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Chiara Poggi, cosa accadde alle pompe funebri: emerge un dettaglio drammatico sul delitto di Garlasco

Claudia Osmetti
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Tra di loro c’è anche il computer. Quello che Andrea Sempio, di nuovo indagato per il “caso Garlasco”, avrebbe utilizzato a casa Poggi per giocare assieme all’amico Marco, il fratello di Chiara. Quel computer che usava anche lei, la 26enne assassinata nel 2007, e che, come si era detto in passato, poteva aver fatto da “tramite” (è possibile che le tracce di dna ritrovate sotto le unghie della ragazza, se venisse confermato siano di Sempio, ci possano essere finite lì in questo modo). Quel computer, però, che, sostengono adesso delle fonti legali, è stato restituito alla famiglia Poggi (mentre la sua tastiera non è proprio mai stata repertata), assieme alla bicicletta bianca da donna, alle schede di memoria per alcune macchine fotografiche digitali, delle sedie e altri oggetti.

Nel dicembre del 2021 e nell’aprile dell’anno successivo, con la sentenza di condanna passata in giudicato per Alberto Stasi, gran parte del materiale impiegato nel procedimento è stato infatti smaltito. È (quasi) la prassi, succede spesso dopo la chiusura di un processo in via definitiva. Anche il pigiama insanguinato, quello mostrato dalla procura generale di Milano in una fotografia nel corso dell’appello bis che è costato a Stasi sedici anni di carcere, è andato distrutto e reso inutilizzabile dalle pompe funebri che lo hanno tagliato per spogliare il cadavere di Chiara. Vuol dire che adesso, quasi diciotto anni dopo, con un’altra indagine in corso, molti degli oggetti e dei reperti di un faldone scottante, uno dei più seguiti del secolo, risulterebbero introvabili o persi e non sarebbero nella disponibilità degli investigatori.

Mercoledì scorso, invece, Marco Poggi, quel ragazzino neanche ventenne all’epoca, con un caschetto corvino e le guancia arrossate, oggi diventato un uomo di 37 anni che non vive più in Lombardia ma in Veneto, è stato interrogato. Ha dichiarato di essere ancora un amico stretto di Sempio. «L’ho conosciuto alle medie, eravamo in classe insieme. Ci frequentiamo ancora». Secondo Angela Taccia, che è una degli avvocati di Sempio, Marco chiama «quotidianamente Andrea» ed è «distrutto per lui».

 

 

«Io non ricordo di aver mai nemmeno incrociato Chiara in paese quando uscivo con Andrea», ha detto ai magistrati. Sempio, dopo che giovedì si è dovuto sottoporre al tampone di prelievo per il materiale biologico, è in pena per i Poggi e per l’amico di sempre, perché stanno rivivendo «un calvario», racconta Taccia. Sta valutando se chiedere l’«aiuto di uno psicologo» e non è escluso che, nei prossimi giorni, torni al lavoro: «Anche il suo datore gli sta a fianco e lo difende». Eppure è ancora quella provetta col suo dna a essere al centro degli interessi degli inquirenti: sarà comparato «non solo con il profilo genetico estratto dal materiale rinvenuto sotto le unghie della vittima», come si legge nell’ordinanza del gip che ne ha disposto il prelievo coatto, ma anche «con le ulteriori tracce di natura biologica rinvenute sulla scena del crimine». Nel giorno (ieri) in cui il procuratore aggiunto di Pavia Civardi si presenta fisicamente nei locali della Procura generale di Milano per ottenere le carte del processo, Taccia aggiunge che l’ex capo del Ris, il Reparto delle investigazioni scientifiche dell’Arma, Luciano Garofalo, ha dato la sua disponibilità a entrare a far parte del team di consulenti della difesa.

E intanto emergono alcune intercettazioni di quei mesi maledetti subito dopo il delitto e dopo la prima iscrizione di Sempio nel registro degli indagati (nel 2017, quando la sua posizione è stata archiviata): conversazioni che avrebbe avuto con altre persone (tra cui il padre) e che rappresenterebbero, per lui, «ulteriori elementi a discarico». Intercettazioni in cui «non compaiono» riferimenti «in merito a eventuali dichiarazioni concordate (col genitore, ndr) ovvero a circostanze occultate o riferite in modo difforme dal vero». I due, babbo e figlio, semmai, ignari delle cimici piazzate anche nell’auto di famiglia, si sarebbero limitati a «commentare la vicenda processuale e il linciaggio mediatico subito» da Sempio già allora.

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