
Garlasco, "era intimorito": chi è il supertestimone sottovalutato che si rimangiò tutto

Nuovi esami del Dna, nuovi reperti, nuove indagini, nuovi interrogatori. Ma non solo. Per provare a rifar luce sul delitto di Chiara Poggi, ammazzata a Garlasco il 13 agosto 2007, verranno rivalutate- dopo la riapertura del caso e l’avviso di garanzia per concorso in omicidio ad Andrea Sempio - anche le piste abbandonate forse troppo superficialmente e velocemente. Come quella del supertestimone che si presentò spontaneamente in procura il pomeriggio del 27 settembre, 45 giorni dopo l’omicidio e 3 giorni dopo il primissimo arresto di Alberto Stasi (poi condannato a 16 anni, nel 2015, dopo essere stato assolto nei primi due gradi di giudizio). Una vicenda che ha sempre lasciato molti dubbi per come è stata gestita, come si è conclusa e come è stata valutata dai giudici.
Il protagonista del clamoroso racconto fu l’operaio Marco Muschitta, tecnico dell’Asm (Impianti e Servizi Ambientali Spa) , di 31 anni. Davanti ai pm di Vigevano il ragazzo spiegò che la mattina dell’omicidio, tra le 9.30 e le 10, mentre stava controllando delle centrali dell’acqua a Garlasco ed era in via Pavia, nei pressi dell’abitazione di via Pascoli, la sua attenzione era stata attirata «da una bicicletta che ho visto uscire da una via laterale a sinistra rispetto al mio senso di marcia». E ancora, aggiunse molti dettagli raccontando che «questa bicicletta mi ha colpito perché non c’era nessun altro veicolo a quanto mi ricordo, perché non procedeva regolarmente ma andava leggermente a zig zag come se il conducente avesse qualcosa di ingombrante nella mano destra. A questo punto ho guardato con attenzione e ho visto che a bordo di questa bicicletta c’era una ragazza con i capelli biondi a caschetto, con gli occhiali da sole a mascherina scuri come quelli che vanno di moda adesso. Questa ragazza aveva delle scarpe bianche con una stella blu».
Cosa manca sullo scontrino che è il perno della difesa di Andrea Sempio: un clamoroso ribaltone
Poi, ulteriori particolari. «Ho notato che aveva nella mano destra un piedistallo tipo da camino grigio-canna di fucile con in testa tipo una pigna. Preciso che la ragazza teneva il manubrio con tutte e due le mani ma con la destra impugnava sia il manubrio che questo oggetto». Infine, alternando frasi come «giuro che ho visto questa ragazza» ad altre come «vorrei stare al di fuori del processo, il mio nome non deve essere fatto. Sono venuto solamente qua perché possa servire per le vostre indagini», Muschitta arrivò a indicare un nome e cognome: «La ragazza bionda che ho descritto non l’ho più vista di persona. Ho invece visto quella ragazza in televisione ed è la cugina di Chiara Poggi (Stefania Cappa, nei confronti della quale non è mai stato aperto alcun fascicolo ndr). Chiara Poggi aveva due cugine, le gemelle. Quella ragazza adesso dico che somigliava alla cugina bionda di Chiara Poggi».
La parte più strana e insolita di questa testimonianza, però, fu il finale. Sì, perché il 31enne, dopo aver fatto scrivere tre pagine e dopo una sospensione di un’ora (dalle 19.59 alle 21.09), ritrattò tutto a sorpresa: «Io sono venuto qua ma non ne sono certamente sicuro di quello che ho detto, chiedo scusa. Mi sono inventato tutto quello che vi ho raccontato perché sono uno stupido. Mi sono inventato tutto quello che vi ho detto. Mi dispiace e non volevo farvi perdere del tempo. Scusate ancora». Un colpo di scena che, oltre a far sì che il telefono di Muschitta venisse messo sotto controllo, portò poi i giudici a scrivere che il testimone «risultava confuso e contraddittorio» e che «le dichiarazioni sono sicuramente inattendibili. Emerge, infatti, chiaramente come il Muschitta, fortemente condizionato dalle notizie lette e sentite dai mass/media e nella convinzione personale (peraltro espressa dinnanzi ai pubblici ministeri) che l’assassino di Chiara non fosse l’allora indagato... abbia all’indomani del fermo di Stasi deciso di realizzare una sorta di collage delle informazioni che conosceva in merito a questo omicidio». Insomma, li supertestimone non fu creduto, anche se in una telefonata intercettata con il padre, poco dopo, ne uscì uno scenario piuttosto strano.
«Nel verbale alla fine cosa ci sarà scritto?», chiese il genitore. «Che tutto quello che ho scritto prima era una cosa inventata. Sono stato uno stupido», rispose il ragazzo. «Ma tu hai detto la verità? Ne sei certo?». «Io ho detto quello che ho visto, ho detto io vi racconto quello che ho visto». E a quel punto il padre, forse riferendosi a eventuali pressioni: «Loro hanno fatto questo per proteggerti, lo sai?». «Può darsi». «Sì, sì no ne sono sicuro. L’importante è che tu sia andato a dire quello che sapevi». Muschitta fu considerato dai giudici poco attendibile. Un mitomane. Eppure il suo atteggiamento non fu quello dell’invasato, del megalomane, di colui che cerca di apparire. Anzi, il contrario. Spaventatissimo, preoccupato, il ragazzo in quelle settimane aveva raccontato la stessa versione anche a due colleghi e alla convivente.
«Ho rivisto Muschitta il giorno successivo (alla testimonianza in procura ndr) e precisamente il 28 settembre 2007 - spiegò un suo compagno di lavoro ai carabinieri- e lo stesso mi riferiva di aver sottoscritto un verbale presso la procura di Vigevano in cui diceva di aver detto il falso. Lo stesso aggiungeva che aveva paura e che quindi aveva sottoscritto quella dichiarazione». E ancora, sempre lo stesso collega raccontò che il 31enne «desiderava farmi una confidenza e che l’avrebbe fatto solo se promettevo di non dirlo a nessuno» e che, confessandogli ciò che aveva visto, gli spiegò che «il 31 agosto, nel mentre si trovava presso la propria abitazione, nel vedere il tg, esclamava verso la moglie testualmente “Non è stato lui, io ho visto altro!”. E sempre per dire dello stesso Muschitta, a tale sua affermazione, la convivente gli riferiva testualmente “Fatti gli affari tuoi altrimenti ti preparo la valigia e ti caccio via”».
Già, la compagna. «Negli ultimi giorni l’ho visto più chiuso e quindi mi ha detto che c’era qualcosa che doveva andare a dire ai carabinieri spiegò la donna ai pm- Io quando mi ha fatto il racconto gli ho detto “Sei sicuro?”. Lui ha confermato; io ho avuto un attimo di panico e smarrimento e gli ho chiesto cosa intendi fare. Lui mi ha risposto che ci pensava e che doveva trovare il coraggio... Lui si è tenuto dentro questa cosa, anche perché è una cosa più grande di noi, e voleva proteggere le persone che gli sono accanto, come marito e come padre».
Più che un mitomane, secondo le descrizioni dei colleghi («Era visibilmente agitato quando me lo raccontò...», disse ai carabinieri una dirigente dell’ASM) e dalla convivente. Muschitta era un uomo spaventato dalle possibili conseguenze di una testimonianza tanto clamorosa. E questo fu anche il motivo per cui decise di parlare solo dopo 43 giorni: «Oggi mi sono deciso a venire a deporre su quanto ho visto perché ho visto che le cose si prolungano, è un mese che ho il rimorso - fece mettere a verbale -. In realtà solo adesso mi è venuto questo rimorso perché ho visto questo ragazzo che è in galera però secondo me non è stato, ma non ci metto la mano sul fuoco. Non conosco Alberto Stasi».
Muschitta fu denunciato per calunnia da Stefania Cappa (una delle due “gemelle K”, quelle che si presentrono alla telecamere abbracciando un fotomontaggio con Chiara), ma fu assolto «perché il fatto non sussiste». Il suo avvocato spiegò che lui aveva veramente visto la bici e una ragazza, ma per il riconoscimento si era fatto suggestionare dall’esposizione mediatica di quei giorni. Tutto possibile. Ma la prima parte della testimonianza quella raccontata con paura, sofferenza e poi stranamente ritrattata - resta credibile e forse meriterebbe nuove valutazioni: escludendo la gemella, chi altro poteva essere su quella bici?
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