Vorreste avere il numero di telefono del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in rubrica? Oppure quello del presidente del Consiglio Giorgia Meloni? E, se la vostra voglia di avere i contatti di chi sta ai vertici della Nazione non fosse ancora abbastanza appagata, potreste facilmente entrare in possesso anche di quello del ministro della Difesa Guido Crosetto e di quello del titolare del Viminale Matteo Piantedosi.
Come fare tutto ciò? Nulla di più facile a quanto pare: come raccontato dal Fatto, basta scaricare un’applicazione e sottoscrivere un abbonamento da circa 50 euro. È quanto emerso dopo la denuncia dell’esperto informatico Andrea Mavilla che su LinkedIn aveva provato a mettere in guardia l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, senza però essere ascoltato.
Una gravissima falla nel sistema che ha portato la polizia postale ad avviare le indagini. Tutto il dossier sarà quindi inviato entro la giornata di oggi alla Procura di Roma per una valutazione dei pm. Gli investigatori del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche sono al lavoro per risalire alle società di raccolta dati e verificare la correttezza delle procedure di acquisizione delle informazioni.
Intanto, il Garante per la privacy ha avviato un’istruttoria inviando una formale richiesta per avere approfondimenti sull’operato della Lusha Systems Inc. L’azienda statunitense, infatti, offre ai suoi clienti informazioni “arricchite” per trovare e verificare indirizzi mail e numeri di telefono fissi e mobili. «Lusha- si legge nella nota - vende recapiti anche telefonici di dubbia provenienza anche di persone che vivono in Italia, inclusi quelli di rappresentanti di spicco delle Istituzioni». La piattaforma risulta accessibile anche dal nostro Paese e i suoi servizi possono essere acquistati dall’Italia. Il Garante informa che la presenza di numeri di telefono appartenenti a cittadini italiani è confermata «dalla ricezione di chiamate promozionali e/o commerciali indesiderate» effettuate grazie agli archivi di Lusha.
Entro 20 giorni la società americana dovrà ora fornire le specifiche richieste tra cui «quanti siano i dati di persone che vivono in Italia raccolti o trattati, chiarire le modalità di raccolta e fornire maggiori informazioni su ciascuna fonte che alimenta il proprio database». Non solo: «Lusha dovrà chiarire se sono oggetto di trattamento i dati personali di utenti che non utilizzano la piattaforma». Riguardo agli indirizzi e-mail e ai numeri di telefono poi, dovrà specificare: «le fonti di acquisizione», «se viene acquisito il consenso per l’invio di comunicazioni commerciali o pubblicitarie o il compimento di ricerche di mercato» e «le finalità per le quali tali dati vengono comunicati agli utenti e la relativa richiesta di consenso».
Un grande intrigo che vedrà anche il coinvolgimento del Copasir. Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica chiederà informazioni sul caso delle piattaforme online che distribuiscono i numeri di telefono personali delle massime cariche dello Stato. Proprio il Copasir, a proposito di cybersicurezza, nella giornata di oggi avrà i riflettori puntati addosso: alle 16 è prevista l’audizione dei rappresentanti della Paragon Solutions, la società produttrice dello spyware che avrebbe intercettato giornalisti e attivisti negli scorsi mesi.
Sul fronte europeo invece, ieri pomeriggio a Bruxelles si sarebbe dovuto tenere il dibattito della commissione Giustizia focalizzato sui pericoli legati all’uso di spyware intrusivi. La seduta è stata però rinviata al prossimo 23 aprile in seguito a una richiesta dei Popolari e sostenuta da Conservatori e Patrioti. La contestazione dei gruppi riguardava gli ospiti invitati a parlare: don Mattia Ferrari, il prete dei barconi, e Luca Casarini della Ong Mediterranea. Secondo il centrodestra europeo sarebbe stato ingiusto trattare un fenomeno diffuso a livello europeo rischiando di focalizzarsi solo sul caso italiano.