I funerali del Papa non sono ancora stati celebrati e già ci sono le polemiche su coloro che parteciperanno al prossimo conclave. Nel mirino, in particolare, è finito il cardinale sardo Giovanni Angelo Becciu, ex Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato e, successivamente, Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, travolto dallo scandalo sulla gestione dei fondi della Santa Sede spesi nell’acquisto di un palazzo a Sloane Avenue, nel centro di Londra. Creato cardinale da Papa Francesco nel 2018, il suo nome non compare infatti nell’elenco dei cardinali elettori, pur avendo 77 anni, pubblicato ieri dalla Sala Stampa vaticana.
«Quell’elenco non ha alcun valore giuridico e va preso per quello che è», ha dichiarato Becciu a chi gli chiedeva il motivo mentre stava prendendo l’aereo per raggiungere Roma in vista del conclave dopo aver trascorso la Pasqua a Pattada, in provincia di Sassari. Tutto nasce da un provvedimento del 24 settembre del 2020, all’indomani dello scoppio dell’inchiesta, con il quale il Papa aveva accettato la sua rinuncia dalla carica di Prefetto della Congregazione delle cause dei santi e dai «diritti connessi al Cardinalato». Provvedimento che, per Becciu, sarebbe stato successivamente rivisto dallo stesso Francesco. Accusato di peculato, truffa aggravata e abuso d’ufficio, Becciu era stato condannato nel dicembre 2023 dal Tribunale vaticano a cinque anni e sei mesi di reclusione, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Sentenza, va detto, non definitiva. Le imputazioni principali riguardano, oltre all’investimento milionario nel palazzo di lusso a Londra, alcuni fondi destinati alla cooperativa del fratello in Sardegna e quelli trasferiti a Cecilia Marogna per un’operazione di liberazione di una suora in Mali. Soldi, quest’ultimi, che sarebbero finiti invece nell’acquisto di beni di lusso. Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza. «Non trattavo direttamente gli investimenti, seguivo 17 uffici. Il Papa era al corrente di tutto», aveva dichiarato in dibattimento.Ma è proprio sulla conduzione del dibattimento che sono state sollevate forti “perplessità” in questi anni.
Francesco, oltre ad aver nominato sia il presidente del Tribunale e sia il promotore di giustizia, quindi chi rappresentava l’accusa, in virtù di poteri impensabili altrove, aveva più volte modificato le regole processuali, sempre a sfavore degli imputati, con gli ormai celebri Rescripta. Al promotore di giustizia erano stati concessi poteri senza limiti, come quello di prolungare a discrezione i tempi dell’istruttoria sommaria. Il processo era iniziato a luglio del 2021 e l’accusa aveva operato fino alla richiesta di rinvio a giudizio, non consegnando gli atti, senza alcun controllo da parte del giudice. L’intera istruttoria, in sostanza, era stata appiattita sulle ipotesi accusatorie.
L’accusa di peculato era frutto di una interpretazione di una norma del codice canonico che riguarda la violazione delle disposizioni sull’amministrazione dei beni ecclesiastici. I soldi della Segreteria di Stato dovevano, in altre parole, essere gestiti con il criterio del “buon padre di famiglia” e un investimento immobiliare presentava invece dei rischi essendo di tipo speculativo. Tesi che contraddiceva quanto sempre fatto in passato dalla Santa Sede. Ma Papa Francesco, a differenza dei predecessori, non vedeva di buon occhio chi faceva investimenti con i soldi dei fedeli.