Ci manca solo Kurt Russell con la mitraglietta in mano ed è tutto pronto per il sequel di “Grosso guaio a Chinatown”. Girato però a Prato e non a San Francisco, come nella pellicola originaria. La comunità toscana è infatti diventata l’epicentro di una furibonda guerra di mafia tra bande opposte provenienti dalla Cina che si ammazzano e si torturano a vicenda per accaparrarsi il ricco mercato delle grucce (100 milioni di euro). Qualche giorno fa è stato identificato e catturato, a Padova, l’ultimo latitante del commando che, nel luglio scorso, provò a sventrare un imprenditore della Grande Muraglia nella discoteca “Number One”, nel cuore della notte.
Il killer si chiama Nengyn Fang, ha 36 anni e un passato da militare nell’esercito di Pechino. Un marine, spiegano gli inquirenti, abituato a combattere e a non farsi troppi scrupoli. È stato reclutato, insieme ad altri cinque complici nel frattempo arrestati tra Calabria e Sicilia e sotto processo per quel tentato omicidio, dal cartello criminale che imperversa in Toscana per punire e intimidire chi prova a ribellarsi al monopolio degli appendiabiti. Come la vittima di quell’agguato, il 42enne Chang Meng Zhang, che da qualche mese – in preda al terrore – ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo un lungo ricovero in rianimazione. Non uno stinco di santo nemmeno lui, bisogna dire: nel 2006 Zhang ammazzò a San Giuseppe Vesuviano, in provincia di Napoli, il connazionale Zhijian Su sempre per questioni di denari, finendo anche condannato.
Usa, la circolare: "Niente sesso coi cinesi"
La nuova guerra fredda, quella tra Stati Uniti e Cina, non si combatte solo con i dazi. Ma anche con il sesso. Il govern...Agli investigatori, Zhang ha raccontato di aver rischiato di morire con le budella da fuori perché con la sua società ha spaccato il mercato del pronto moda (vestiti a basso costo smerciati nell’Est Europa e al Sud Italia) vendendo ogni gruccia a 6 centesimi invece che a 27. E costringendo, quindi, tutti gli altri concorrenti a rinunciare a decine di milioni di euro di incassi ogni anno per inseguirlo sul crinale folle dei super sconti. Zhang ha svelato, inoltre, di aver raccolto il capitale iniziale per fondare la sua ditta (circa 700mila euro) da altri imprenditori della zona, e di aver dovuto restituire i soldi con tassi particolarmente salati, ma anche di aver avuto fin da subito fortuna con mega commesse che gli consentivano di fatturare circa 200mila euro al mese. Poi, sono arrivati i problemi. E le pugnalate. Sul racket delle grucce è aperto, a Firenze, un fascicolo della Direzione distrettuale antimafia, che si affianca alle inchieste che la Procura di Prato porta avanti, da mesi, sul conflitto etnico esploso in città.
Dove il ricorso alla violenza è diventato il linguaggio per affari e trattative sindacali, tanto da aver spinto il procuratore Luca Tescaroli a chiedere, nel suo ufficio, la costituzione di una seconda Dda per affrontare, con strumenti più incisivi, la battaglia sul campo. Addirittura òla Commissione parlamentare antimafia ha organizzato una trasferta nella città toscana per valutare la grave situazione: il timore è che la mafia cinese si stia saldando con le organizzazioni criminali italiane. I reati, d’altronde, non si contano. Una operaia cinese è stata costretta a vivere in fabbrica per cucire decine di capi al giorno, pagato ciascuno dai 7 ai 13 centesimi.
È riuscita a scappare e a far arrestare i suoi aguzzini, ma come lei ce ne sono tuttora centinaia stipate in scantinati e sottoscala. Ancor prima sono state date alle fiamme due ditte: a innescare il rogo alcuni pacchi provenienti dalla Francia. E poi: un incendio doloso ha divorato l’auto di un imprenditore. Accanto alla carcassa fumante è poi sbucata una cassa da morto con la foto dell’uomo appoggiata sul cuscino di raso. E così via, fino al pestaggio organizzato di un picchetto di lavoratori pachistani e afgani che protestavano contro le condizioni di schiavitù a cui erano costretti per esaudire le richieste dei kapò, appaltatori di una importante casa di moda che produce borse e zaini.
Sempre nell’area è attiva una banca clandestina che si occupa di garantire i pagamenti, estero su estero, delle grandi partite di cocaina dei trafficanti. Un’emergenza, spiega Diego Petrucci, consigliere regionale e vice segretario toscano di Fratelli d’Italia, che «è nata nel silenzio assordante della sinistra». A Prato, aggiunge, «abbiamo assistito a una strage di aziende italiane, cui si chiede il rispetto di un quadro normativo asfissiante, e alla proliferazione di ditte estere prive di qualsiasi regola». Come pure ha avuto modo di accertare la commissione parlamentare Antimafia che, la scorsa settimana, è stata per la prima volta in città per indagare sugli affari illeciti del Dragone. E stavolta nemmeno Kurt Russell potrebbe pensare di farcela da solo.