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La resistenza armata dei contadini

Nell'inverno del '43, lungo l'Appennino tantissimi italiani diedero asilo ai soldati che cercavano di sfuggire ai rastrellamenti
di Marco Patricelli sabato 19 aprile 2025

4' di lettura

Lungo la Linea Gustav nel tremendo inverno 1943-1944 si sviluppò una forma spontanea di resistenza non armata che avrebbe meritato almeno una citazione sui libri di storia: la resistenza umanitaria. Fu quella in cui chi meno aveva più dava, e che divideva il pane che non c’era. Questo fenomeno si sviluppò nella zona appenninica centrale dopo lo sfascio dell’8 settembre, quando una massa di ex prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento e i soldati italiani che si erano sbarazzati dell’uniforme cercavano disperatamente un riparo per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi e qualcosa da mangiare. La resistenza umanitaria fu l’applicazione rapida e concreta della gente semplice ai precetti cristiani di aiuto e solidarietà, ma anche la percezione istintiva che l’ex nemico era amico e l’ex amico era divenuto un nemico implacabile.

Dare asilo a un soldato significava rischiare la casa e la vita. Eppure furono tanti ad aiutare inglesi, americani, sudafricani, indiani, neozelandesi, ebrei, senza chiedere nulla in cambio, e a superare le linee verso la zona d’Italia già liberata dagli Alleati, passando per i più impervi e proibitivi sentieri di montagna che solo guide esperte potevano sfidare. Come fecero il contadino Roberto Cicerone, che l’Allied Screening Commission definirà «probabilmente il più grande soccorritore nella zona di Sulmona»; ma anche il dentista Mario Scocco, il barbiere Vincenzo Pistilli, e poi Alberto Pietrorazio, Domenico Silvestri, Carlo Autiero e Amedeo Liberatore, e una donna coraggiosissima che faceva la staffetta con Roma e il Vaticano per i suoi stretti contatti col sacerdote irlandese Hugh O’Flaherty, Iride Imperoli Colaprete, che resisterà anche alla Gestapo dopo l’arresto.

Altri ancora pagarono con la vita lo slancio di aiutare perfetti sconosciuti a sottrarsi ai nazifascisti. Altri ancora, come a Pacentro, avevano tessuto una rete per distribuire carte d’identità false a soldati alleati che non parlavano una parola di italiano o per “arianizzare” ebrei. Roger Absalom nelle sue memorie scriverà che «Ogni villaggio o fattoria della zona sembra abbia dato, in un’occasione o nell’altra, asilo ai fuggiaschi. (...) La generosità e l’audacia manifestate dagli abitanti nel proteggere i loro ospiti ebbero ben presto dei risultati tragici: fu qui che per la prima volta i tedeschi applicarono la tecnica della punizione collettiva indiscriminata dei civili». Tra i rifugiati, anche un giovane sottotenente del Regio Esercito, che diventerà presidente della Repubblica e avrà un ruolo di primo piano nel rivalutare pagine sottaciute della Resistenza: Carlo Azeglio Ciampi. Il 24 marzo 1944 riuscirà a passare le linee in una notte da tregenda con una marcia nella neve lungo uno dei “sentieri della libertà” e a riprendere servizio nell’esercito cobelligerante.

Il ritratto più significativo su questa storia ignorata è del sacerdote teramano Giovanni Saverioni: «Malgrado altri possano pensarla differentemente, la resistenza più bella (e più efficace) al fascismo l’ha fatta la povera gente che, rischiando egualmente la morte, non ha preso le armi. Penso agli aiuti dati, da tanti contadini, alla resistenza armata: ospitalità, vestiti, cibo. E non era facile dare quest’aiuto: perché l’ospitalità li comprometteva di fronte ai fascisti e ai tedeschi (c’era sempre il pericolo di una spiata); perché i vestiti e il pane non erano sufficienti neanche per le loro famiglie».

Anche Roberto Battaglia sottolineò che i contadini «avevano fin dal primo momento accolto con simpatia i ribelli; come avevano accolto, con un semplice e profondo senso d’umana pietà, gli sbandati del settembre ’43 senza far distinzioni tra divise e nazioni, ponendo alla pari gli ufficiali di Sua Maestà britannica colle spalline, decorate dalle corone e i “figli di mamma” del disciolto esercito. (...) I rastrellamenti tedeschi avevano cercato di rompere violentemente questi primi vincoli d’umana solidarietà, avevano mirato innanzitutto a terrorizzare i contadini, sottraendo ai ribelli ogni punto d’appoggio e di rifornimento. Malgrado i primi e inevitabili effetti, avevano invece finito per determinare un risultato contrario. Alla paura era subentrato l’odio, alla pietà per i ribelli il senso più vigoroso di una causa comune da sostenere anche con le armi».

Le guide Cicerone, Pietrorazio e Silvestri, saranno in un primo tempo segnalati dai sopravvissuti per essere decorati con la King’s Medal al valore, ma poi le autorità inglesi opteranno per una gratifica in danaro; Scocco, indicato per la Medal of British Empire, non la riceverà mai. Dopo la dissoluzione della Linea Gustav, il 26 giugno 1944 al generale Umberto Utili, che rilevava Vincenzo Dapino come comandante del Corpo italiano di liberazione, giungeva da Roma una nota del colonnello Pietro Sampò sulla questione dei partigiani disarmati dagli Alleati che chiedevano di arruolarsi nell’esercito cobelligerante.

«C’è della magnifica gente, piena di entusiasmo che chiede solo di poter combattere», scrive al generale, assicurandogli che potrà fornirgli da 3.000 a 4.000 complementi. Il Regno del sud cercava di disinnescare il problema del volontarismo e nello stesso tempo di evitare infiltrazioni comuniste nei ranghi militari. A nord l’Ufficio operazioni e addestramento dello Stato maggiore dell’esercito della Rsi sollecitava l’attenzione di Mussolini sul «notevole incremento» dell’azione partigiana, sulla sfiducia e l’avversione verso il fascismo e sul sentimento frammisto di odio e rispetto per i tedeschi. I dati forniti sono di circa 82.000 partigiani: 25.000 in Piemonte, 14.000 in Liguria, 16.000 in Venezia Giulia, 5.000 nelle Venezie, 17.000 in Emilia e Toscana, 5.000 in Lombardia. La Rsi ha sotto le armi 300.000 uomini nell’esercito, 26.000 in Marina, 79.000 in Aeronautica, 140.000 nella Guardia nazionale repubblicana, 110.000 nelle Brigate Nere, 10.000 nella Xª MAS, 2.300 nella Legione autonoma Muti e 20.000 nelle SS. Ci sono pure 6.000 donne arruolate nel Servizio ausiliario femminile. Per il Pci i partigiani sarebbero invece oltre 100.000 suddivisi in 575 brigate Garibaldi, 198 brigate Giustizia e libertà, 70 Matteotti, 255 autonome.

Forze che il generale Raffaele Cadorna, a capo del Cvl, ritiene irrealistico poter unificare, proprio per le ingerenze dei partiti e soprattutto per lo stretto controllo del Pci che «lascia chiaramente intendere che al momento voluto proclamerà l’insurrezione generale da solo se gli altri non vorranno marciare con lui. Ed in tal caso, solo la minaccia di argomenti persuasivi da parte degli Alleati lo sconsiglieranno a intraprendere simili iniziative».

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