Essere sobri è una cosa da fascisti. Eja Eja sobrietà. Evidentemente, per la sinistra, deve essere così. Non si spiega, altrimenti, la reazione scomposta dei progressisti di fronte all’invito del ministro Nello Musumeci, dopo la morte di Papa Francesco, a celebrare la Liberazione «con la sobrietà che la circostanza impone a ciascuno».
Niente, i compagni lo hanno preso come un attacco personale. E le polemiche sono andate avanti anche ieri. Il 25 aprile, ha detto il leader della Cgil, Maurizio Landini, «non è che beviamo e quindi dobbiamo essere sobri. È una giornata di mobilitazione per ricordare la sconfitta del nazismo e del fascismo». «Ribadisco», ha aggiunto il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, «che non si tratta di un happy hour, ma della commemorazione della liberazione dell’Italia». E Carlo Calenda, segretario di Azione: «Musumeci dovrebbe informarsi. Il 25 aprile si è sempre festeggiato con sobrietà».
Ora, facciamo chiarezza. Quando si parla di “sobrietà” non si intende solo nel senso di non essere ubriachi. Come spiegato dal Dizionario italiano De Mauro, infatti, “sobrio”, per estensione, significa anche «misurato, controllato». Ecco, in questo senso il 25 aprile non si è mai distinto per una particolare sobrietà... Come mai? Bè, la risposta è abbastanza semplice: per colpa della sinistra. Che ha da subito cercato di appropriarsi di questa data, usandola per andare all’attacco di tutti i suoi avversari. E così, nelle manifestazioni, ci sono sempre stati slogan e striscioni contro qualcuno, arrivando a veri e propri episodi di violenza quando il nemico di turno si trovava in piazza insieme ai compagni.
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Il 25 aprile, scrivono Sergio Rizzo e Alessandro Campi nelo loro libro “L’ombra lunga del fascismo”, «non è mai stata una ricorrenza unitaria. Le stesse forze politiche del fronte antifascista l’hanno vissuta in modo differente». Già. All’inizio la competizione è stata naturalmente tra democristiani e comunisti. «Dopo le solenni manifestazioni del 1946», proseguono Rizzo e Campi, «già due anni dopo il clima era cambiato, tanto che il governo dell’epoca, guidato daAlcide De Gasperi, per evitare strumentalizzazioni politiche da parte delle sinistre arriva a vietare celebrazioni pubbliche all’aperto. Per il Popolo, organo della Dc, bisogna celebrare la ricorrenza senza “chiassate”, “nell’intimo dei nostri cuori”».
Dopo il 1968, e per tutti gli anni Settanta, il clima in Italia si fa sempre più rovente. E le tensioni si ripercuotono anche sul 25 aprile. Nei cortei, studenti e operai cantano “la Resistenza è rossa, non è democristiana”. Si parla anche di “Resistenza tradita”. E c’è chi riprende le armi scegliendo la strada senza uscita del terrorismo. Ma questa è un’altra storia...
Poi lo scenario cambia di nuovo. Se per buona parte degli anni Ottanta e dei primi Novanta il 25 aprile sembra perdere forza e brillantezza, le cose mutano radicalmente a partire dal 1994. «Il 25 aprile del 1994», scrive Pierluigi Battista, «le cerimonie furono molto diverse da quelle celebrate nel 1993. L’anno prima un rituale stanco e sfibrato. L’anno successivo una manifestazione combattiva e militante, l’ondata di piena di un sentimento antifascista redivivo». Cos’era cambiato? Sì, lo sapete già. Nel 1994 c’è il governo Berlusconi.
Da quel momento, in pratica, l’anniversario della Liberazione diventa l’occasione per manifestare contro la metà del Paese che vota centrodestra. Nel mirino dei nuovi antifascisti non ci sono soltanto i missini, ma anche i loro alleati. Chi non sta coi progressisti e prova a scendere in piazza viene insultato, aggredito e cacciato. Nel 1994 a farne le spese è un gruppo di leghisti, guidato da Umberto Bossi, che si presenta alla manifestazione del 25 aprile in programma a Milano e viene accolto con fischi, parolacce e lanci di sassi. L’anno successivo, 1995, a essere preso di mira è il neopresidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, eletto coi voti di Forza Italia e Alleanza nazionale. La folla gli dà del “venduto”, del “buffone” e del “fascista”, mentre parte un lancio di monetine. Anche un gruppo di militanti di Forza Italia (circa una ventina) se la vede brutta, con una signora che rimedia 5 giorni di prognosi e 3 punti di sutura.
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Le cose, in seguito, non migliorano. E non solo per le immancabili contestazioni degli estremisti filo-palestinesi alla Brigata ebraica. Il 25 aprile 2006, ad esempio, Letizia Moratti, all’epoca candidata sindaco di Milano per il centrodestra, viene aggredita con urla, insulti e spintoni mentre sfila insieme al padre (85enne, ex partigiano, in sedia a rotelle) e deve abbandonare il corteo.
Nel 2016 il nemico dell’Anpi è perfino Matteo Renzi, allora premier e leader del Pd, accusato di voler stravolgere la Costituzione «democratica e antifascista». Nel 2019 l’anniversario della Liberazione è in gran parte dedicato a Matteo Salvini, ministro dell’Interno e vicepremier del primo governo Conte. «Al governo ci sono dei fascisti», dice il fondatore di Emergency, Gino Strada, «Salvini è un fascista, spero che si tolga dai coglioni».
E arriviamo infine all’“era Meloni”. Nel 2023 a Napoli compaiono dei manifesti con la premier e altri big del centrodestra immortalati a testa in giù; a Genova due esponenti del centrodestra, il sindaco Marco Bucci e il governatore della Liguria Giovanni Toti, vengono contestati; a Torino alcuni manifestanti che avevano portato le bandiere della Nato e di Israele vengono aggrediti dagli autonomi; al corteo di Milano torna il vecchio coro “uccidere un fascista non è reato” e in rete, ciliegina sulla torta, compaiono minacce di morte alla Meloni e alla figlia. Infine, l’anno scorso: alla manifestazione di Milano ci sono scontri con la polizia, fischi all’inno nazionale, foto di Giorgia bruciate, la solita aggressione alla Brigata ebraica, un ragazzo che riferisce di essere stato accoltellato e nove giovani africani denunciati con l’accusa di istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
E domani? Cosa potrà andare storto? Ps: comunque, a chi dice «mica si beve il 25 aprile», va ricordato che la famosa festa in strada che si tiene al Pratello (Bologna) è finita negli anni passati con «gente ubriaca che urinava e vomitava in ogni angolo e vicolo» (fonte: Resto del Carlino). Tanto che il Comune (a guida Pd) è intervenuto con un’ordinanza per regolare e limitare la vendita di alcolici. Sobrietà, compagni, sobrietà...