Papa Francesco, derive e approdi: il dilemma del successore

Bergoglio voleva far sentire la Chiesa contemporanea, ma era spaventato dal rischio di perdere tradizione e praticanti
di Mario Sechimartedì 22 aprile 2025
Papa Francesco, derive e approdi: il dilemma del successore
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Tra luci bianche e ombre rosse, Francesco è già nei libri di storia, ha cercato una via, il tempo dirà quanto è stata illuminata. Sbilanciata a sinistra, certo, ma è sempre stata una delusione per le falangi della cultura “woke” sulla famiglia, l’aborto, i “diritti” dal confine variabile che finivano per sconfinare nel giardino della Chiesa. Il dilemma tra conservatori e progressisti non è un gioco politico che da oggi terrà banco nelle conversazioni a pranzo e a cena, è il vero nodo della successione che si è aperta da tempo, un problema di derive e approdi. In fondo, era il dissidio intimo di Bergoglio, ansioso di far sentire la Chiesa contemporanea, ma spaventato di fronte ai rischi di perdere la tradizione e i veri praticanti, quelli che vanno a messa, senza raccoglierne di nuovi.

Se la Chiesa è quella impaginata ogni giorno sulle pagine di Avvenire, allora non corrisponde neppure a quella di Francesco e c’è da interrogarsi su chi comanda, perché alla fine il Papato è una monarchia assoluta. Per fortuna è un’istituzione con duemila annidi storia, che si affida alla mano della Provvidenza, troverà il modo di andare avanti, a dispetto di coloro che ne hanno più volte dichiarato la scomparsa.

Di certo non saranno i laici con il turibolo e gli atei-devoti dei salotti a salvarla, la Chiesa “à la carte” che si sono inventati con Bergoglio non esiste.
Quando morì Karol Wojtyla, fu chiaro che per la Chiesa si apriva una lunga, sofferta transizione. Così è stato con Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio: il primo, Papa per 7 anni e 315 giorni; il secondo, per 12 anni e 39 giorni. Diversi, ma legati dal dramma di aver svolto un lavoro indefinito e dunque non finito. Il pontificato è una sfida anche di “longue durèe”, di tempo lungo che misura l’ampiezza storica e la profondità del papato: il tedesco e l’argentino insieme non sfiorano neppure i 26 anni, 5 mesi e 17 giorni del regno di Giovanni Paolo II. Anche per questo fattore, il tempo, la figura del polacco è quella di un gigante, è il Novecento che si espande fino ai giorni nostri, mentre gli altri dopo di lui appaiono come un intermezzo, siamo ancora in attesa di una personalità che trovi la chiave per spalancare i cancelli del presente a una Chiesa in cerca di vocazione e illuminazione.

All’inizio del pontificato di Bergoglio, alla fine di luglio del 2013, mentre ero in Sardegna a trovare mia madre, comparve sullo schermo della tv il Papa, assaltato dalla folla. Mamma lo guardò e commentò sorridendo: «Sembra un prete di paese». Nelle sue parole c’era una nota bassa, velata d’ironia, in sostanza diceva che a quel Pontefice così a portata di mano mancava “il pathos della distanza”, era tanto vicino da non poter apparire né Papa né Re. Ne venne fuori una paginata sul Foglio di Giuliano Ferrara, “Il Papa senza distanza”.

Il mio interesse per quel modo di essere (o non essere) dell’uomo argentino è sempre rimasto vivo, l’idea di una Chiesa come “ospedale da campo”, il richiamo della piazza e della piazzata alla Bergoglio di fronte alle telecamere di tutto il mondo. In una storia circolare, un format esemplare, è stato proprio il suo istinto a cercare la piazza a sfinirlo dopo le settimane passate in ospedale. Uscito dal Gemelli, con consapevole noncuranza delle conseguenze, è rientrato nel suo personaggio con impeto da argentino, con i media che raccontavano le sue uscite a sorpresa come i blitz di un protagonista di una serie tv, «il Papa è apparso» qui e anche là, una figura virtuale che salta da una schermata all’altra del videogame.

Bergoglio ha cercato, voluto, affermato fino all’ultimo momento quel che fu il suo “inizio”, la sua scelta di 12 anni fa, l’essere il Papa “senza distanza”.
Come un gesuita, fedele a Sant’Ignazio, fu più uomo d’azione che teologo, il suo rapporto con la Curia fu subito nel segno del contrasto totale. Il risultato delle sue riforme è il limbo in cui lascia la Chiesa e i lavori del prossimo Conclave, dove i giochi non sono fatti. Sarà interessante seguirne ogni spiffero, i prossimi giorni saranno intriganti.

Francesco decise non di far entrare i fedeli in Chiesa, ma di far uscire la Chiesa, fino a metterla in mare, come nel caso dei migranti. Su quest’ultimo punto, il Papa ha aperto una profonda frattura nel mondo dei cattolici, è una linea di separazione tra il mondo del possibile e l’utopia, la preghiera e l’azione, la convivenza sociale e la pietas. Il suo successore dovrà dire qual è il confine tra l’opera di bene e il sogno che diventa un incubo. Di fronte alla svolta della Casa Bianca, in quell’America dove la Chiesa cattolica è tornata ad essere forte e assertiva, si aprono le domande: separarsi dagli Stati Uniti, dai suoi milioni di cattolici, o aprire un negoziato con la realtà della storia?

La più grande intuizione di Francesco sul piano della lettura della contemporaneità - e si tratta di un punto di enorme importanza, perché è la parola del Papa - è stata quella della “terza guerra mondiale a pezzi”, una visione perfetta della frammentazione dell’ordine internazionale, la fine delle istituzioni nate nel dopoguerra, la consapevolezza che la corsa tecnologica sta spingendo gli Stati verso i conflitti, ne incoraggia l’invasione e la dissoluzione.
La sua partecipazione al G7 in Puglia, la prima volta di un Papa, l’accettazione dell’invito di Giorgia Meloni (con la quale aveva un rapporto di amicizia), sono la prova di queste sue crescenti preoccupazioni, non solo sulla guerra e la proliferazione delle armi, ma sull’uso dell’Intelligenza Artificiale, di cui aveva colto le potenzialità, nel bene e nel male, con l’inquietante dilemma della macchina che diventa un agente autonomo, un mostro onnisciente, senz’anima, che assume il comando della nostra vita. È il passaggio dalla teologia alla tecnologia, dallo Spirito Santo al Sacro Algoritmo.

L’edizione straordinaria dell’Osservatore Romano mostra un titolo che suona così: “Dodici annidi nuovi dinamismi e di porte aperte”. Più sociologia che teologia. Non siamo di fronte al problema della Chiesa in crisi - che mi pare non faccia più notizia - il problema, dopo questo Papa, è quello di trovare un altro Papa.