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Islam violento, faide tra correnti e ramadan nelle piazze: così si è preso le nostre città

Faide tra correnti rivali e ramadan nelle piazze: le varie comunità musulmane presenti nel nostro Paese scatenano cedimenti pericolosi
di Massimo Sanvito mercoledì 26 marzo 2025

3' di lettura

Se le premesse sono queste, c’è poco da stare tranquilli. Anzi: c’è proprio da aver paura. Dove la paura non è un sentimento figurato ma reale. Realissimo. Quando l’islam avanza, calpestando identità e tradizioni altrui, la legalità retrocede. E così la gazzarra, l’ennesima, andata in scena a Mestre domenica sera è la rappresentazione plastica dei rischi che si corrono a lasciar aprioristicamente campo alle varie comunità musulmane presenti nel nostro Paese. Due fazioni rivali di bengalesi, una quarantina di persone in tutto, hanno deciso di risolvere alcune divergenze a calci e pugni, in mezzo alla strada, tra i palazzi di un quartiere (tra via Gozzi e via Aleardi) a cui di italiano è rimasto ben poco.

«Qui comandano asiatici e africani: forse ci conviene ad andare a vivere da un’altra parte», raccontano non a caso i residenti al Gazzettino. Un anno fa la faida durò una settimana intera e tenne in scacco Mestre: risse, agguati, coltellate. Regolamenti di conti sull’asse Veneto-Bangladesh (il piccolo villaggio di Abdullahpur, per l’esattezza). Una sfilza di bengalesi feriti finì ospedale: uno di loro si ritrovò con un polmone perforato da una lama. A capo delle violenze, dopo aver scalzato gli anziani, ci sono i più giovani della comunità- tra i 20 i 25 anni -che in totale vanta 14mila persone (cittadini stranieri, con cittadinanza italiana e pure irregolari) nell’area. Una città nella città, con le sue regole i suoi codici. Diametralmente opposti a quelli autoctoni.

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Alla base di tutto ci sono le tensioni, insanabili, tra gli orientamenti che fanno capo alle diverse moschee (dieci quelle presenti tra Mestre e Marghera). Tensioni che in pieno Ramadan sfociano in attacchi frontai. Un esempio? A Mestre, le schermaglie tra i centri culturali islamici “La Pace” e “Masjid”, con questi ultimi che si stanno opponendo al trasloco dei primi (da una cui costola, tra l’altro, sarebbe nato un nuovo circolo di dissidenti) a pochi passi da casa loro; a Marghera, invece, lo scatto in avanti del “Centro culturale islamico del Bangladesh” per acquistare un ex cinema attraverso una raccolta fondi tra i fedeli, senza però specificare di non avere alcun permesso di cambiare la destinazione d’uso dell’immobile, è stato visto come fumo negli occhi dalle altre correnti. A preoccupare di più, però, sono le moschee della zona di via Altobello, a Mestre.

Qui, secondo i rumors, un imam avrebbe caldamente consigliato alle donne di rimettersi il velo dopo aver goduto di un periodo di maggiore elasticità nel rispetto dei dettami dell’islam. Uno dei portavoce della comunità bengalese, Prince Howlader, colui che un anno fa ha messo sul piatto un piano d’investimento da un paio di milioni di euro per l’acquisto di un’ex falegnameria e almeno altri cinque per trasformarla in una moschea, ha subito messo le mani avanti: «Conosco alcune delle persone coinvolte, ho chiesto loro di fare chiarezza subito, non possiamo accettare che una nuova rivalità interna getti fango un’altra volta sulla nostra comunità».

Da Mestre a Milano, passando per Brescia, Bologna e Napoli: lo scorso fine settimana è stato tutto in fiorire di “iftar street”, ovvero ampie tavolate all’aperto per celebrare l’interruzione del digiuno imposto dal Ramadan. Tra muezzin e donne velate, anche la presenza di esponenti politici (di sinistra) a suggellarne la vicinanza già sancita formalmente dai patrocini concessi dalle rispettive amministrazioni comunali.

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Tutto questo, specie a Milano, in città dove le periferie ad alta densità islamica scoppiano e si ribellano alla legge. Nel capoluogo lombardo, non dimentichiamolo, per ben due volte (l’ultima lo scorso Capodanno) si è materializzata la taharrush gamea, termine arabo per indicare la molestia collettiva che può anche sfociare nello stupro. Episodi che Pd e compagni, sempre lestissimi a sproloquiare di patriarcato, hanno silenziato per non urtare la sensibilità religiosa degli islamici.

Per non parlare del caso Monfalcone, dove le studentesse di una scuola superiore vengono identificata prima delle lezioni perché non contemplano di togliersi il burqa in classe; del caso Piacenza, dove un bambino di appena sette anni è stato esonerato dalla mensa scolastica dalla sua famiglia per rispettare il digiuno; del caso Pioltello (hinterland milanese), dove anche quest’anno un istituto chiuderà per la festa di fine Ramadan anche se la maggioranza degli alunni iscritti è fedele di Allah. Casi che di questo passo diventeranno la normalità.

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