Il barbecue: profondi picchi dopaminici la domenica e sprofondi emotivi il lunedì. Conviviale, etilico, dilatato: la quintessenza del benessere mentale (almeno, appunto, fino al giorno dopo). Il grigliere (termine colloquiale) per vocazione sta fisso davanti alle braci, cuoce, suda, beve, parla con chi lo approccia e si diverte così. Poi ci sono tutti gli altri: chi gozzoviglia. Se il grigliere in linea di massima ha qualche nozione, la maggioranza di chi partecipa, del barbecue, non sa nulla. Nemmeno che “barbecue” deriva dallo spagnolo “barbacoa”, che a sua volta deriva dal caraibico “baa-bu-kan”, parole che designano griglie e “letti di rami intrecciati”. E non sa nemmeno che l’arte si divide in due branche: cottura diretta e indiretta. Se siete minimamente appassionati è lapalisse, ma il grigliere – fateci caso – è subcultura.
Orbene, una nozione. La cottura diretta alle nostre latitudini è la più comune: griglia e pietanza stanno sopra la fonte di calore (brace, carboni ardenti e se necessario fiammeggianti), le temperature possono superare i 200° ed è da privilegiare se bramate crosticine. L’indiretta convoglia il calore (pietanza e griglia non sono contigue alla fonte). L’indiretta consente l’affumicatura e per ovvie ragioni richiede più tempo (le temperature oscillano tra i 100-170°, ma alcune preparazioni scendono attorno ai 60°).
Di sorprendente c’è che, per chi ha l’inclinazione, la cottura diretta - più ruspante- paradossalmente è la più difficile: controllo e mantenimento della temperatura risultano tignosi e il talento innato è decisivo. L’indiretta richiede studio, ma una volta apprese le basi, se dotati di disciplina e di strumenti, non tradisce. Per gli appassionati di Formula 1 è un po’ come paragonare Lauda (indiretta) e Villeneuve (diretta): Lauda in termini di risultati fece assai meglio di Villeneuve. Ma in termini di “cuore”...
Al netto delle elucubrazioni motoristiche c’è il kamado. E qui casca l’asino (perché fa tutto e l’indiretta è da sturbo). Trattasi, per lo scrivente, del barbecue più figo di tutti. È giapponese. È una sorta di uovo, ha due bocchette per l’aria: una inferiore (la presa d’aria), una superiore (lo sfogo). È in ceramica: più è spessa, maggiore è il controllo del calore. Delle stesse dimensioni ne potete trovare dai 400 ai 6.000 euro: si pagano spessore, qualità e resistenza della ceramica. Nella cottura diretta la griglia sta sopra i carboni. Per l’indiretta ci si serve di un deflettore di calore (una piastra sempre in ceramica). Sulla calotta esterna un termometro monitora la temperatura. Maneggiarlo non è complesso, i risultati sono ineguagliabili. L’affumicatura rasenta la perfezione. Unica controindicazione: più costa, più pesa. Per spostarlo, anche se piccino, vi serve un muletto.