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La Sindone, testimonianza di dolore e della vittoria di Gesù sulla morte

È certo che il lenzuolo ha avvolto un uomo deceduto, che le macchie di sangue testimoniano che non c’è stata putrefazione
di Antonio Socci martedì 15 aprile 2025

4' di lettura

Sono ormai innumerevoli le prove, storiche e scientifiche, che accreditano la Sindone come il lenzuolo che avvolse il corpo di Gesù. È affascinante la lettura del volume “Nuova luce sulla Sindone” (Ares) a cura di Emanuela Marinelli e pure “Contemplare la Sindone” (Ares) della stessa Marinelli con Domenico Repice. Ma non sono libri solo per gli addetti ai lavori o per gli appassionati di “gialli” storico-scientifici o peri credenti.

La Sindone non è solo storia. Non è solo un grande enigma scientifico. Non è solo fede. Ne parliamo oggi perché inizia Settimana Santa, ma anche perché ha una scottante attualità.

Essa mostra infatti il corpo di un uomo torturato e massacrato: è la raffigurazione di ciò che accade ed è sempre accaduto nella storia umana, che, scriveva Hegel, è un vero e proprio mattatoio. È l’immagine del dolore umano. E al tempo stesso del dolore di Dio.
Come disse Benedetto XVI è «un’icona del sabato santo», il giorno in cui Dio condivide la terribile sorte dei mortali. Il giorno della «morte di Dio», del suo silenzio, quando la speranza di salvezza degli uomini è in un sepolcro. È un altro nervo scoperto dell’umanità del nostro tempo che – di fronte agli immani massacri da essa perpetrati- spesso punta l’indice accusatorio verso il cielo e urla “dov’è Dio?”, come se non fossimo stati noi stessi – i moderni – ad averlo cacciato e come se Dio non fosse morto proprio nelle carni straziate di tutte quelle povere vittime.

D’altra parte “dov’è Dio?” è anche il grido di preghiera – in questo caso umanissimo e disperato – di tanti sofferenti che schiacciati dalla vita cercano salvezza, mendicando aiuto. Loro sanno quanto pesa quella pietra che chiude il sepolcro, perché è la pietra che grava sul loro cuore o lo schianta, cancellando qualunque speranza di guarigione odi liberazione.

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Gli esseri umani sono tutti delle creature ferite e malate nel corpo e nell’anima. La loro ferita grida sempre salvezza, come si legge nel Vangelo dei tanti che si assiepano attorno al Rabbi di Nazaret che ridava la vista al ciechi, la parola e l’udito ai muti e ai sordi, che risanava lebbrosi e paralitici, che perdonava i peccatori e riportava in vita i morti come il figlio della vedova di Naim e la figlia di Giairo, a Cafarnao, alla quale disse «Talitha koum» («agnellino alzati») e poi (un dettaglio di immensa semplicità e tenerezza): «Datele da mangiare».

Il libro del profeta Isaia – secoli prima della nascita di Gesù - dice una cosa vertiginosa: «Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato perle nostre iniquità, il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto sudi lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Guariti?

Quell’uomo della Sindone, così massacrato, come potrebbe guarire l’umanità? Sembra uno sconfitto, sopraffatto dalla violenza. La morte sembra trionfare. Ma è così? In realtà la Sindone contiene un messaggio sconvolgente che sembra sia stato “pensato” proprio per gli uomini del nostro tempo, quelli che hanno costruito strumenti scientifici prima inimmaginabili e possono così decifrare qualcosa di eccezionale che sta scritto su quel lenzuolo. Qualcosa che per venti secoli non si è potuto “vedere”.

Qualcosa che – attenzione! – parla anzitutto alla ragione, perciò a tutti. Infatti anni e anni di sofisticati studi scientifici sulla Sindone hanno ormai definito alcune certezze indiscutibili. La prima: è ormai assolutamente sicuro che quel lenzuolo ha avvolto il corpo di un uomo morto che aveva l’età di Gesù al momento della crocifissione in Medio Oriente. E la sua morte fu identica alla morte di Gesù raccontata nei Vangeli: non solo perché subì lo stesso supplizio romano della croce, ma perfino per i dettagli molto particolari (dalla flagellazione alla corona di spine, dal colpo di lancia nel costato al naso rotto da un violento colpo).

La seconda. Le macchie di sangue (circa settecento), sangue umano gruppo AB, sono state prodotte dal contatto diretto delle ferite col lino e nonostante la chiara rigidità cadaverica di quel corpo non ci sono segni di putrefazione: significa che esso è stato avvolto nel lenzuolo meno di 36-40 ore. Ma, attenzione, quel corpo – e questo è il terzo punto – non è stato rimosso da quel telo da nessuno perché i coaguli ematici non presentano sbavature né altri segni che derivino da movimenti: quindi è come se quel corpo fosse sparito passando attraverso il lenzuolo. Di fatto acquisendo una proprietà che non esiste in natura e che ritroviamo solo nelle qualità del corpo risorto di Gesù com’è descritto dai Vangeli: nelle apparizioni post-pasquali infatti Gesù si rende presente in luoghi chiusi (come se passasse attraverso le pareti) o sparisce di colpo. Eppure ha il suo vero corpo, tanto che (dice il Vangelo) mangiò del pesce con i suoi. La Chiesa spiega che il suo corpo risorto non è un corpo morto rianimato come fu quello di Lazzaro, ma un “corpo glorioso”, non più limitato dal tempo, dallo spazio e dalle attuali leggi fisiche (così “divinizzati” saranno i nostri corpi risorti).

Tutto questo fa capire cosa accadde quella notte di aprile di duemila anni fa in quel sepolcro di Gerusalemme. Qualcosa che ha lasciato una traccia clamorosa che la scienza non riesce a spiegare né a riprodurre: l’impronta del corpo di quell’uomo. Non è dipinta, ma deriva dall’ossidazione della superficie del lino. È un’immagine tridimensionale prodotta da un’energia sconosciuta che ha realizzato un’inspiegabile proiezione ortogonale del corpo sul telo. Lo sprigionarsi di questa misteriosa energia fissa l’istante della resurrezione e rende così la Sindone un’istantanea della vittoria definitiva di Gesù sulla morte. L’avvenimento più grande della storia.
I suoi amici che lo incontreranno risorto ne sono testimoni. Il governatore romano Festo, negli Atti degli apostoli, dice che gli avversari di Paolo polemizzavano con lui su «un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere vivo» (25,19). L’annuncio cristiano attraverso i secoli è proprio questo: egli è vivo. E opera. Domina la storia umana.
 

www.antoniosocci.com

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