Prosegue il nostro viaggio per raccontare l’altro 25 aprile, ben diverso dalla narrazione della mitizzata resistenza. Ogni giorno, fino alla ricorrenza della Liberazione, ripercorriamo gli anni della guerra civile raccontando fatti e personaggi della storia italiana.
La chiave di lettura angloamericana della Resistenza italiana sta in due secche parole: Political Dilemma. Sono quelle che titolano il documento dell’Office segue dalla prima (...) of Strategic Service (OSS) datato 15 ottobre 1943 dove si affronta il tema della lotta partigiana alla quale viene altresì attribuita l’etichetta di «sostanzialmente rivoluzionaria».
La questione italiana viene inquadrata così: se gli angloamericani daranno l’impressione di voler riportare tutto indietro nel tempo una volta vinta la guerra, scacciati i tedeschi dalla Penisola e cancellato il fascismo, la forza ideologica attrattiva dell’Unione Sovietica sarà più forte della libertà ritrovata. Gli Alleati non possono e non vogliono permetterlo, perché non stanno combattendo e morendo per consegnare l’Italia a Stalin e al comunismo. Le bande partigiane, dunque, dovranno essere sistematicamente disarmate ogni volta che un centro abitato o una zona sono raggiunti dai soldati della 5ª armata americana e dell’8ª armata britannica, senza eccezioni, poiché gli Alleati non intendono consentire che nelle retrovie possano aggirarsi uomini armati, né tollerare vendette private a carattere politico, né tanto meno eventuali future derive insurrezionali. Un’altra metodologia scientemente adottata è che le continue richieste di armi e materiali da paracadutare alle formazioni in montagna, come richiedono incessantemente Ferruccio Parri e Leo Valiani, vanno esaudite soppesando e calibrando i casi, e comunque senza manica larga con le unità comuniste.
Il 16 ottobre 1943, tre giorni dopo la dichiarazione di guerra del Regno del sud al Terzo Reich, il Comitato di liberazione nazionale dirama un documento nel quale sancisce che la guerra di liberazione è la necessità «suprema della riscossa nazionale», e in quel frangente storico a capo del movimento non possono che esserci Vittorio Emanuele III e il Maresciallo Pietro Badoglio. Pertanto il Cln chiede di costituire un governo «straordinario» espressione delle forze antifasciste «che hanno costantemente lottato contro la dittatura fascista e fino dal settembre del 1939 si sono schierate contro la guerra nazista», conducendo «la guerra di liberazione a fianco delle Nazioni Unite»; alla fine delle ostilità e a libertà riconquistata il popolo sarà chiamato a «decidere sulla forma istituzionale dello Stato».
Sono le conclusioni alle quali non a caso perviene la terza Conferenza di Mosca (18 ottobre -11 novembre), tra i ministri degli esteri Viacheslav Mikhajlovich Molotov, Cordell Hull e Anthony Eden, sul trattamento da riservare agli ex nemici. È proprio a Mosca che viene creato un organo consultivo, l’Advisory Council of Italy, e si trova l’accordo sul fatto che prima il fascismo va estirpato in tutte le sue articolazioni, e che solo dopo gli italiani dovranno pronunciarsi sul futuro assetto istituzionale.
Nella Repubblica sociale, intanto, il Ministero della Cultura popolare vieta ai giornali di pubblicare «appelli per la pacificazione delle menti e la concordia degli spiriti, per la fraternizzazione degli italiani. Dopo 45 giorni di avvelenamento della pubblica opinione, di scandali, di predicazioni d’odio e di caccia all’uomo, certe manifestazioni pietistiche rivelano solo viltà e tiepidezza». Gli angloamericani non riconoscono ai rinati partiti la rappresentatività del popolo italiano. Sono loro a rilasciare pezzi di territorio nazionale al Regno del sud con la concessione dello status di territorio liberato il 27 gennaio 1944, a concedere lo spostamento del governo da Brindisi a Salerno, e a guardare con sospetto il 28 il Congresso dei partiti antifascisti a Bari e le decisioni sulla questione istituzionale a dopo la liberazione di Roma.
Winston Churchill reagisce il 22 febbraio con il discorso alla Camera passato alla storia come “il discorso della caffettiera”. Il leader britannico supporta Badoglio e la monarchia proprio come istituto, non riconosce l’autorità dei partiti politici e ricorre a una metafora: «Se si deve tenere in mano una caffettiera bollente, è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne un altro egualmente comodo e pratico, e comunque finché non si abbia a portata di mano uno strofinaccio».
Per Benedetto Croce e Carlo Sforza quella dichiarazione suona come una sconfessione e replicano con una lettera formale di protesta contro Churchill, e con l’iniziativa di una grande manifestazione popolare a Napoli per il 4 marzo, attraverso uno sciopero generale. Il governatore americano Charles Poletti aveva ammorbidito la palese irritazione alleata e in una riunione in prefettura aveva detto che sarebbe stato apprezzato il ritiro dell’iniziativa. I partiti avevano risposto di no e Poletti aveva allora dichiarato illegale lo sciopero; il capo missione alleato Frank Noel Mason-Macfarlane voleva addirittura far arrestare i dirigenti dei partiti. Ma il 4 marzo, alla prova dei fatti, lo sciopero era stato un fallimento totale: la prova di forza si era rivelata un boomerang confermando l’opinione angloamericana sull’effettiva presa dei partiti sul popolo italiano.
In quel periodo, secondo stime del dopoguerra, i partigiani erano 20-30.000. Nella Rsi, appena un terzo del territorio nazionale, la tessera del Partito nazionale fascista era stata richiesta da circa 900.000 italiani.
Ai severissimi bandi di arruolamento (pena di morte a disertori) e alle richieste di volontari per le formazioni di partito come la Guardia nazionale repubblicana (che all’epoca contava 5 volte gli aderenti alle bande partigiane) e le Brigate Nere risponderanno in poco meno di 800.000. Erano tutti fascisti mussoliniani o convinti della vittoria dell’Asse o della guerra con Hitler? Se si adoperano i numeri in un mero raffronto, disancorandoli dal quadro storico d’insieme, si ha l’unica certezza di non comprendere il fenomeno della resistenza e di cadere da un manicheismo all’altro, di segno uguale e contrario.
Dalla massa di soldati in mano ai tedeschi e da quelli chiamati al servizio di leva Mussolini si era detto convinto di poter trarre un esercito fascista, ma per i tedeschi valeva l’opinione del Maresciallo Wilhelm Keitel: «L’unico esercito italiano che non ci tradirà è un esercito che non esiste». E dirotteranno i repubblichini verso la lotta antipartigiana, là dove non intervenivano già le SS o le milizie private di criminali che ripugnavano agli stessi fascisti. Agli orrori dei bombardamenti, delle stragi naziste, della caccia agli ebrei, si aggiungeva il dramma lacerante della guerra civile.