserci stato un contatto, ma niente più di una “strisciata” (che ha lasciato segni sulla staffa della marmitta del Tmax), epperò non c’è alcuna relazione causa -effetto con l’impatto. A distanza di diverse settimana si aggiunge la perizia della procura che dice, senza mezzi termini, che «l’operato del conducente della macchina dei carabinieri è stato conforme a quanto previsto dalle procedure» e che il decesso di Ramy è «dovuto allo scontro della moto sulla quale viaggiava con un palo».

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