Roma, solo 1 rom su 3 va a scuola. E il Pd gli paga un manager

di Massimo Sanvitogiovedì 24 aprile 2025
Roma, solo 1 rom su 3 va a scuola. E il Pd gli paga un manager
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Sul piatto ci sono 90mila euro per i prossimi tre anni. Il Comune di Roma è alla disperata caccia di un esperto che possa coordinare il progetto (partito lo scorso novembre e dal valore complessivo di 2,1 milioni) per l’inclusione e l’integrazione di bambini, bambine e adolescenti rom, sinti e caminanti. I numeri, impietosi, relativi alla scarsa scolarizzazione dei minori che popolano i campi della Capitale, hanno fatto suonare l’allarme nelle stanze del Campidoglio. Qualche cifra, giusto per inquadrare il fenomeno: solo il 31,5 per cento dei bimbi nomadi tra i sei e gli undici anni frequenta la scuola; oltre un minorenne su cinque (il 21,6 per cento) che ha finito le elementari non ha proseguito oltre; appena il 26,6 per cento di chi ha tra i 15 e i 62 anni ha la licenza elementare, il 28,7 per cento ha chiuso il ciclo delle medie e un risibile 0,6 per cento ha ottenuto il diploma delle superiori. Che i piccoli rom, o meglio le loro famiglie, abbiano un rapporto complicato con la scuola dell’obbligo è dunque un dato di fatto.

Sono cinque gli insediamenti romani coinvolti nei progetti (della durata di tre anni) – Salviati, Salone, Gordiani, Candoni, Lombroso (escluso il villaggio di Castel Romano perché nessun ente del terzo settore si è fatto avanti) –, abitati in diversa misura da rumeni, serbi, bosniaci e montenegrini. È con loro che il prossimo coordinatore dovrà confrontarsi per avviare protocolli di “accompagnamento individualizzato e di gruppo finalizzati all’inclusione e all’integrazione sociale” e attivare “una serie di interventi socio-educativi rivolti alla comunità più ampia di bambine e bambini presenti negli istituti scolastici che parteciperanno” e “azioni di sensibilizzazione, orientamento e formazione (anche attraverso attività laboratoriali) volti a rafforzare le competenze degli operatori sociali, sociosanitari e socioeducativi coinvolti”.

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L’obiettivo dichiarato è “la riduzione del rischio di abbandono da parte dei minorenni rom, sinti e caminanti” per “costruire contesti cooperativi e favorevoli all’apprendimento, alla valorizzazione delle differenze e all’integrazione interculturale. Della serie: bisogna promuovere una scuola accogliente, a misura di nomade. Dai laboratori didattici a quelli creativi, dal sostegno in classe all’orientamento per i genitori, dal dopo-scuola ai centri estivi, fino alle gite e al servizio trasporto dei bambini dai campi agli istituti. Una chicca: il corso di digitalizzazione per adulti per insegnare a mamme e papà rom a usare gli strumenti tecnologici e social adottati dalle scuole (iscrizioni online, mail, WhatsApp, ecc.). “Accrescere tali competenze nei genitori è un elemento importante per migliorare la partecipazione alla vita scolastica dei propri figli”, si legge tra le righe della scheda progettuale stilata dal Dipartimento scuola, lavoro e formazione professionale.

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Facendo un passo indietro, nei trienni 2017-2020 e 2021-2023, i dati del Comune di Roma parlano di 43 plessi (dodici asili, 20 elementari e undici medie) coinvolti nel Progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti, per un totale 234 classi e 379 alunni. Zero al quoto per quanto riguarda le scuole superiori. Va da sé che una bassa, per non dire quasi nulla, scolarizzazione abbia ripercussioni sul resto della vita. Infatti, appena un rom su cinque residente nei campi di Roma dice di avere un’occupazione regolare: i lavori maggiormente diffusi, tra l’altro, fanno parte di un’economia di sussistenza che “non permette progettualità a lungo termine e processi di emancipazione” e “inclusione sociale duraturi”. E chissà se il nuovo coordinatore riuscirà nell’impresa di diffondere i libri tra le baraccopoli romane...

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