I tacchi sul parquet. A qualsiasi ora, magari anche di notte. Avanti e indietro per l’appartamento. Quel calpestio incessante, continuo. E poi gli oggetti che cadono. Mica uno per sbaglio, scusi-sa e tanti saluti. Ogni giorno. Il televisore acceso, sì ma a quello oramai chi ci fa più caso? L’aspirapolvere che ci giureresti, guarda-secondo-me-lo-fanno-apposta: sei appena rientrato dal lavoro, hai un’ora di pausa, puoi dormire fino a tardi; epperò niente, al piano di sopra hanno deciso di fare le pulizie d’autunno anche se siamo ad aprile. Rumori, fracassi, strepitii: presi singolarmente forse neanche ci fai caso, però così no, così è una congiura. Così non si vive. Semmai si litiga: le cosiddette “immissioni”, ossia il baccano proveniente dagli altri appartamenti, è la prima causa dei bisticci condominiali: chi sposta mobili trascinandoli sul pavimento, chi ha i bimbi che saltellano davanti alla tivù, chi il volume della radio non riesce proprio ad abbassarlo. E anche chi si busca un sonoro risarcimento.
È che è capitato a tutti, alzi la mano chi si sente esonerato: di abitare in un palazzo e di lamentarsi di quel che succede al piano di sopra. A Sesto Fiorentino, vicino a Firenze, la lamentela è arrivata in tribunale e quei frastuoni tra vicini sono degenerati (prima) in un disturbo di ansia generalizzato e (dopo) in un indennizzo di oltre 10mila euro, che son pur sempre soldi (e neanche pochi). La battaglia per il silenzio, in questa cittadina di neppure 50mila anime tra Fiesole e Prato, scoppia sopra il piano terra: tra il secondo e il terzo in un condominio appena fuori dal centro. È il 2018 e la donna che abita di sopra decide di cambiare pavimento: son fatti suoi, ci mancherebbe, ognuno è liberissimo di arredare e rifinire casa sua come meglio crede o gli aggrada. Ci mancherebbe il contrario. Solo che in questo caso la signora si sbarazza della vecchia maiolica e sceglie un gres porcellanato: lucido, pulito, elegante. La vicina di sotto se ne accorge subito.
Giura che i rumori, dal preciso momento in cui il piastrellista ha lasciato lo stabile, si sono amplificati al punto che la sua tranquillità quotidiana è andata a ramengo. Solleva la questione, protesta e reclama: ma va sempre peggio. E va, addirittura, che quando si affida a un avvocato questo manda nel palazzo un consulente che misura il livello di disturbo acustico e salta fuori, fonometro alla mano, che tra il calpestio e la caduta di oggetti, lì si toccano gli 80 decibel, mentre il limite previsto dalla legge sarebbe di 63. Urca. La causa prosegue e il giudice si mette di traverso, nel senso che impone alla donna del piano superiore di tappezzare casa con tappeti a pelo lungo o moquette, qualsiasi cosa purché faccia da “cuscinetto”. Lei, l’inquilina, provvede: di tappeti, di vario genere e di vario spessore, ne piazza la bellezza di diciassette: epperò il problema persiste anche perché esiste una certa «debolezza strutturale dell’edificio e delle partizioni orizzontali tra gli ambienti» (scriveranno poi gli esperti che analizzeranno il caso) che aiuta per niente. Passano i mesi e la vicina del piano sottostante sviluppa un’ansia cronica per via dello stress. E provaci te, a restare rilassato in una situazione del genere. Che basta cada un bicchiere per terra di sopra e rimbomba tutto anche di sotto.
Secondo i magistrati fiorentini, tra l’altro, la vicina, quei benedetti diciassette tappeti, li ha messi sì, ma non in «modo accurato»: e toccava a lei «evitare le immissioni di rumore». Punto e risarcimento accolto (seppur sostanzialmente decurtato perché la richiesta era per 26mila euro e viene deciso per poco più di 10mila). Non ci sono solo i rumori molesti (la presenza di animali di compagnia o gli alterchi per il parcheggio sono le altre ragioni, un po’ meno diffuse tuttavia comunque frequentissime), ma le vertenze condominiali, in Italia, sono stimate attorno ai due milioni: e ogni anno sono circa 500mila quelle che s’aggiungono impegnando giudici, togati e corti. Aumentano, di anno in anno, e non è mica un bel segnale: un po’ perché rallentano il settore giustizia che bisogno di essere ingolfato non lo ha per nulla e un po’ perché nove volte su dieci basterebbe poco per redimerle alla maniera civile. Basterebbe un po’ di buon senso.